Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22808 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 12/09/2019), n.22808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17001-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 175 c/o Direzione Affari Legali Poste Italiane, rappresentata

e difesa dall’avvocato MARIA LINA GALANTE;

– ricorrente –

contro

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 184,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO ZACCARETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCO ORONZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 875/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/01/2014 R.G.N. 530/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNAMARIA URSINO per delega verbale Avvocato MARIA

LINA GALANTE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 875 depositata il 7.1.2014, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’appello proposto da I.A. e in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al predetto da Poste Italiane s.p.a. il 30.5.2006 e condannato quest’ultima alla reintegra presso le strutture site nel comprensorio del comune di Ortona, come disposto dalla sentenza del Tribunale di Chieti n. 808/2005, al pagamento delle retribuzioni e al versamento dei contributi dalla data del recesso fino all’effettiva reintegra, detratto l’aliunde perceptum.

2. La Corte di merito ha dato atto della declaratoria, con la citata sentenza n. 808/2005, di illegittimità del termine apposto al contratto a tempo determinato in esecuzione del quale il sig. I. aveva prestato servizio in Ortona e del rifiuto del medesimo di prestare servizio presso la sede di Ancona, ove Poste lo aveva trasferito per dare esecuzione all’ordine giudiziale di ripristino del rapporto.

3. I giudici di appello hanno ritenuto che Poste non avesse dato prova della legittimità del trasferimento e, in particolare, del superamento nella sede di (OMISSIS) e in quelle più prossime della soglia di copertura di organico fino al 109%, prevista dall’accordo sindacale del 29.7.2004 relativo alla riammissione in servizio dei lavoratori in esito a pronunce giudiziali di conversione dei contratti a termine.

4. Più esattamente, la sentenza impugnata ha considerato insufficiente ai fini probatori il documento elaborato dal sistema elettronico (e non ha ammesso la prova testimoniale articolata a conforto del contenuto dello stesso), contenente secondo Poste l’elenco delle sedi disponibili, in mancanza di prova della veridicità dei dati elaborati sia quanto al superamento della citata soglia nella sede di provenienza ((OMISSIS)) e sia riguardo al momento in cui ciò si sarebbe verificato; essendo invece rilevante accertare se tale superamento della soglia fosse anteriore o successivo all’ordine giudiziale di riammissione in servizio (nel caso di specie la sentenza del Tribunale di Chieti risaliva al 2005 e l’elenco dei posti disponibili risultava redatto il 26.1.2006).

5. Ha quindi ritenuto giustificata, data la mancanza di prova dell’impossibilità di reimpiego nella sede di provenienza, l’inottemperanza del lavoratore all’ordine datoriale di trasferimento e illegittimo il licenziamento irrogato.

6. Avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. I..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,421 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

2. Ha censurato per manifesta illogicità e insanabile erroneità la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto la prova testimoniale articolata dalla società inidonea a comprovare, unitamente ai documenti prodotti, le ragioni del trasferimento del sig. I. presso l’ufficio di Ancona ed il rispetto della procedura di riammissione in servizio di cui all’accordo sindacale del 29.7.2004. Ha criticato, in subordine, l’omesso esercizio dei poteri istruttori d’ufficio da parte dei giudici d’appello, a fronte della ritenuta incertezza probatoria.

3. Il motivo è inammissibile, quanto al dedotto vizio motivazionale, in quanto non si conforma allo schema legale del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

4. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

5. Nel caso di specie, la denuncia investe non l’omesso esame di un fatto storico decisivo bensì la mancata ammissione delle prove orali richieste dalla società e quindi l’esercizio del potere di ammissione e valutazione delle prove, riservato al giudice di merito, non censurabile in questa sede di legittimità ed assolutamente estraneo al perimetro di cui al citato art. 360 c.p.c., n. 5.

6. Neanche appare configurabile un vizio di carenza assoluta di motivazione tale da integrare la violazione dell’art. 132, n. 4; le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionalè del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e graficò, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”.

7. Si è ulteriormente precisato (Cass., S.U., n. 22232 del 2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”, (cfr. anche Cass. n. 12351 del 2017).

8. Tali difetti non sono in alcun modo rinvenibili nella decisione impugnata che contiene un logico percorso motivazionale a sostegno della insufficienza delle prove addotte dalla società.

9. Peraltro, in una fattispecie analoga a quella in esame, questa Corte (Cass. n. 23595 del 2018) ha statuito che “In materia di trasferimento dei dipendenti postali, già assunti a termine, la eccedentarietà presso la sede di provenienza, di cui all’accordo sindacale del 29 luglio 2004, non può essere accertata semplicemente sulla base dell’inclusione del comune di precedente adibizione negli elenchi dei comuni definiti eccedentari dal datore di lavoro, ma va effettuata, per ciascuno di detti comuni, sulla base di informazioni relative al numero dei posti in organico, al personale impiegato e alla relativa percentuale di copertura, sì da consentire al dipendente di conoscere ed eventualmente contestare tali dati e al giudice di valutarli”.

10. La Corte d’appello, nella fattispecie in esame, ha sottolineato la sostanziale irrilevanza della prova testimoniale in quanto meramente confermativa del contenuto del documento giudicato di per sè quale prova inidonea perchè contenente solo i risultati della elaborazione di dati, senza che la società avesse allegato i dati immessi e i criteri di elaborazione degli stessi, così da consentirne una valutazione critica.

11. Neppure fondata è la censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo potere di ammissione e valutazione della prova.

12. Inammissibile è la censura relativa all’omesso esercizio dei poteri istruttori d’ufficio atteso che Poste non ha allegato di averne sollecitato l’esercizio. Secondo l’orientamento consolidato (Cass. n. 22534 del 2014; n. 25374 del 2017), nel rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito.

13. Col secondo motivo la società ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., dell’accordo quadro 29.7.2004 nonchè dell’art. 37 c.c.n.l. del 2003, in relazione alle risultanze di causa, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 116 c.p.c..

14. Ha censurato la sentenza impugnata per aver omesso il necessario e rigoroso confronto delle prove documentali e del contenuto delle prove testimoniali con la procedura di riammissione disciplinata dall’accordo del 29.7.2004 che, ove eseguito, avrebbe dimostrato la corretta attuazione dell’accordo medesimo e quindi la legittimità del trasferimento.

15. Neppure il secondo motivo di ricorso può trovare accoglimento.

16. Sebbene tale motivo sia prospettato sub specie di violazione di legge (artt. 2103,2697 c.c.), ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, dalla sua intera illustrazione si evince come, con esso, la società ricorrente intenda ottenere una rivisitazione del materiale probatorio (sulla eccedentarierà della sede di provenienza e sulla conseguente legittimità del trasferimento, rispettivamente accertata e attuato nel rispetto della procedura di cui all’Accordo del 29.7.2004) inammissibile in questa sede, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014).

17. Col terzo motivo di ricorso il lavoratore ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

18. Ha criticato la pronuncia di secondo grado per aver ravvisato nella condotta del lavoratore gli estremi dell’autotutela di cui all’art. 1460 c.c. senza valutare la proporzionalità della stessa al dedotto inadempimento datoriale e la conformità a buona fede, requisiti entrambi mancanti nel caso di specie.

19. La censura è infondata.

20. La Corte territoriale ha esattamente applicato i principi in materia di trasferimento di dipendenti postali, secondo cui il rispetto dell’accordo del 29 luglio 2004 che prevede specifici criteri per individuare la collocazione dei lavoratori già assunti a termine riammessi in servizio presso sedi cd. eccedentarie, non costituisce una certificazione ex ante di legittimità in ordine alla sussistenza dei requisiti per il trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c. e dunque non vale ad esonerare la società Poste Italiane s.p.a. dalla prova delle ragioni tecniche, produttive ed organizzative legittimanti il singolo trasferimento (Cass. 13 marzo 2017, n. 6407; n. 20745 del 2018); implicando poi l’ottemperanza all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, il ripristino della posizione di lavoro del dipendente nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. L’opposta tesi si baserebbe sul principio, evidentemente non condivisibile, che l’autonomia collettiva possa sottrarsi al rispetto di norme inderogabili (Cass. n. 1597 del 2016; n. 6407 del 2017; in materia di ius variandi cfr. Cass. n. 4989 del 2014) o sostituirsi ad essa.

21. In tema di eccezione “inadimplenti non est adimplendum”, questa Corte (Cass. n. 3959 del 2016; n. 1697 del 2017; n. 29054 del 2017) ha statuito che in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460 c.c., comma 2, sicchè lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria.

22. Si è ulteriormente precisato che il giudice, qualora sia proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, debba procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse (Cass. n. 4474 del 2015); e che in base al disposto dell’art. 1460 c.c., comma 2, la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede (Cass. n. 11408 del 2018; n. 434 del 2019).

23. In fattispecie sovrapponibili a quella in esame, si è ritenuta conforme ai principi di diritto sopra richiamati la decisione dei giudici di merito che avevano considerato grave l’inadempimento datoriale all’obbligo di riammettere in servizio il dipendente (avente diritto a seguito della conversione giudiziale del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato) nella sede di provenienza, con assegnazione ad una sede di lavoro diversa, senza alcuna giustificazione basata su ragioni tecniche, organizzative e produttive; con conseguente legittimità del rifiuto opposto dal lavoratore di prendere servizio nella diversa sede in cui era stato illegittimamente trasferito, in quanto rispondente al citato requisito di proporzionalità per il pregiudizio arrecato al diritto del dipendente giudizialmente accertato oltre che agli interessi personali e familiari dello stesso (Cass. n. 11927 del 2013; n. 18178 del 2017; Ord. n. 20745 del 2018).

24. Nel caso di specie, la Corte di merito, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede ha, sia pure sinteticamente, sottolineato l’assoluta mancanza di giustificazioni nella decisione datoriale di trasferimento, in quanto motivata unicamente in base al rispetto dell’accordo sindacale, e quindi l’implicita gravità dell’inadempimento; ha dato atto della costante disponibilità del lavoratore a rendere la prestazione nella sede di provenienza ed ha accertato in base a tali elementi, il requisito di proporzionalità nel rifiuto opposto dal lavoratore.

25. In tal modo la sentenza d’appello si è uniformata ai principi di diritto sopra enunciati e si sottrae alle censure di violazione di legge mosse col motivo di ricorso in esame.

26. Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto.

27. La regolazione delle spese di lite segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

28. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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