Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22822 del 29/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 11/05/2017, dep.29/09/2017),  n. 22822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15562/2015 proposto da:

D.P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 19, presso lo studio dell’avvocato MARTINELLI STUDIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO DI PONZIO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAPPONI 16,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MILONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GABRIELE DI NOI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 199/2014 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

TARANTO, depositata il 28/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/05/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza qui impugnata, pubblicata il 28 aprile 2014, la Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto ha accolto parzialmente l’appello proposto da S.C. nei confronti dell’avv. D.P.V. e della Axa Assicurazioni S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 2114/2011. Con questa era stata accolta la domanda di risarcimento danni avanzata da S.C. contro l’avvocato per responsabilità professionale, in quanto aveva omesso di proseguire validamente, nei termini assegnati, un giudizio interrotto, così cagionando l’estinzione del processo (dichiarata con sentenza, con condanna del S. al pagamento delle spese di lite; confermata in appello, con altra condanna alle spese a carico dell’appellante, per il pagamento delle quali i creditori avevano agito con esecuzione mobiliare contro il S.) e la prescrizione del diritto risarcitorio vantato dall’allora attore S. nei confronti dell’allora convenuto M.E. (e poi dei suoi eredi), per danni da umidità alla proprietà dell’attore provocati dal M., proprietario confinante; il Tribunale aveva condannato la Axa Assicurazioni S.p.A., quale assicuratore dell’avv. D.P. per la responsabilità professionale, al pagamento, in favore del S., della somma complessiva di Euro 5.528,22, oltre rivalutazione ed interessi legali, con compensazione delle spese (per essere stata accolta parzialmente anche la domanda riconvenzionale dell’avvocato ed essergli stata riconosciuta la somma di Euro 8.354,91 per competenze professionali, portata in compensazione col maggior credito di Euro 13.883,13, liquidato in favore dell’attore a titolo risarcitorio);

– la Corte d’appello, adita dal S., ne ha accolto il gravame parzialmente, limitando la condanna dell’assicuratore a titolo di manleva (e non in via diretta come statuito dal primo giudice) e riconoscendo in favore dell’appellante la somma ulteriore di Euro 8.354,91, oltre accessori, così reputando non dovute all’avv. D.P. le competenze professionali per i due gradi del giudizio estinto (liquidate invece dal primo giudice); ha posto a carico dell’avvocato il pagamento delle somme, liquidate in primo (Euro 5.528,22) ed in secondo grado (Euro 8.354,91), per l’importo complessivo di Euro 13.883,13, oltre rivalutazione ed interessi legali, con condanna in manleva della Axa Assicurazioni; ha compensato per metà le spese di entrambi i gradi di giudizio, condannando l’avv. D.P. al pagamento della restante metà;

– avverso la sentenza l’avv. D.P.V. propone ricorso con sei motivi;

– S.C. si difende con controricorso;

– l’altra intimata non svolge attività difensiva;

– fissata la trattazione del ricorso in Camera di consiglio ai sensi dall’art. 375 c.p.c., comma 2, il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– in via preliminare, va dato atto della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, nella formulazione novellata dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, come sollevata dal ricorrente con la memoria conclusiva, in riferimento all’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 2; ed invero, non è essenziale per il rispetto del principio del contraddittorio nè del diritto di difesa “conoscere i motivi per cui il ricorso è stato rimesso alla Camera di consiglio”; è questa la modalità ordinaria di trattazione dei ricorsi dinanzi alla Corte Suprema, già ritenuta conforme a Costituzione (cfr. Cass. ord. n. 8869/17), in quanto rispettosa del diritto di difesa e del principio del contraddittorio (quest’ultimo, peraltro, nel caso di specie, esercitabile nei confronti del controricorrente ed irrilevante nei confronti del p.g. in mancanza di conclusioni scritte);

– col primo motivo si deduce violazione dell’art. 345 c.p.c., perchè l’appellante avrebbe ampliato il petitum risarcitorio, portando la sua richiesta da quella di Euro 21.747,36 (contenuta nell’atto di citazione in primo grado) a quella di Euro 24.002,23 (contenuta nell’atto di appello);

– il motivo è inammissibile per carenza di interesse, dal momento che il giudice d’appello ha accolto il gravame limitatamente alla somma di Euro 8.354,91, oltre accessori, già compresa nel petitum del primo grado di giudizio;

– col secondo motivo si deduce error in iudicando, relativamente alla liquidazione della somma di Euro 2.340,90, riferita all’erronea chiamata, nel giudizio a quo, di M.D., rispetto alla quale, secondo il ricorrente, il giudice avrebbe escluso in toto la responsabilità dell’avv. D.P.;

– il motivo è inammissibile per giudicato interno poichè la somma in contestazione era stata posta a carico dell’avvocato già con la sentenza di primo grado, sul punto non impugnata, avendo il D.P. prestato integrale acquiescenza;

– a conferma di detta inammissibilità, va rilevato che il motivo di ricorso non tiene conto dell’affermazione del giudice d’appello secondo cui non spettavano a titolo risarcitorio le spese pagate a M.D. da parte del S., in riferimento soltanto al primo grado del giudizio a quo (della cui mancata liquidazione si era doluto l’appellante S.), nulla disponendo il giudice d’appello per quelle del secondo grado (liquidate dal primo giudice, e non oggetto di impugnazione);

– col terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, relativamente al mancato riconoscimento in favore dell’avv. D.P. delle competenze spettanti per l’attività difensiva prestata per la procedura esecutiva, rispetto alla quale non è stata riscontrata alcuna colpa professionale;

– il motivo è inammissibile per la stessa ragione di cui si è detto trattando del secondo motivo, atteso che la sentenza di primo grado non conteneva alcuna liquidazione per l’attività prestata nel processo esecutivo, avendo il Tribunale liquidato soltanto le competenze relative ai due gradi del giudizio ordinario dichiarato estinto; per pretendere il pagamento di spese ulteriori, l’avv. D.P. avrebbe dovuto proporre appello incidentale, relativo all’accoglimento solo parziale della sua riconvenzionale;

– col quarto motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., perchè il giudice ha riconosciuto rivalutazione ed interessi malgrado il creditore non abbia fornito la prova del danno subito per la ritardata riscossione del credito;

– il motivo è inammissibile perchè rivalutazione ed interessi erano stati riconosciuti con la sentenza di primo grado e la già detta mancata impugnazione da parte del soccombente ha determinato la formazione del giudicato interno; infatti, il giudice di appello non ha proceduto ad una nuova liquidazione del quantum debeatur, ma si è limitato a ribadire l’importo già quantificato dal primo giudice, compresi gli accessori, escludendo soltanto che potesse essere portato in compensazione il credito per competenze professionali rivendicato dall’avvocato con la proposizione di domanda riconvenzionale; questa, accolta parzialmente dal primo giudice, è stata in sostanza integralmente rigettata dal secondo: per questo aspetto, la motivazione della sentenza (che argomenta in punto di applicabilità dell’art. 1224 c.c., con affermazioni prive comunque di valenza decisoria) va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.;

– col quinto motivo si deduce violazione dell’art. 2041 c.c., sostenendosi che il S., se fosse stato vittorioso nel giudizio estinto, avrebbe tutt’al più ottenuto la liquidazione della somma di Euro 3.187,92 (accertata dal CTU come dovuta per i danni sofferti, ed ascrivibili ai convenuti M.), mentre, in virtù della sentenza impugnata, si sarebbe arricchito, conseguendo la maggior somma di Euro 13.883,13;

– a prescindere dall’inammissibile riferimento all’art. 2041 c.c. (essendo piuttosto in discussione i criteri di liquidazione dei danni risarcibili), nel merito il motivo è manifestamente infondato;

– infatti, la somma complessiva di Euro 13.883,13 è stata liquidata all’attore a titolo di risarcimento dei danni causati dall’inadempimento contrattuale dell’avvocato, onde ripristinare la situazione patrimoniale del creditore danneggiato, nella quale vanno computati non solo i danni alla proprietà rimasti non risarciti da parte del responsabile (come pretende il ricorrente), ma anche i danni (ulteriori) prodotti dall’inadempimento del professionista;

– il giudizio controfattuale rispetto alla situazione patrimoniale complessiva del danneggiato, da ripristinare nello status quo ante, non va riferito all’esito potenziale della lite (nè al rifiuto della transazione, rispetto al quale il giudice del merito ha escluso qualsivoglia concorso del danneggiato, senza che la statuizione risulti impugnata), bensì all’esito effettivo del processo a quo, determinato dall’accertata responsabilità professionale dell’avvocato;

– col sesto motivo si deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., sostenendosi che il giudice d’appello avrebbe dovuto confermare la compensazione integrale delle spese del primo grado e compensare per intero quelle del secondo;

– il motivo è inammissibile perchè riferito all’esercizio del potere discrezionale del giudice, comunque conforme a diritto, avendo questi regolato le spese secondo il principio della soccombenza, pur se parziale;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore del controricorrente ai sensi dell’art. 93 c.p.c.;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 2.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore del controricorrente, ai sensi dell’art. 93 c.p.c..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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