Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22827 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 24/05/2017, dep.29/09/2017),  n. 22827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27023/2014 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELA GUERRIERI

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.F., non in proprio ma quale amministratore di

sostegno del Rag. C.F., elettivamente domiciliata in ROMA,

FORO TRAIANO 1-A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSMELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO BORSACCHI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 656/2014 del TRIBUNALE di PISA, depositata il

07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.F. ottenne dal Giudice di Pace di Pontedera il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo con il quale si ingiungeva al rag. C.F. il pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 1.644,25. Il F. aveva ingiunto il pagamento della suddetta somma in conseguenza del fatto che il rag. C., incaricato di redarre la dichiarazione dei redditi Unico 2002, non aveva ottenuto dall’Agenzia delle Entrate il riconoscimento del credito di imposta di detta dichiarazione nella successiva dichiarazione dei redditi 2003 e, tramite altro professionista, G.G., aveva appurato che la dichiarazione dei redditi, pure essendogli stata consegnata in copia dal C., non era stata presentata all’Erario.

Il rag. C. consegnò al legale del F. la dichiarazione del 17/12/2004, con la quale riconosceva il mancato invio della dichiarazione Unico 2002 impegnandosi ad effettuare il ricorso alla Commissione Tributaria a propria cura e spese e, in caso di esito negativo, a pagare l’importo richiesto, spese e interessi.

Ricevuta la cartella esattoriale per la somma di 1.644,25 il F. pagò l’importo chiedendone il rimborso al C.. Questi propose opposizione affermando che l’omesso invio della dichiarazione Unico 2002 fosse da attribuirsi al servizio telematico Entrate, e dunque ad un problema informatico ad esso non imputabile.

Disconobbe la scrittura del 17/12/2004 e che detta dichiarazione non poteva valere come riconoscimento di debito.

Costituitosi il contraddittorio, il Giudice di Pace respinse l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo e rigettò la domanda riconvenzionale di risoluzione del negozio del 17/12/2004.

Il C. propose appello per sentir dichiarare risolto il negozio 17/12/2004 intercorso tra le parti, che nulla fosse dovuto al F. e che il medesimo fosse condannato a restituire le somme da questi corrisposte.

Costituitosi il contraddittorio ed espletate le prove richieste e non ammesse dal giudice del primo grado) con sentenza n. 656 del 07/05/2014 il Tribunale accolse l’appello, revocò il decreto ingiuntivo e condannò il F. a restituire al C. quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, compensando per metà le spese di lite e condannando il F. a rifondere la restante metà.

Il giudice ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello, ha diversamente interpretato la scrittura privata posta a fondamento del procedimento monitorio ed ha concluso nel senso della inesistenza del credito agito in sede monitoria.

Ha ritenuto che, in base all’interpretazione letterale della dichiarazione posta a fondamento del procedimento monitorio, il professionista avrebbe assunto l’impegno solo nel caso in cui il ricorso avverso la cartella di pagamento non fosse andato a buon fine, sicchè, dal momento che il ricorso non era stato neanche proposto, la scrittura non poteva costituire fondamento dell’altrui diritto di credito.

Peraltro il giudice di appello ha ritenuto che, alla luce delle prove documentali e testimoniali acquisite in giudizio, fosse stata accertata l’interruzione del nesso causale tra la condotta del professionista ed il danno, sicchè neppure era imputabile allo stesso la mancata presentazione del ricorso.

Avverso la sentenza il F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria.

Resiste l’avv. M.M.F. quale amministratore di sostegno di C.F. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente si duole che il giudice d’appello avrebbe del tutto omesso di considerare quello che era stato il principale inadempimento del C. e cioè l’omessa trasmissione della dichiarazione dei redditi.

In sostanza avrebbe omesso di valutare che il C. si era assunto volontariamente l’obbligazione di predisporre un ricorso avverso la cartella esattoriale.

Il motivo è inammissibile in quanto il Giudice ha interpretato la clausola senza tacere che il C. non aveva potuto trasmettere, per via telematica all’Agenzia delle Entrate, il modello Unico 2000. Dunque la sentenza non ha omesso di accertare alcun fatto.

Con il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 e 2236 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la sentenza afferma l’interruzione del nesso causale tra la condotta del professionista e il danno, rappresentata dalla scelta volontaria dello stesso assistito di non presentare il ricorso predisposto dal professionista.

Il motivo è infondato. La sentenza ha motivato in modo da escludere l’imputabilità al professionista della mancata presentazione del ricorso e della sussistenza del nesso causale tra condotta del professionista e danno, rappresentata dalla scelta volontaria del F. di non presentare il ricorso. Non si vede quale violazione della diligenza nell’adempimento dell’obbligazione inerente l’esercizio di un’attività professionale o dell’art. 2236 c.c., possa configurarsi, dal momento che non è contestato in atti che fu il F. a non conferire la procura per la presentazione del ricorso.

Ne consegue, pertanto, il rigetto del ricorso con ogni conseguenza sulle spese del giudizio di cassazione e sul raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.500 (oltre Euro 200 per esborsi), accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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