Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22822 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 03/11/2011), n.22822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in Napoli, al Centro

Direzionale, ed. G/1, Via Giovanni Porzio, presso l’avv. Marra

Alfonso Luigi che lo rappresenta e difende per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Napoli n. 8581,

pubblicato il 2 dicembre 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 11 ottobre 2011 dal Relatore Pres. Ugo VITRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 22 ottobre – 2 dicembre 2008 la Corte d’Appello di Napoli condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 7.300,00 in favore di G.G. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui promosso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania con ricorso depositato il 29 aprile 1992, definito in primo grado con sentenza del 17 gennaio 2001 e in appello con sentenza del Consiglio di Stato del 25 giugno 2007.

Osservava la Corte che il giudizio si era protratto per nove anni e quattro oltre il termine di ragionevole durata e che nella specie andava liquidato un indennizzo pari a Euro 7.300,00 oltre interessi legali.

Contro il decreto ricorre per cassazione G.G. con sette motivi.

Non ha presentato difese il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deliberato di procedere con motivazione semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente si duole che le spese di lite siano state liquidate con riferimento alla tariffa dei procedimenti di volontaria giurisdizione e non a quella dei procedimenti contenziosi applicabile nella specie.

La censura è priva di qualsiasi riscontro in punto di fatto non contenendo il provvedimento impugnato alcun riferimento alla tariffa dei provvedimenti camerali.

Con il secondo motivo si lamenta la mancata liquidazione delle spese giudiziali secondo gli standards europei facendo diretta applicazione dell’art. 1 della Convenzione CEDU. La censura è infondata in quanto nel procedimento camerale per il riconoscimento dell’equo indennizzo trovano applicazione le disposizioni degli artt. 91 e segg. cod. proc. civ. senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU ovvero dal Protocollo aggiuntivo, poichè resta esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti dinanzi alla Corte di Strasburgo: dal l’approvazione della Convenzione CEDU non discende infatti alcun obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo negli stessi termini previsti quanto alle spese per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione (Cass. 21 ottobre 2009, n. 22305).

Inammissibile è il terzo motivo con il quale il ricorrente si limita a proporre un astratto quesito interrogando la Corte circa la applicazione nella specie della tariffa dei procedimenti contenziosi.

Con i motivi successivi, dal quarto al settimo, il ricorrente si duole sotto vari profili della liquidazione delle spese giudiziali articolando censure del tutto generiche senza alcun riferimento alla nota spese che si assume depositata nel giudizio di merito; esse non possono trovare accoglimento in forza del costante principio giurisprudenziale secondo cui la parte, per mettere il giudice di legittimità nella condizione di valutare la proposta censura, deve trascrivere nel ricorso per cassazione la nota spese depositata nel giudizio di me rito specificando gli errori commessi dal giudice nell’applicazione delle singole voci che si assumono liquidate in difformità delle previsioni di tariffa (Cass. 18 agosto 1999, n. 8721).

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.

La mancata partecipazione al giudizio del Ministero intimato preclude qualsiasi pronuncia sulle spese giudiziali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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