Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22819 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 03/11/2011), n.22819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23938-2009 proposto da:

V.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l’avvocato

POTTINO GUIDO MARIA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZAULI CARLO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

06/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato il 6 agosto 2008 la Corte d’appello di Ancona condannò il Ministero della Giustizia a corrispondere alla sig.ra V.C. la somma di Euro 3.000,00, oltre agli interessi, a titolo di equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo civile promosso dalla stessa sig.ra V. nei confronti della AUSL di Cesena per ottenere il risarcimento del danno conseguente ad errori da lei imputati al personale sanitario che l’aveva assistita in occasione di un’interruzione di gravidanza.

La corte anconetana ritenne che il giudizio, protrattosi in due gradi per otto anni ed undici mesi, avesse ecceduto di circa tre anni ed undici mesi il termine di ragionevole durata, che non risultasse provato o comunque liquidabile alcun indennizzo per il danno patrimoniale lamentato dalla ricorrente per tale eccessiva durata del processo, e che il danno non patrimoniale potesse essere equitativamente determinato nella misura sopra indicata. Tenuto conto del divario tra la somma richiesta e quella accordata, la medesima corte compensò per metà le spese processuali e pose a carico del Ministero della Giustizia solo la restante metà di quelle anticipate dalla controparte.

Per la cassazione di tale provvedimento la sig.ra V. ha proposto ricorso, articolato in otto motivi ed illustrato con successiva memoria, al quale l’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I primi cinque e l’ottavo motivo del ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, vertono tutti sulla misura dell’indennizzo liquidato dalla corte d’appello, che la ricorrente lamenta essere inadeguato, alla stregua dei parametri fissati in casi simili dalla Corte Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, tenuto conto della natura dei diritti e dell’entità del danno di cui si è discusso nel processo la cui durata è risultata eccessiva e, viceversa, dell’irrilevanza dell’esito per lei negativo di tale processo (peraltro ancora suscettibile di esser modificato a seguito di ricorso per cassazione).

Tali doglianze non appaiono meritevoli di accoglimento.

Se è vero che l’esito della causa, salvo che la parte non sia stata manifestamente consapevole dell’infondatezza del proprio assunto, non incide sul patema d’animo e quindi sul pregiudizio non patrimoniale cagionato alla medesima parte dall’eccessivo protrarsi del giudizio nel tempo, è vero altresì – e risulta nel presente caso decisivo – che l’entità dell’indennizzo equitativamente liquidato dalla corte anconitana non si discosta in modo significativo dal metro usuale che questa corte ha di recente individuato come coerente con i dettami della Corte Europea di Strasburgo (cfr., ex multis, Cass. n. 21840 del 2009 e n. 17922 del 2010).

Non v’è motivo per derogare da tale criterio nella fattispecie in esame, nè ciò potrebbe dipendere dalla particolare rilevanza della posta in gioco nel giudizio della cui durata la ricorrente si è lamentata, apparendo del tutto congrua la valutazione a questo riguardo operata dalla corte di merito e dovendo la rilevanza della predetta posta in gioco esser considerata in termini oggettivi, a prescindere dalla prospettazione soggettiva fattane dalla parte.

Neppure vi sono ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento di questa corte che impone di tener conto, ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, non già dell’intera durata del giudizio di cui si discute bensì soltanto del tempo nel quale quel giudizio di è protratto oltre la ragionevole misura (cfr., tra le altre Cass. n. 1354 del 2008, n. 10415 del 2009 e n. 478 del 2011).

2. Il sesto motivo di ricorso, riguardante la liquidazione delle spese processuali operata dalla corte d’appello in misura inferiore a quanto richiesto (peraltro solo i diritti sono stati ridotti per centosessantotto Euro, mentre la riduzione degli onorari è del tutto irrilevante e le spese vive sono state integralmente riconosciute), è inammissibile, sulla scorta del principio per cui la parte che intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato per pretesa violazione dei minimi tariffari ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (cfr. Cass. n. 3651 del 2007 e n. 18086 del 2009). Nel caso di specie la ricorrente si è invece limitata ad indicare gli importi complessivi richiesti a titolo di spese vive, diritti ed onorari, senza alcuna analitica specificazione delle singole voci.

3. Infondato è, infine, il settimo motivo di ricorso, nel quale si censura la compensazione parziale delle spese processuali disposta dalla corte territoriale, trattandosi di una statuizione adeguatamente motivata – alla stregua del divario tra l’importo dell’indennizzo richiesto dalla parte attrice e quello liquidato dal giudice – che, per il resto, rientra nella discrezionale valutazione del giudice di merito e perciò si sottrae al vaglio della Corte di cassazione.

4. La peculiarità del caso e l’estrema genericità delle difese spiegate in questa sede dall’amministrazione suggeriscono di compensare tuttavia le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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