Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22817 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 12/08/2021), n.22817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27677-2015 proposto da:

A.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UFENTE

12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BRESMES, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO DE MINICIS,

STEFANO MARIA COMMODO;

– ricorrente –

contro

R.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SABINA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/08/2015 R.G.N. 108/2015; udita la relazione della

causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2020 dal

Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Notaio R.A. convenne in giudizio A.M.C. sua dipendente fin al 7 febbraio 2010, e nominata “presentatore” ai sensi della L. n. 349 del 1973 con decreto del Presidente del Tribunale di Fermo del 9.1.2003 – e ne chiese la condanna al pagamento della somma di Euro 166.968,70 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a titolo di danno conseguente all’appropriazione indebita di somme per cambiali portate all’incasso e non rinvenute in cassa al momento della cessazione dall’incarico per effetto delle dimissioni dalla stessa presentate.

2. All’esito dell’istruttoria il Tribunale in parziale accoglimento della domanda condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 120.000,00 con interessi legali ed al pagamento delle spese.

3. Investita del gravame in via principale della A. ed in via incidentale del R. la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello incidentale rigettando quello principale, ed ha condannato la A. al pagamento della somma di Euro 166.968,70 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo.

3.1. Il giudice di appello ha ritenuto che sin dal ricorso introduttivo era stato dedotto che la lavoratrice si era resa inadempiente ad obblighi di custodia e diligente gestione che le incombevano in relazione all’attività svolta presso lo studio notarile e che il danno era stato parametrato non tanto alla sottrazione delle somme quanto, piuttosto, al negligente adempimento dei compiti a lei affidati. La mancata rendicontazione e messa a disposizione del datore di lavoro delle somme.

3.2. Ha escluso perciò che dovesse ritenersi sussistente la dedotta pregiudizialità con il procedimento penale per appropriazione indebita dove peraltro era stato chiesto dal notaio, costituitosi parte civile solo il risarcimento del danno non patrimoniale.

3.3. Ha ritenuto inammissibili e comunque ininfluenti le prove testimoniali articolate inidonee a dimostrare che l’inadempimento fosse dipeso da causa non imputabile alla lavoratrice e comunque con il concorso del datore di lavoro.

3.4. Ha evidenziato che non v’era dubbio che le somme chieste fossero relative a titoli in custodia alla A. da consegnare per l’incasso nella sua qualità di “presentatrice”.

3.5. Non vi è dimostrazione della restituzione delle somme corrispondenti ai titoli restituiti in aggiunta a quelle già esistenti nella cassetta consegnata all’atto della cessazione dell’incarico né dell’appropriazione delle somme stesse da parte della dipendente a cui la cassetta era stata riconsegnata.

3.6. Inoltre è stato ritenuto che non esonerasse dalla responsabilità la lavoratrice la circostanza che il datore di lavoro avesse trascurato di controllare periodicamente la sua attività e non pretendesse periodiche rendicontazioni.

3.7. Conclusivamente ha ritenuto provato l’inadempimento della lavoratrice e il danno subito dal datore di lavoro, che aveva dovuto versare alle banche le somme corrispondenti ai titoli, nonché il nesso causale tra l’uno e l’altro.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.M.C. affidato a sette motivi al quale ha opposto difese R.A. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inesistenza della notifica telematica del ricorso per cassazione L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis e della conseguente nullità ed inammissibilità del ricorso atteso che l’irritualità della notificazione di un atto nella specie, ricorso per cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale dello stesso, in omaggio alla regola generale sancita dall’art. 156 c.p.c., comma 3, ed in mancanza di un concreto pregiudizio per l’esercizio del diritto di difesa, neppure prospettato (cfr. Cass. 16/02/2018 n. 3805, 01/06/2018 n. 14042, 12/07/2018n. 18402 e 19/10/2018n. 26489). Inoltre insieme al ricorso è stata notificata anche la procura ad esso spillata e chiaramente riferita al presente giudizio.

6. In ogni caso il ricorso, per quanto sovrabbondante, risulta ammissibile ma, ciò nonostante, non può essere accolto.

7. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. per avere erroneamente interpretato la domanda con motivazione contraddittoria, ritenendo che fosse stata proposta una domanda di responsabilità contrattuale laddove invece la pretesa azionata era sussumibile in una responsabilità extracontrattuale.

8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata ancora una volta la violazione dell’art. 112 c.p.c. oltre che degli artt. 324 e 436 c.p.c.. Sostiene la ricorrente che il giudice di primo gradg nell’affermare la responsabilità per le mancanze di cassasi era attestato sull’accertamento di una responsabilità contrattuale. Ha quindi dedotto che in appello tale statuizione non era stata specificatamente censurata e dunque era coperta da giudicato. Conseguentemente la Corte di merito non avrebbe potuto procedere ad una diversa qualificazione della domanda proposta e per tale aspetto la sentenza era ancora una volta affetta da nullità.

9. Con il terzo motivo di ricorso, poi, la A. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. oltre che dell’art. 75 c.p.p., comma 3 e sostiene che il giudice di appello, una volta qualificata la domanda come ancorata ad una pretesa condotta illecita della lavoratrice, avrebbe dovuto sospendere il giudizio in corso ed attendere l’esito del giudizio penale instaurato nei confronti della dipendente.

10. Le tre censure, da esaminare congiuntamente poiché ruotano per diversi aspetti intorno alla qualificazione della domanda risarcitoria proposta, non possono essere accolte.

10.1. In primo luogo va qui ribadito che, una volta allegati i fatti, è rimessa al giudice la qualificazione della domanda proposta. In tema di ultrapetizione o extrapetizione, infatti, va distinta l’ipotesi in cui, in corso di causa, la parte deduca a fondamento della domanda fatti nuovi e diversi da quelli in precedenza dedotti – introducendo così nuovi temi di indagine – dall’ipotesi in cui, rimanendo inalterati i fatti dedotti, essa ne dia una diversa qualificazione giuridica, verificandosi nella prima ipotesi un mutamento della domanda e nella seconda un semplice mutamento della qualificazione giuridica. Non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che come nel caso in esame, fermi restando i fatti posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni, ritenga una fattispecie di responsabilità di tipo extracontrattuale, pur avendone la parte dedotto il diverso titolo contrattuale, limitandosi a dare una diversa qualificazione giuridica della domanda, senza mutamento dei fatti sui quali si fonda (cfr. Cass. n. 2746 del 2007).

10.2. Nell’interpretare la domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate. A tal fine deve tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa (cfr. Cass. n. 19630 del 2011).

10.3. La Corte territoriale, attenendosi a tali principi ha verificato che sulla base dei fatti allegati, la domanda proposta mirava all’accertamento di una responsabilità contrattuale connessa alle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro intercorso tra le parti e perciò non è incorsa nel vizio di extra petizione denunciato. Neppure sussisteva un obbligo per il datore di lavoro di impugnare la statuizione di primo grado per contestare la qualificazione data all’azione di responsabilità proposta (contrattuale o extracontrattuale). Ben vero che il potere – dovere del giudice di qualificare la domanda nei gradi successivi al primo va coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni, sicché deve ritenersi precluso al giudice dell’appello di mutare d’ufficio – violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – la qualificazione ritenuta dal primo giudice in mancanza di gravame sul punto ed in presenza, quindi, del giudicato formatosi su tale qualificazione (cfr. Cass. n. 14573 del 2005).

10.4. Nella fattispecie non è ravvisabile un onere di impugnazione da parte di un soggetto che era risultato vincitore in primo grado sebbene sulla base di una diversa qualificazione della domanda. Era sufficiente, e la parte vi aveva ottemperato, reiterare tutte le domande ed eccezioni formulate in primo grado senza proporre un appello incidentale, seppur condizionato, inammissibile, non avendo la parte alcun interesse alla sua proposizione ove lo stesso verta, come nella specie, su una parte della motivazione che non abbia dato luogo ad una pronuncia su questione, pregiudiziale di rito o preliminare di merito, sfavorevole alla parte totalmente vittoriosa (Cass. 13/07/2018 n. 18648).

10.5. Ne’ la Corte era tenuta a sospendere il giudizio in attesa della definizione del procedimento penale per appropriazione indebita in cui l’odierno controricorrente, parte civile, aveva chiesto solo il danno non patrimoniale laddove nell’odierno processo si era agito per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale. In terna di rapporto tra giudizio civile e processo penale, il primo può essere sospeso, in base a quanto dispongono l’art. 295 c.p.c., art. 654 c.p.p. e art. 211 disp. att. c.p.p., ove alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale (cfr. tra le tante Cass. 23/05/2019 n. 14151, 16/03/2017 n. 6834).

11. Il quarto motivo di ricorso con il quale viene censurata la sentenza per aver omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti è inammissibile.

11.1. Sostiene la ricorrente che il giudice di appello avrebbe trascurato di considerare: che erano trascorsi oltre trenta giorni tra la cessazione del rapporto e la prima contestazione dei fatti e deduce che in tale periodo altri avrebbero potuto attingere alla cassa; sottolinea che non vi era nell’ufficio una seria contabilità, che non vi fu un passaggio di consegne vero e proprio o comunque una verifica al momento della cessazione del rapporto il 6.2.2010; sostiene che l’ammanco riscontrato così come gli ammanchi precedenti potevano essere riferiti ad altri che del pari si occupavano del servizio titoli ed incassi; allega l’esistenza di una polizza assicurativa che negligentemente non era stata attivata e deduce che in parte il danno era riferibile allo stesso Notaio, il Dott. R..

11.2. Così facendo la ricorrente più che denunciare l’omesso esame di fatti decisivi propone una ricostruzione dei fatti che si contrappone puramente e semplicemente a quella effettuata dal giudice di appello.

Ed infatti la Corte di merito ha tenuto conto dell’esistenza del lasso temporale trascorso, ha analizzato la dinamica dei fatti ma ha valorizzato la condotta della A. la quale si era sottratta al confronto sia con l’impiegata che le era subentrata che con il datore di lavoro che l’aveva convocata. Inoltre tiene conto delle modalità di gestione dell’ufficio, dell’esistenza di ammanchi precedenti, della circostanza che anche ad altri erano affidate le mansioni svolte dalla A. ma se ne è sottolineata l’episodicità. Dell’esistenza della polizza non si dà conto in sentenza ma, tuttavia, la ricorrente non chiarisce la decisività della circostanza che non appare evidente ove si consideri che si trattava di polizza sottoscritta dal Notaio per una responsabilità verso i terzi e non per coprire quelli dallo stesso subiti. Quanto all’ammontare del danno il ragionamento della corte è lineare e non si espone alle censure mosse. Si tratta di responsabilità contrattuale conseguente alla custodia da parte della A. delle somme e dunque è onere della lavoratrice provare l’impossibilità della prestazione. In mancanza di prova se ne presume la colpa. Inoltre la Corte, con accertamento incensurabile in questa sede, ha verificato che dalla documentazione depositata in giudizio era emerso che le somme erano pervenute nella disponibilità della dipendente. Conseguentemente era la A. che doveva provare di averle restituite o di esserne stata impossibilitata.

12. Il quinto motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 349 del 1973, artt. 2,4 e 5 in relazione all’affermazione di un obbligo di custodia a carico del ricorrente con riferimento alle concrete modalità di organizzazione dell’attività lavorativa della ricorrente, è infondato. La Corte di appello ha accertato quali erano le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa sicché la ricostruzione opposta dalla ricorrente, che deduce al contrario che non le sarebbe mai stata affidata la custodia della cassetta in cui venivano custoditi i soldi da versare e che comunque la responsabilità era condivisa con altri dipendenti dello studio, si risolve in una inammissibile ricostruzione che si contrappone a quella plausibile della Corte di merito che perciò non può essere censurata.

13. Altrettanto deve dirsi con riguardo al sesto motivo di ricorso che, pur denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., nella sostanza contesta l’accertamento di fatto del giudice di merito che ha escluso che l’assetto organizzativo dello studio avesse concorso nella causazione ovvero nell’aggravamento del danno.

14. Anche l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in quanto il giudice di appello avrebbe comunque trascurato di considerare che era circostanza incontestata che insieme alla cassetta era stata restituita una busta piena di denaro contante che si aggiungeva al contenuto della prima ed avrebbe potuto essere sottratto da chiunque. Deduce la ricorrente che sul punto la motivazione della Corte di appello sarebbe del tutto insufficiente e la sentenza avrebbe perciò fatto malgoverno delle risultanze istruttorie.

14.1. Si osserva al riguardo che la ricorrente si duole nella sostanza della ricostruzione complessiva dei fatti la cui revisione, tuttavia, non è consentita al giudice di legittimità se non nei ristretti limiti in cui è ammissibile la denuncia di un vizio della motivazione.

In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. (cfr. Cass. n. 27000 del 2016 e successivamente n. 1229 del 2019).

15. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R. n., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 7.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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