Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22837 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 15/06/2017, dep.29/09/2017),  n. 22837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16318-2014 proposto da:

OK CARAVAN S.A.S., in persona del legale rappresentante Sig.

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL DI COGNE, 22,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VOCI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CARLO PETTINELLI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI FRANCESCO BIASIOTTI MOGLIAZZA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODOLFO MURRA giusta

procura in calce al controricorso;

ACEA S.P.A., in persona del suo Procuratore Speciale Avv.

D.V.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76,

presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2810/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ANTONIO VOCI;

udito l’Avvocato ENRICA FASOLA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La OK Caravan s.a.s., con citazione del febbraio 2002, convenne in giudizio il Comune di Roma al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di un incendio propagatosi da un terreno di proprietà dell’ente convenuto, adiacente all’area in cui essa attrice esercitava l’attività di rimessaggio, e che aveva danneggiato la recinzione, l’impianto elettrico e le strutture di detta area, nonchè 13 autoveicoli ivi custoditi.

L’adito Tribunale di Roma – nel contraddittorio con il Comune di Roma, l’A.C.E.A. S.p.A. e la I.CO.GI. S.p.A. (società, queste ultime, chiamate in causa dall’ente convenuto) -, con sentenza n. 18323/2006, accolse la domanda di danni nei confronti del Comune di Roma e lo condannò al pagamento della somma di Euro 16.700,00, oltre accessori, di cui Euro 12.214,21 per i danni agli autoveicoli, in ragione delle transazioni e quietanze, depositate in atti, intervenute tra la società attrice e i proprietari delle vetture danneggiate.

2. – Avverso tale decisione interponeva gravame il Comune di Roma, che la Corte d’Appello della medesima Città, con sentenza resa pubblica il 16 maggio 2013, accoglieva parzialmente, solo in punto di quantum debeatur, limitando la liquidazione ai soli danni cagionati alla strutture del rimessaggio “(recinzione, impianto elettrico)”, per la somma di Euro 2.000,00.

2.1. – La Corte territoriale, infatti, riteneva che la sottoscrizione delle transazioni intercorse tra la OK Caravan s.a.s. e i proprietari delle autovetture danneggiate non dimostrava, in assenza di “indicazione circa l’avvenuto pagamento e le modalità di pagamento”, che la società attrice avesse “provveduto essa stessa al pagamento”, là dove, inoltre, risultava, dal contratto di locazione dell’area adibita a rimessaggio, che la medesima società si era impegnata a stipulare un contratto di assicurazione per la copertura dei danni provocati a terzi dall’uso dell’immobile, per cui era “verosimile che il danno fosse anche coperto da assicurazione”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la OK Caravan s.a.s. sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso Roma Capitale (già Comune di Roma) e l’ACEA S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede la ICOGI S.p.A.

Tutte le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti.

La Corte territoriale, nel ritenere non provato il pregiudizio subito da essa società per gli esborsi relativi alle transazioni e quietanze intercorse con i proprietari delle autovetture in rimessaggio e rimaste danneggiate dall’incendio, avrebbe fatto erronea applicazione del principio di disponibilità delle prove, in quanto, nel corso del giudizio di primo grado, il Comune di Roma nulla aveva eccepito in ordine al quantum risarcitorio, non contestando affatto le allegazioni e i documenti prodotti dall’attrice a giustificazione delle spese sostenute per le riparazioni delle strutture e dei veicoli danneggiati, con la conseguenza che il Tribunale, in riferimento segnatamente alle transazioni, aveva escluso di dover ammettere a conferma la prova testimoniale.

1.1. – Il motivo è infondato.

1.1.1. – Con esso, nonostante venga formalmente evocata la violazione di una norma processuale – l’art. 115 c.p.c., (comma 1), nella sua attuale formulazione, effetto della novella recata dalla L. n. 69 del 2009 – non applicabile, ratione temporis, nella presente controversia (essendo questa iniziata con citazione del febbraio 2002), la denuncia è, nella sostanza, chiaramente orientata a far valere il mancato rispetto del principio di “non contestazione”, ossia di istituto che anche nel regime antecedente all’entrata in vigore della modifica al citato art. 115 c.p.c. aveva già avuto modo di affermarsi per via giurisprudenziale, trovando consolidamento nell’opera nomofilattica di questa Corte, ancorata, segnatamente, all’interpretazione degli artt. 416 e 167 c.p.c., rispettivamente quanto al rito del lavoro ed a quello ordinario.

In linea più generale, alla stregua del “diritto vivente” che ne ha enucleato i connotati e le coordinate essenziali, il principio pretorio in esame comporta la superfluità della prova dei fatti storici, e non già dei documenti prodotti e di essi rappresentativi (tra le altre, Cass., 6 aprile 2016, n. 6606), specificamente allegati e, per l’appunto, non specificamente contestati, riconducendo la valutazione della mancata contestazione dei fatti necessitanti di prova ad un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, come tale sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza (Cass., 14 gennaio 2004, n. 405; Cass., 16 dicembre 2005, n. 27833; Cass., 3 maggio 2007, n. 10182).

Per quanto, poi, rileva particolarmente in questa sede, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto cura di precisare che “l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti” (Cass., 13 febbraio 2013, n. 3576; Cass., 10 dicembre 2013, n. 27528; Cass., 18 luglio 2016, n. 14652).

E proprio in siffatta precipua prospettiva è da ritenersi – al di là di quale sia l’incidenza, anche innovativa, del novellato art. 115 c.p.c. sulla portata complessiva degli approdi giurisprudenziali pregressi (che non viene in discussione in questa sede) – che la “non contestazione” non possa reputarsi estranea all’orbita del principio di vicinanza della prova, per cui, secondo le circostanze del caso concreto, il fatto non contestato deve conformarsi come fatto non completamente avulso dalla sfera di dominio cognitivo del soggetto al quale spetti di contestare i fatti allegati da chi è onerato della prova in ragione delle coordinate della fattispecie legale di riferimento.

1.1.2. – Sicchè, nel caso di specie, la società attrice avrebbe potuto confidare nella “non contestazione” del Comune di Roma ove non si fosse limitata a dedurre di aver effettuato degli esborsi in forza delle transazioni stipulate con i proprietari delle autovetture danneggiate dall’incendio, ma avesse altresì allegato che di ciò il Comune convenuto aveva avuto una qualche cognizione, giacchè, altrimenti, le transazioni ed il pagamento ad esse consequenziale costituivano, per il medesimo Comune, inter alios acta e di per sè ignoti ad esso terzo.

In assenza di una siffatta deduzione (che non viene neppure adombrata in ricorso), non ha errato la Corte territoriale a valutare la portata probatoria degli atti transattivi (quali documenti in atti depositati e come tali apprezzati dal giudice di appello; documenti rispetto ai quali, come detto, non opera il principio di “non contestazione”) in riferimento all’effettivo avvenuto, o meno, pagamento da parte della OK Caravan s.a.s. delle somme ivi indicate.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1967 c.c., nonchè dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti.

La Corte d’Appello, in assenza di qualsiasi contestazione da parte del Comune convenuto, avrebbe errato nel ritenere non acquisita la prova degli esborsi effettuati dalla società attrice in base alle transazioni intercorse con i proprietari delle autovetture rimaste danneggiate dall’incendio, giacchè gli atti transattivi erano anche per quietanza delle somme ivi indicate e uno dei proprietari danneggiati aveva anche confermato, in sede di deposizione testimoniale, “il tenore della transazione” (essendo, peraltro, stato formulato sul pagamento transattivo apposito capitolo di prova – n. 8 -, non ammesso dal primo giudice proprio perchè ritenuta sufficiente al riguardo la documentazione prodotta in atti).

2.1. – Il motivo è inammissibile in tutta la sua articolazione.

Lo è, anzitutto, là dove viene dedotta la violazione dell’art. 1967 c.c., in quanto la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, giacchè la Corte di appello non ha affatto messo in discussione l’esistenza delle transazioni, in atti depositate dalla società attrice, ma ha ritenuto che dalle stesse non emergesse la prova dell’effettivo pagamento delle somme oggetto dell’accordo, nè che vi fossero indicate le modalità di pagamento. Di qui, peraltro, l’inammissibilità della generica denuncia di omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo i fatti anzidetti chiaramente indagati dal giudice di secondo grado.

E’ inammissibile, poi, là dove è censurato proprio l’anzidetto apprezzamento del giudice del merito, che involge l’interpretazione dell’accordo transattivo, che è stata effettuata dalla Corte di appello, pure sotto il profilo della presenza di una quietanza della parte danneggiata (là dove, invero, dal tenore delle transazioni – trascritto in ricorso: p. 9 – il termine “quietanza” compare solo nell’intestazione dell’accordo), senza che sia stata evocata una violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.

E’ inammissibile, altresì, là dove la critica della società ricorrente impinge nella valutazione riservata al giudice del merito sulla stessa portata delle transazioni e sul valore probatorio ad esse da ascrivere quanto all’effettivo pagamento delle somme indicate nei medesimi atti, tenuto conto, peraltro, che, trattandosi di scritture private provenienti da terzi estranei (rispetto ai convenuti), rappresentavano prove atipiche dal valore indiziario e discrezionalmente valutabili nell’ambito dell’intero corredo probatorio (cfr. in tale prospettiva, Cass., sez. un., 23 giugno 2010, n. 15169).

E’ inammissibile, infine, là dove ci si duole (sia pure genericamente) della mancata ammissione di una prova testimoniale sulla effettiva conclusione delle transazioni e sul pagamento ad esso relativo, senza che neppure venga evidenziato che sulla richiesta di ammissione di detta prova, articolata in primo grado, si sia insistito anche in sede di gravame.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il giudice di secondo grado, attribuendo rilievo all’obbligo di essa OK Caravan s.a.s. di stipulare un contratto di assicurazione contro i danni, avrebbe violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non essendo stata mai dedotta in giudizio la “questione sulla operatività o meno della polizza”. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe deciso in base a presunzioni prive di riscontro, in violazione dell’art. 115 c.p.c..

4. – Con il quarto mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “difetto di motivazione per illogicità e contraddittorietà manifesta”.

La decisione della Corte territoriale – nel rigettare, da un lato, la domanda di danni per gli esborsi relativi agli autoveicoli danneggiati e, dall’altro, nel confermare la liquidazione del danno alle strutture del rimessaggio, in quanto pregiudizio provato per testi – sarebbe illogica e contraddittoria, posto che anche il danneggiamento degli autoveicoli era un fatto certo e confermato dalle deposizioni testimoniali e, dunque, da potersi liquidare in via equitativa.

5. – Il quarto motivo – da scrutinarsi prioritariamente – è inammissibile.

Con esso, infatti, si veicolano censure attinenti alla illogicità e contraddittorietà della motivazione che, a seguito del vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., novellato dal D.L. n. 83 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis nel presente giudizio di legittimità, non sono più scrutinabili, essendo la denuncia possibile solo per l’omesso esame di fatto storico decisivo e oggetto di discussione tra le parti.

Nè, peraltro, le doglianze deducono ed evidenziano una anomalia motivazionale (come la “motivazione apparente” o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”), tale da trasmodare in violazione di legge costituzionalmente rilevante (tra le altre, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ciò che, in ogni caso, non è dato apprezzare nella motivazione, pienamente intelligibile, resa dal giudice di appello, giacchè la liquidazione equitativa del danno, patrimoniale, alla recinzione ed alle strutture del rimessaggio non implicava, come logica indefettibile conseguenza, che si dovesse giungere anche alla liquidazione, del pari equitativa, dell’ulteriore danno preteso dalla società attrice.

Va, invero, considerato che il danneggiamento delle autovetture, quale fatto incontroverso, ha costituito, nel rapporto obbligatorio tra OK Caravan s.a.s. e Comune di Roma, nascente dal fatto illecito di quest’ultimo ente, soltanto l’evento lesivo e non già il danno risarcibile (ossia la perdita subita ex art. 1223 c.c.) certo, ma di difficile ammontare (secondo quanto stabilito dall’art. 1226 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c.) patito dalla società attrice.

Difatti, il danneggiamento anzidetto veniva ad integrare la perdita patrimoniale subita dai proprietari delle autovetture, ossia di soggetti terzi rispetto all’obbligazione risarcitoria del Comune nei confronti della OK Caravan s.a.s., mentre la perdita patrimoniale il cui ristoro quest’ultima società avrebbe potuto reclamare (e che, in effetti, ha preteso giudizialmente) consisteva (o, meglio, sarebbe consistita), per l’appunto, negli esborsi effettuati per reintegrare il pregiudizio di detti terzi e cioè proprio in quel danno che la Corte di appello (a differenza di quanto ritenuto per il danneggiamento di recinzioni e strutture, ossia di pregiudizi che la OK Caravan aveva direttamente patito a causa del fatto illecito) ha reputato non essere provato e, dunque, non essere certo, così applicando correttamente i principi giuridici in materia di liquidazione equitativa del danno (cfr., tra le altre, Cass., 29 novembre 2011, n. 25222).

6. – Il terzo motivo è inammissibile.

Con esso viene aggredita una ratio decidendi della sentenza impugnata (copertura assicurativa contro i danni a terzi) ulteriore rispetto a quella, autonoma e da sola idonea a sorreggere la decisione, concernente il difetto di prova sugli esborsi che sarebbero stati effettuati dalla società attrice in base alle transazioni intercorse con i proprietari delle autovetture danneggiate dall’incendio. Ratio, quest’ultima, che, a seguito della infondatezza e dell’inammissibilità delle doglianze che le sono state rivolte (con il primo, secondo e quarto motivo di ricorso), è divenuta ormai definitiva, con la conseguenza che non potrebbe comunque pervenirsi alla cassazione della sentenza all’esito dell’esame della censura relativa all’altra ragione denunciata con il motivo in esame, che, dunque, non è più assistita dal necessario interesse all’impugnazione (tra le tante, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).

7. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e la società ricorrente condannata al pagamento, in favore del Comune di Roma, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Vanno, invece, interamente compensate le anzidette spese tra la parte ricorrente e l’ACEA S.p.A. (chiamata in causa dall’allora Comune di Roma), nei cui confronti la stessa OK Caravan s.a.s. non ha proposto domande, nè, del resto, il ricorso si rivolge, essendo stato, ad essa ACEA, notificato solo come litis denuntiatio (cfr. p. 15 del ricorso).

Infine, non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del presente giudizio nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

 

rigetta il ricorso;

condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di Roma Capitale, che liquida in Euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

compensa interamente dette spese tra la parte ricorrente e l’ACEA S.p.A.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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