Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22807 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 03/11/2011), n.22807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.D. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA G. DI COLLOREDO 46-48, presso l’avvocato DE PAOLA

GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

15/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato AMATO FELICE, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.D. con ricorso alla Corte d’appello di Firenze proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica dinanzi alla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale territoriale, definito con sentenza di rigetto dopo sei anni circa dalla sua instaurazione.

La Corte d’appello, ritenuta ragionevole nella specie una durata di tre anni, liquidava in favore della ricorrente, a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole di tre anni circa del giudizio presupposto, la somma di Euro 1500,00 oltre interessi legali e spese del procedimento.

Avverso tale decreto, depositato il 15 maggio 2008, G.D. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 10 giugno 2009. Il Ministero dell’economia e finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso si articola in due motivi. Con entrambi si censura la liquidazione dell’indennizzo in Euro 500,00 per anno di ritardo rispetto alla durata ragionevole, denunciando, con il primo, la violazione degli art. 6, par. 1 e art. 41 C.E.D.U., della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 2697 cod. civ. Si sostiene che, con tale liquidazione, la corte di merito abbia violato il diritto vivente, come interpretato da questa corte e dalla Corte E.D.U., secondo cui il danno da equa riparazione va individuato nell’importo compreso tra Euro 1000,00 ed Euro 1500,00 salvo che ricorrano particolari controindicazioni, la cui prova la Amministrazione resistente non avrebbe nella specie fornito. Con il secondo motivo, formulato in subordine, si denuncia il difetto di motivazione della medesima valutazione relativa alla modesta entità della sofferenza per la durata irragionevole del giudizio presupposto, che la corte di merito avrebbe basato su assiomi illogici, astratti, unilaterali ed apodittici.

2. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente e giuridicamente connesse, non meritano accoglimento. La corte di merito ha tenuto conto dei criteri sopra evidenziati di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea e da questa corte, ai quali ha fatto espresso e puntuale riferimento, indicando nel contempo le circostanze che nella specie giustificano, secondo la sua valutazione ed alla stregua degli stessi criteri, uno scostamento dal parametro di base. La critica che la parte ricorrente muove a tale valutazione discrezionale, quella cioè di non essere aderente al caso specifico in esame, non è, da un lato, sussumibile nell’ambito della denuncia di un vizio di violazione di legge (la corte di merito non ha violato i criteri di determinazione applicati dalla Corte europea: (cfr. S.U. n. 1340/2004) essendo piuttosto riferita ad una errata ricognizione della fattispecie concreta in esame, cioè ad un vizio di motivazione; dall’altro, sotto quest’ultimo profilo non merita condivisione. La corte d’appello ha ritenuto che la sofferenza, il patema d’animo, l’ansia per l’attesa della decisione sia stata nella specie modesta tenendo presente la scarsa rilevanza degli interessi in gioco. Ha quindi legittimamente espresso la valutazione discrezionale che le compete, esponendo congruamente (ancorchè sinteticamente) le circostanze del caso in esame che, pur non essendo idonee ad escludere il pregiudizio non patrimoniale da ritardo ingiustificato della decisione (cioè a vincere la relativa presunzione), ne giustificassero un apprezzamento in termini riduttivi, con conseguente contenimento del risarcimento nella misura indicata. Una motivazione siffatta si sottrae alle censure di illogicità e astrattezza formulate dalla parte ricorrente, che del resto non ha nel ricorso indicato, tantomeno riprodotto, le eventuali risultanze in atti, idonee a fondare una diversa valutazione, il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice di merito. Non appare invero illogico nè astratto tener conto, ai fini dell’accertamento in ordine alla entità del pregiudizio non patrimoniale presuntivamente sofferto, della modestia della posta in gioco emergente dagli atti: a tale affermazione del resto il ricorrente neppure in questa sede ha contrapposto una specifica allegazione di segno contrario, necessario presupposto di un eventuale apprezzamento comparativo con le condizioni economiche della stessa parte, ove risultanti dagli atti.

3. Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese di questo giudizio di legittimità, non avendo il resistente svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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