Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22807 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 12/09/2019), n.22807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17924/2014 proposto da:

T.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati BRUNO BARBATO MASTRANDREA,

VITO CAMPISI;

– ricorrente principale –

ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1508/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/01/2014 R.G.N. 430/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1508/13, pronunciando sull’appello proposto dal Dott. T.P.P., medico che aveva frequentato un corso di specializzazione negli anni 1984/1988, qualificata l’azione come rivendicazione del diritto alla adeguata remunerazione, ha ritenuto le legittimazione passiva della convenuta Università Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e, ritenuto non prescritto il diritto azionato, ha ritenuto infondata tale domanda richiamando il principio espresso da Cass. n. 22440/2009 secondo cui, in tema di remunerazione dei medici specializzandi per l’attività formativa svolta presso le strutture ospedaliere delle Università degli Studi, la mancata trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive CE n. 75/362 del 16 giugno 1975 e n. 82/76 del 26 gennaio 1982 non consente di riconoscere agli specializzandi, per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, un diritto soggettivo nei confronti delle medesime Università, tenute esclusivamente all’erogazione del servizio di formazione e degli assegni di studio previsti dal D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 262, art. 10: in assenza di un rapporto di lavoro anche di tipo parasubordinato con lo specializzando e di qualsiasi indicazione sia in ordine all’istituzione alla quale incombe l’obbligo di pagamento che in ordine al metodo di determinazione della remunerazione, non è infatti configurabile nè un’efficacia orizzontale nè un’efficacia verticale della normativa comunitaria.

1.1. La Corte di appello ha poi affermato che, se è vero che gli specializzandi che hanno frequentato i corsi in data successiva alla predetta direttiva e prima della legge attuativa nel diritto interno delle prescrizioni sovranazionali (D.Lgs. n. 27 del 1991) hanno diritto alla reintegrazione per equivalente di quanto non fruito per il tardivo recepimento dell’obbligo dello Stato di dare attuazione alle direttive comunitarie (S.U. n. 9147/2009), tuttavia non era questa l’azione proposta dal Dott. T. e “in ogni caso, comunque ed ulteriormente, anche a volere ammettere la proposizione di detta azione…” occorreva richiamare la “consolidata giurisprudenza di legittimità” che si era espressa sul tema della legittimazione passiva in ordine a tale azione.

2. Per la cassazione di tale sentenza il T. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Ha resistito l’Università con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

3. Il ricorrente principale ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il ricorso principale il Dott. T. denuncia nullità della sentenza art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere omesso di pronunciare sulla domanda di risarcimento del danno da mancato recepimento della direttiva 82/76/CE, domanda proposta sin dal primo grado di giudizio.

Sostiene che la domanda di “adeguata remunerazione” non costituiva che il presupposto per il riconoscimento del risarcimento del danno da mancato recepimento della direttiva comunitaria, per cui la domanda diretta ad ottenere detta remunerazione, correttamente interpretata secondo il tenore complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non poteva che attenere al riconoscimento della responsabilità dello Stato italiano per inadempimento dell’obbligazione ex lege e all’accertamento del correlativo diritto del medico ad essere risarcito dei danni causati dalla mancata attuazione. In adempimento degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., trascrive le parti salienti dell’atto di citazione e dell’atto di appello.

2. Con il ricorso incidentale condizionato l’Università denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 303 del 1999, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene che, ove fosse accolto il ricorso e si ritenesse che l’oggetto della domanda atteneva al risarcimento del danno per intempestivo recepimento della direttiva nell’ordinamento interno, sussisterebbe il difetto di legittimazione passiva dell’Università, stante l’esclusiva titolarità della funzione normativa in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

3. Il ricorso principale è infondato, restando assorbito nel relativo rigetto l’esame del ricorso incidentale condizionato dell’Università.

4. Il Dott. T. lamenta l’omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che gli specializzandi che hanno frequentato i corsi in data delle prescrizioni alla Direttiva e prima della legge attuativa nel diritto interno delle prescrizioni sovranazionali (D.Lgs. n. 257 del 1991) hanno diritto a una reintegrazione per equivalente di quanto non fruito per il tardivo adempimento dell’obbligo dello Stato di dare attuazione alle disposizioni comunitarie e sostiene che tale domanda sarebbe stata proposta nell’atto introduttivo del giudizio.

5. La censura è infondata.

5.1. Il vizio di omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non ricorre allorchè una pronuncia sul capo di cui si lamenta l’omissione sia stata adottata dal giudice del merito, sia pure con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura sul punto (Cass. n. 6656 e 8713 del 2004).

5.2. Sulla domanda risarcitoria – che il ricorrente assume di avere proposto sin dal l’atto introduttivo – non è stata omessa la pronuncia, ma la Corte di appello ha espressamente statuito, proprio per l’eventualità di una diversa qualificazione della domanda, ed ha affermato che, se un’azione risarcitoria poteva essere avviata dal medico, essa non poteva essere diretta nei confronti dell’Università.

6.La Corte territoriale, nel richiamare più volte Cass. 22440 del 2009 che aveva giudicato in un caso del tutto sovrapponibile, in cui il medico aveva agito per la adeguata remunerazione nei confronti dell’Università in attuazione delle Direttive CEE n. 75/362 e n. 82/76, all’epoca non ancora recepite nel diritto interno, in materia di trattamento coordinato, negli Stati membri, dei medici specializzandi, ne ha recepito l’orientamento.

In quella sede questa Corte aveva affermato che la mancata trasposizione nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria non consentiva di riconoscere agli specializzandi, nel periodo anteriore alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, un diritto soggettivo nei confronti delle medesime Università, tenute esclusivamente alla erogazione del servizio di formazione e degli assegni di studio previsti dal D.P.R. n. 262 del 1981, art. 10. Difatti:

– Lo Stato italiano solamente con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, aveva dato attuazione alle Direttive CEE n.ri 75/363 del 16 giugno 1975 e 82/76 del 26 gennaio 1982, che armonizzavano, in tutti gli Stati membri dell’Unione, i corsi di formazione dei medici specializzandi, di regola a tempo pieno, e prevedevano una loro remunerazione, da corrispondere agli stessi nelle forme di “borse di studio”;

– non possono essere integrate le lacune della legislazione interna nella materia, in assenza di un rapporto di lavoro dello specializzando con l’Università, che sarebbe stata tenuta a pagare solo il corrispettivo ai sensi dell’art. 36 Cost., ma che nulla deve, in difetto d’un quadro normativo vigente in Italia, che consenta una giusta determinazione della pretesa remunerazione;

– è il diritto interno l’unico rilevante nella fase antecedente alle norme attuative delle Direttive a identificare i soggetti tenuti a remunerare lo specializzando come chiarito sia dalle decisioni della Corte di Giustizia già citate che dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19 novembre 2008 n. 27481 e i precedenti in essa richiamati);

– va dunque negato che l’efficacia vincolante delle Direttive (a base della pretesa in senso verticale) potesse sussistere in senso orizzontale e direttamente nei confronti dell’Università degli studi che, quale soggetto pubblico autonomo, avrebbe potuto erogare le sole remunerazioni a cui era tenuta con i fondi ad essa attribuiti dalla legge statale vigente prima del 1991 che, oltre agli eventuali assegni di studio ai sensi del D.P.R. n. 262 del 1982, art. 10;

– è dunque esclusa l’esistenza di un diritto soggettivo dell’appellante alla remunerazione nei confronti dell’Università in questa sede, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.

6.1. Escluso che dalle Direttive citate possa desumersi un obbligo dell’Ateneo di remunerare gli specializzandi prima delle norme del 1991 ovvero di adempiere direttamente alle previsioni della disciplina sovranazionale, non sarebbe proponibile una domanda risarcitoria diretta ad ottenere il risarcimento dall’Università degli studi.

6.2. Anche le S.U., con la recente sentenza n. 30649 del 2018, hanno ribadito che costituisce principio ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (superate alcune precedenti incertezze), in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Europea, quello secondo cui la legittimazione passiva sostanziale nei riguardi della azione giudiziale, nella specie instaurata, diretta a far valere (alla stregua dell’orientamento espresso da Cass. S.U. n. 9147/09) l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo ex lege di trasposizione legislativa, nel termine prescritto, di direttive comunitarie (nella specie nn. 75/362/CEE e 82/76/CEE) non autoesecutive, compete per l’appunto esclusivamente allo Stato italiano, e per esso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quale articolazione dell’apparato statuale che è legittimata a rappresentare lo Stato nella sua unitarietà (cfr. fra molte: Cass. n. 8292 e n. 10613 del 2015; n. 16104 del 2013).

7. Il ricorso principale va dunque rigettato, con assorbimento dell’incidentale condizionato e con compensazione delle spese del presente giudizio, in considerazione della complessità delle questioni giuridiche sottese alle azioni aventi ad oggetto il risarcimento dei danni da inadempimento dello Stato italiano per il mancato (o tardivo) recepimento della direttiva Europea, azioni promosse dai medici che seguirono corsi di specializzazione in epoca anteriore alla data fissata per l’attuazione della direttiva.

8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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