Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22805 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/11/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 09/11/2016), n.22805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4948-2015 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

MIRANDOLA 20, presso lo studio dell’avvocato MARIO RANUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA LAURA PASSANANTE, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 835/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositato il 01/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con decreto del 1.7.2014 la Corte d’appello di Caltanissetta rigettava la domanda che G.P. aveva proposto ai sensi della L. n. 89 del 2001 con ricorso del 3.5.2012, per ottenere un equo indennizzo, ulteriore rispetto a quello già ottenuto in precedenza per la durata irragionevole del suo fallimento, pendente innanzi al Tribunale di Marsala dal 1990. Osservava la Corte territoriale che il ricorrente non aveva provato l’ulteriore pendenza della procedura concorsuale e che non poteva sottrarsi a tale onere probatorio con la richiesta di acquisizione degli atti del procedimento presupposto. Atti che, ad ogni modo, non erano pervenuti nonostante la richiesta che la stessa Corte aveva inoltrato al Tribunale di Marsala.

Per la cassazione di tale decreto G.P. propone ricorso, affidato a un motivo.

Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo di ricorso deduce la violazione L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3, e 4 artt. 6, 8 e 13 CEDU, artt. 1226 e 2056 c.c., e il vizio motivazionale, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, Deduce che la L. n. 89 del 2001, in coerenza con il modello procedimentale degli artt. 737 c.p.c. e ss., che attribuisce al giudice di disporre l’acquisizione d’ufficio degli atti del processo presupposto, non consente di risolvere a danno della parte ricorrente la mancata produzione della documentazione relativa.

2. – Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Come già affermato da questa Corte (v. sentenza n. 4888/15), la cui motivazione può riprodursi intatta per la perfetta sovrapponibilità al caso di specie, “in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, l’oggetto della domanda è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione, rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto (Cass. n. 16836/10)”.

“Ciò vuol dire che ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5, – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001 sussiste un poter d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere (Cass. n. 16367/11; conforme, n. 9381/11 e 18603/05; contra, Cass. n. 24965/11)”.

“A conclusioni analoghe è pervenuta Cass. n. 4103/13, la quale ha ritenuto che il potere officioso di acquisizione di atti e documenti L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 3, comma 5, – che è coerente con il potere di assumere informazioni previsto in generale per i procedimenti camerali dall’art. 738 c.p.c. – non consente, in presenza di una espressa richiesta della parte in ordine a tale acquisizione, di considerarla onerata, al fine della prova della tempestività della domanda, della produzione di atti e documenti del processo presupposto, tra i quali va compreso sia l’avviso di avvenuta notificazione della sentenza da parte dell’ufficiale giudiziario D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, ex art. 112 sia l’avviso dell’avvenuta notificazione dell’impugnazione ex art. 123 disp. att. c.p.c., da annotarsi sull’originale della sentenza”.

“A tale prevalente indirizzo sull’ampia latitudine dei poteri che il giudice di merito può esercitare ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, questo Collegio intende assicurare continuità anche con riferimento al caso in cui non vi sia un’espressa sollecitazione di parte intesa all’esercizio dei poteri stessi. Anche in tale ipotesi, infatti, è sufficiente l’allegazione degli elementi fattuali relativi al giudizio presupposto, quali la data d’inizio e quella di chiusura, la partecipazione ad esso della parte in una data posizione processuale, lo svolgimento del processo e l’oggetto del contendere. Assolto tale onere, la natura camerale del procedimento di equa riparazione impone al giudice, anche ai sensi dell’art. 738 c.p.c., u.c., di provvedere alle acquisizioni probatorie necessarie, senza che ciò costituisca elusione dell’onere probatorio gravante sulla parte attrice (in generale, sui poteri del giudice in sede camerale e sui relativi limiti, cfr. Cass. n. 11864/04)”.

2.1. – Nella specie la Corte territoriale non si è attenuta ad alcuno dei principi anzi detti, e nel rigettare il ricorso per la mancata dimostrazione della pendenza del procedura fallimentare ha fornito, implicitamente, un’interpretazione erronea della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, e non ha considerato l’art. 738 c.p.c., u.c. Ciò senza neppure avvertire la contraddizione con la propria precedente richiesta effettuata al Tribunale di Marsala, cui peraltro sarebbe stato sufficiente sollecitare informazioni, appunto, sulla pendenza della procedura più che pretendere la trasmissione dei relativi atti in copia.

3. – Pertanto, il decreto impugnato va cassato con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Caltanissetta, che nel provvedere ad un nuovo esame del ricorso si atterrà al principio di diritto anzi detto.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Caltanissetta, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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