Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22831 del 09/11/2016

Cassazione civile sez. II, 09/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16153-2015 proposto da:

SIS SYNERGY INTERNATIONAL SERVICES LTD, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

GRAZIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA UGGERI;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE, 71, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 401/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 07/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato GRAZIANI Alessandro, con delega orale dell’Avvocato

UGGERI Francesca che si è riportato integralmente al ricorso;

udito l’Avvocato DEL VECCHIO Andrea, difensore del resistente che si

è riportato alle difese in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 1137 c.c. depositato il 18 febbraio 2006, 3 Emme Immobiliare s.r.l., poi Spacenet Europe Ltd, quale proprietaria di più unità immobiliari adibite ad uso non abitativo, impugnava la Delib. condominiale 21 gennaio 2006, lamentando l’erronea applicazione dei criteri impiegati per l’addebito delle spese, avendo particolarmente riguardo ai riparti millesimali adottati.

Il Condominio (OMISSIS) si costituiva, chiedendo che la domanda attrice fosse dichiarata inammissibile o comunque rigettata.

All’udienza del 10 luglio 2007 si costituiva S.I.S. Synergy Italia Services s.r.l., oggi S.I.S. Synergy International Services Ltd, nella qualità di nuda proprietaria degli immobili oggetto del giudizio, di cui, quindi, l’attrice era solo usufruttuaria.

A tale giudizio, incardinato presso il Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò, e rubricato col n. 47/2006, ne erano riuniti altri (nn. 230/2007, 568/2008, 748/2008 e 1176/2009), aventi pure ad oggetto l’impugnativa di delibere assembleari. In tali giudizi erano sollevate contestazioni sempre vertenti sul contributo di spesa esigibile in sede di riparto.

Il Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salò, dichiarava che nel giudizio n. 47/2006 Spacenet, beenchè legittimata all’impugnativa con riferimento alla deliberazione afferente le spese ordinarie, aveva dichiarato di agire come proprietaria, mentre nel giudizio n. 230/2007 essa non poteva dolersi dell’atto impugnato, posto che questo concerneva l’addebito delle sole spese straordinarie. Rilevava, poi, che l’impugnativa delle due Delib. da parte di S.I.S. era tardiva, così come tardiva risultava essere l’impugnativa proposta col ricorso che aveva introdotto il giudizio n. 1176/09. Respingeva infine le domande di cui ai procedimenti nn. 565/08 e 748/08, ad eccezione di quella concernente il pagamento del canone per l’utenza televisiva RAI.

Interposto gravame, la Corte di appello di Brescia, con sentenza del 7 aprile 2015, rigettava l’impugnazione.

Contro questa pronuncia ricorrono per cassazione S.I.S. Synergy International Services Ltd e Spacenet Europe Ltd, le quali fanno valere quattro motivi di impugnazione; resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è lamentata violazione ed errata applicazione dell’art. 1137 c.c., comma 2 in correlazione con gli artt. 1004 e 1005 c.c. e art. 67 disp. att. c.p.c., commi 6 e 7. Rammentano le ricorrenti che col primo motivo di appello avevano censurato la declaratoria del difetto di legittimazione in capo all’usufruttuaria quanto all’impugnativa delle Delib. 21 gennaio 2006 e Delib. 17 febbraio 2007. L’usufruttuaria aveva eccepito la non corretta ripartizione delle spese per servizi condominiali, e in particolare, l’addebito di costi per servizi di cui non godeva e di altre spese di cui andava operata la riduzione, in base a quanto previsto dal regolamento condominiale: sicchè, in definitiva, era stata denunciata la violazione dell’art. 1123 c.c., comma 2. La materia rientrava tra quelle per le quali l’usufruttuario ha il diritto di voto, venendo in questione i costi che sullo stesso venivano riversati: in conseguenza, Spacenet era legittimata a proporre l’impugnazione.

La censura è inammissibile.

Deve premettersi che alla controversia non è applicabile la disciplina che ha novellato la materia condominiale (L. n. 220 del 2012).

La Corte di merito, con riferimento ai due procedimenti rubricati ai nn. 47/2006 e 230/2006, non ha negato che l’usufruttuaria mancasse della legittimazione ad impugnare le delibere, ma ha osservato che lo aveva fatto deducendo falsamente di essere proprietaria e sostenendo tesi difensive che solo la titolare del diritto dominicale era titolata a far valere. In tal modo ha attribuito a tale circostanza portata ostativa rispetto all’accertamento della validità delle delibere.

Ora, la censura non centra questa ratio decidendi della pronuncia, in quanto si sofferma sul fatto che le delibere avevano ad oggetto l’addebito di spese su cui l’usufruttuario ha diritto di voto, senza confrontarsi con l’affermazione secondo cui essa ricorrente non era legittimata a far valere, quale proprietaria, doglianze che solo all’usufruttuario competeva sollevare.

Il secondo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 1137 c.c., comma 2 in relazione all’art. 1123 c.c., commi 1 e 2. La Corte di merito – espongono le ricorrenti – aveva ritenuto applicabile, sempre con riferimento al primo motivo di appello, che investiva le statuizioni rese in relazione alle cause di cui ai nn. 47/2006 e 230/2007, il termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., ritenendo la delibera annullabile. Di contro, nella fattispecie, si dibatteva della non corretta applicazione dei criteri di ripartizione delle spese condominiali, sicchè veniva a configurarsi una nullità della delibera, come tale sottratta all’applicazione del termine decadenziale di cui alla nominata norma.

Anche tale motivo va dichiarato inammissibile.

La Corte di appello, giudicando sul terzo motivo di gravame, ha ritenuto che S.I.S. si fosse limitata a un semplice richiamo delle questioni articolate in primo grado, senza sollevare specifiche censure contro le affermazioni svolte sul punto dal giudice di primo grado. Ha perciò dichiarato inammissibile il motivo. Il tema del contendere attiene alla ritenuta tardività delle impugnative, da parte di S.I.S., di alcune delibere: impugnative che il Tribunale aveva reputato proposte senza rispettare il termine di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c., comma 2 e che in primo grado l’odierna ricorrente aveva affermato essere nulle.

Tale motivo, al pari del primo, non si misura con la decisione adottata dalla Corte di merito: tant’è che censura la sentenza impugnata per la violazione di norme sostanziali, e non per una impropria applicazione dell’art. 342 c.p.c..

E’ col terzo mezzo che viene dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.. La Corte distrettuale – spiegano le ricorrenti – aveva ritenuto inammissibile il quarto motivo di appello, nonostante le ricorrenti avessero affidato la censura a una lunga trattazione, dalle quali potevano evincersi le contestazioni sollevate, in fatto e in diritto, con riguardo alla sentenza di primo grado. In particolare, le ricorrenti odierne avevano censurato la mancata applicazione del regolamento condominiale vigente ai fini della ripartizione delle spese condominiali.

La censura non coglie nel segno.

Nella sentenza impugnata si legge, in proposito, che S.I.S. non aveva preso posizione sulla parte motiva della pronuncia di primo grado secondo cui le spese straordinarie e quelle ordinarie sono rispettivamente a carico del proprietario e dell’usufruttuario, mentre con riferimento alla doglianza svolta con riguardo al regolamento condominiale del 1977 non si comprendeva se le appellanti ritenessero corretta la decisione adottata dal giudice di primo grado, di ritenere applicabile quest’ultimo, piuttosto che quello del 1963, o se lamentassero proprio la mancata applicazione del secondo regolamento (quello adottato nel 1977).

In termini generali, i principi sottesi alla motivazione spesa sul punto dal giudice dell’impugnazione sono corretti. Infatti, come è noto, affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamene impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. 15 giugno 2016, n. 12280; nel senso che la parte ha l’onere di sollevare una censura “chiara e motivata”, Cass. 22 settembre 2015, n. 18704).

Le odierne ricorrenti rilevano di aver articolato diffusamente le loro critiche alla sentenza di primo grado, ma nulla deducono di preciso, nel corpo del motivo, con riferimento ai profili di inammissibilità evidenziati dalla Corte di appello, sicchè la censura svolta appare connotata da genericità.

Non rileva, in proposito, che le istanti abbiano provveduto a trascrivere, nella parte espositiva del ricorso, l’integrale contenuto del loro atto di appello, dal momento che il motivo di impugnazione per cassazione, per presentare la necessaria specificità, avrebbe dovuto recare una indicazione precisa delle argomentazioni svolte con riferimento ai rilevati profili di inammissibilità. La riproduzione integrale di alcuni degli atti del processo non può avere infatti una funzione sostitutiva degli elementi essenziali del ricorso stesso, sicchè essa deve essere pur sempre accompagnata da un’esposizione dei motivi (e dei fatti di causa) che risulti puntuale e connotata dalla completezza dei pertinenti riferimenti (si veda, in tema, Cass. 14 ottobre 2011, n. 21297).

Il quarto motivo, infine, contiene una doglianza che ha ad oggetto, per un verso, la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e, per altro verso, l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Le istanti rilevano, in sintesi, che nei precedenti gradi del giudizio avevano eccepito la violazione del regolamento condominiale in punto di disciplina del riparto delle spese: i giudici di merito non avevano tuttavia reso alcuna pronuncia con riguardo alle esclusioni e riduzioni di spesa che erano state prospettate.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Parte ricorrente non chiarisce a quali procedimenti e a quale motivo di appello si riferisca la censura, ma appare piuttosto evidente, avendo riguardo all’oggetto di essa, che ad essere sul punto investita dal ricorso per cassazione è la decisione sul quarto motivo di gravame, il quale concerneva le spese condominiali contestate nei giudizi nn. 565/08, 748/08 e 1176/09.

Ciò posto, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, posto che la Corte territoriale, come si è sopra visto, ha reso una decisione in rito sul quarto motivo di appello, ritenendolo inammissibile. Il vizio di omessa pronuncia implica, come è noto, la completa mancanza del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (per tutte: Cass. 18 giugno 2014, n. 13866): mancanza che nella fattispecie non può ravvisarsi, proprio in quanto la Corte di merito ha preso in esame il quarto motivo, ma ha ritenuto di non dover esaminare il merito di esso per la rilevata sua inammissibilità. Il vizio di omessa motivazione non è poi suscettibile di scrutinio in quanto nel giudizio di legittimità non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale (Cass. Cass. 5 novembre 2014, n. 23558; Cass. 1 marzo 2007, n. 4804).

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dell’obbligo, da parte dei ricorrenti, di procedere – con riferimento al secondo dei procedimenti riuniti – al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; dichiara sussistenti le condizioni, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, perchè i ricorrenti procedano al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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