Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22820 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 09/11/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 09/11/2016), n.22820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11497/2012 proposto da:

C.L., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE DEI PARIOLI 76, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO DEL

VECCHIO (Studio Liberati e D’Amore), rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNUNZIATA PIRO;

– ricorrente –

contro

P.A., in proprio e quale erede di

P.P.A. e P.R., P.D. in proprio e quale

erede di P.P.A. e P.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 954/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato ANNUNZIATA PIRO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Napoli, depositata il 22 marzo 2011, che ha parzialmente accolto l’appello proposto da C.L. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 6356 del 2004, e nei confronti di P.A. e P.D..

1.1. – Con ricorso al Pretore di Ischia in data 23 dicembre 1992, P.A., in proprio e in qualità di procuratrice del padre P.P.A. e dei germani D. e R., propose domanda di reintegra nel possesso del terreno sito in (OMISSIS), oggetto di giudizio divisorio tra gli eredi P., che risultava occupato da C.L..

Il sig. C. dedusse di essere entrato legittimamente nel possesso del terreno, per averlo acquistato con atto per notaio A. del (OMISSIS) da B.T., la quale aveva dichiarato di averlo posseduto ininterrottamente per oltre trent’anni assieme al marito P.S., sicchè difettava l’elemento soggettivo dell’animus spoliandi.

1.2. – Il Tribunale, al quale fu rimessa la causa di merito, accolse la domanda e condannò il convenuto al rilascio del terreno, dichiarando compensate le eventuali migliorie apportate con i danni richiesti dall’attrice.

2. – La Corte d’appello, adita dal sig. C., ha dichiarato inammissibile per tardività la domanda di risarcimento danni proposta dall’attrice, confermando nel resto la decisione di primo grado.

2.1. – Per quanto ancora di rilievo, la Corte territoriale ha ritenuto che sussisteva la situazione di compossesso tra i ricorrenti in possessoria e la dante causa del convenuto C.; che i ricorrenti rivestivano la qualità di chiamati all’eredità, ed erano pertanto abilitati a proporre azioni possessorie ex art. 460 c.c.; che il sig. C., che aveva occupato il terreno contestualmente all’acquisto dalla sig.ra Boccolo avvalendosi espressamente dell’accessio possessionis, non aveva dimostrato che la dante causa Boccolo avesse compiuto atti di esclusione dei coeredi dall’esercizio del compossesso; che nel giudizio divisorio tra i coeredi P. era stato annullato il testamento di P.S. a favore della moglie B.T., dante causa di C., e il terreno oggetto della domanda possessoria era stato assegnato ai ricorrenti.

2.1. – Quanto al profilo soggettivo dello spoglio, la Corte d’appello ha evidenziato che era sufficiente la colpa ravvisabile nel comportamento del sig. C., reso edotto al momento dell’acquisto del terreno della pendenza del giudizio divisorio, la cui domanda era stata trascritta, con conseguente possibilità, per l’acquirente, di conoscere il contenuto delle richieste di terzi pretesi coeredi sul terreno in oggetto.

3. – Per la cassazione della sentenza C.L. ha proposto ricorso straordinario sulla base di otto motivi.

Non hanno svolto difese gli intimati.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo del compossesso del terreno da parte dei sigg. P., novità della relativa questione e non rilevabilità d’ufficio della stessa.

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 703, 125, 163 e 164 c.p.c., art. 24 Cost., e si denuncia la mancata formulazione dell’eccezione di compossesso o, in subordine, la nullità per genericità dell’eccezione e violazione del diritto di difesa.

2.1. – I motivi, da esaminare congiuntamente perchè censurano sotto plurimi profili la rilevabilità della situazione di compossesso del terreno oggetto della domanda di reintegra, non meritano accoglimento.

2.2. – In linea di principio, e quindi con valore assorbente rispetto alle ulteriori doglianze, si deve rilevare che il compossesso costituisce una variante quantitativa, non qualitativa del possesso, sicchè non è necessaria un’allegazione specifica della situazione di compossesso da parte di chi ricorra alla tutela possessoria. Come ripetutamente affermato da questa Suprema Corte, il fatto costitutivo dell’azione è il possesso, nel quale il giudice può rilevare, anzichè una situazione di possesso solitario, una convergenza di poteri di fatto che si traducono sostanzialmente in compossesso. Pertanto, non si ha mutamento della domanda, nè vizio di ultrapetizione, quando, chiestasi la reintegrazione nel possesso esclusivo dell’immobile, la reintegra venga poi chiesta od accordata per essere la parte istante, anzichè possessore esclusivo, semplicemente compossessore (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 13415 del 2014; Cass., sez. 2, sentenza n. 2109 del 1962). Nel caso di specie, per altro, la Corte d’appello ha evidenziato che la situazione di compossesso tra la parte ricorrente in reintegra e la dante causa dell’appellante C. era stata specificamente allegata con le note autorizzate, nel corso del giudizio di primo grado.

3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 460 e 1146 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta la legittimazione dei sigg. P. all’esercizio dell’azione possessoria in quanto costoro, all’epoca della proposizione del ricorso, avevano già introdotto il giudizio divisorio, così accettando tacitamente l’eredità, e, d’altra parte, non erano stati ancora riconosciuti eredi nel medesimo giudizio divisorio, che si era concluso soltanto nel 2005.

Il ricorrente lamenta, inoltre, la retrodatazione del possesso dei ricorrenti alla data del decesso del nonno P.D., a fronte dell’accertamento, contenuto nella sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2037 del 2005, della mancanza di beni in capo al predetto.

4. – Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1146, 1168 e 703 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si denuncia la carenza di legittimazione dei ricorrenti, sul rilievo che alla data della sentenza di primo grado del giudizio possessorio non era ancora stata emessa la sentenza definitiva del giudizio di divisione, che aveva riconosciuto agli stessi la qualità di eredi.

4.1. – I motivi, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

4.2. – Risultano inammissibili le contestazioni riguardanti le questioni successorie, decise dalla sentenza della Corte d’appello che ha definito il giudizio divisorio.

4.3. – Il ricorrente contesta la legittimazione attiva della controparte negando in capo ai sigg. P. sia la qualità di chiamati all’eredità, sia quella di eredi, così prospettando una implausibile situazione di neutralità a fronte della pendenza del giudizio divisorio alla data della proposizione del ricorso per la reintegra del possesso.

Correttamente la Corte d’appello ha riconosciuto ai ricorrenti, in quanto chiamati all’eredità, la legittimazione alla tutela possessoria pur in assenza di materiale apprensione dei beni, facendo applicazione dell’art. 460 c.c., ed ha poi evidenziato che la stessa Corte d’appello di Napoli, con sentenze parziali, aveva annullato il testamento di P.S. a favore della moglie Triestina Boccolo, dante causa di C., quindi riconosciuto a P.P.A. ed ai figli A., D. e R. la qualità di coeredi, e infine, con sentenza definitiva, aveva attribuito a questi ultimi il terreno oggetto della domanda possessoria.

5. – Con il quinto motivo è dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, e si contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui incombeva sull’appellante l’onere di dimostrare che la dante causa aveva compiuto atti diretti all’apprensione ed occupazione esclusiva del terreno, come peraltro emergeva dalle prove testimoniali e dalla documentazione prodotta (procura notarile, poi revocata, da B.T. ad P.A.).

5.1. – La doglianza è infondata.

5.2. – Il successore a titolo particolare può giovarsi del possesso esercitato dal dante causa, unendolo al proprio ai sensi dell’art. 1146 c.c., comma 2, ma deve dimostrare che il dante causa ha posseduto, e nel caso di compossesso tale prova necessariamente implica la dimostrazione che il dante causa ha esercitato il dominio esclusivo della res, attraverso un’attività manifestamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 19478 del 2007). La decisione della Corte territoriale sul riparto dell’onere probatorio risulta pertanto corretta.

Quanto all’apprezzamento degli elementi di prova, la Corte d’appello ne ha dato conto con motivazione congrua, che in quanto tale sfugge al sindacato di legittimità (ex plurimis, Cass., sez. 6-5, ordinanza n. 1414 del 2015).

6. – Con il sesto motivo è dedotta violazione dell’art. 1168 c.c. e si contesta la sussistenza dell’animus spoliandi, che avrebbe dovuto essere provato dalla ricorrente e che, in caso di dubbio, imponeva il rigetto dell’azione di spoglio.

6.1. – La doglianza è infondata.

6.2. – Il ricorrente, che nella sostanza denuncia un vizio di motivazione, sollecita un’inammissibile rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello a mezzo dell’esame del materiale probatorio, a fronte di motivazione plausibile e congrua, che si sottrae al sindacato di legittimità.

7. – Con il settimo motivo è dedotto vizio di motivazione con riferimento alla pronuncia di rilascio del bene.

7.1. – La doglianza è manifestamente infondata, giacchè il ricorrente non è coerede e quindi è estraneo alla situazione di compossesso accertata dalla Corte d’appello.

8. – Con l’ottavo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. e art. 2697 c.c. e si contesta l’inammissibilità della prova per testi dedotta dai ricorrenti anche sotto il profilo del vizio di motivazione, assumendo che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni valutazione al riguardo.

8.1. – La doglianza è inammissibile per difetto di interesse, in quanto introduce una questione che è rimasta estranea alla ratio decidendi, come tale priva di decisività (Cass., sez. 3, sentenza n. 21418 del 2014).

La Corte territoriale, infatti, ha riconosciuto la legittimazione della parte appellata all’azione possessoria in applicazione degli artt. 460 e 1146 c.c., “a prescindere dalla sussistenza o meno di atti di concreto esercizio del possesso sul fondo (pur oggetto delle contrastate risultanze della prova testimoniale raccolta in primo grado)” (così a pag. 6 della sentenza impugnata).

9. – Il ricorso è rigettato senza pronuncia sulle spese, poichè gli intimati non hanno svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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