Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22800 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 03/11/2011), n.22800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO MASSERIA PUCCI S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in

persona del Curatore dott. S.C., elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso l’avvocato MANFEROCE

TOMMASO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

amministratore giudiziario delle quote aziendali e dei beni della

Masseria Pucci spa, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO MESSICO

3, presso l’avvocato DI CROCE MARIAGRAZIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CIRILLO LUCA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

E.V., BANCA AGRICOLA COMMERCIALE DELLA REPUBBLICA DI SAN

MARINO;

– Intimati –

sul ricorso 3668-2009 proposto da:

BANCA AGRICOLA COMMERCIALE DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO (c.f.

(OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso l’avvocato GIANNI

SAVERIO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FALLIMENTO MASSERIA PUCCI S.P.A., M.M., MASSERIA PUCCI

S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5133/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/12/2008;

preliminarmente si procede alla riunione dei ricorsi in quanto

avverso alla stessa sentenza;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MANFEROCE TOMMASO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

PASTACALDI MASSIMO, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In accoglimento del reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 23/2008 dichiarativa del fallimento della società Masseria Pucci s.p.a. dal dott. M.M. n.q. di amministratore giudiziario delle quote azionarie e dei beni della medesima società sottoposta a sequestro preventivo dal g.i.p. presso il Tribunale di Napoli ai sensi dell’art. 321 c.p.p., la Corte d’appello di Roma con sentenza n. 5133 depositata il 9 dicembre 2008, affermata la legittimazione processuale dell’amministratore giudiziario, ne ha accolto le censure avendo ritenuto indimostrata la condizione d’insolvenza della società fallita, ed ha per l’effetto revocato il fallimento.

Avverso questa decisione hanno proposto separati ricorsi per cassazione il curatore fallimentare in base a tre motivi e la Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino, unico creditore istante, con due motivi. Il dott. M. nella cennata veste ha resistito al ricorso del curatore fallimentare con controricorso. La società intimata non ha invece spiegato difesa. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, indirizzati avverso la stessa decisione, sono stati riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il curatore del fallimento Masseria Pucci, ricorrente principale, denuncia.

1.- violazione della L. Fall., art. 5. Ascrive alla Corte del merito sia d’avere erroneamente valutato la situazione patrimoniale della società, reputando che la sua consistenza consentisse il pagamento dei debiti, sia d’avere ritenuto che l’assoggettamento delle quote sociali alla misura cautelare rappresentasse situazione contingente ed eccezionale, che aveva ostacolato il regolare adempimento dell’unico credito.

Formula conclusivo quesito di diritto con cui chiede se sia sufficiente per escludere lo stato d’insolvenza di una società che l’entità dell’attivo possa soddisfare i crediti del terzi già scaduti.

In relazione all’ulteriore profilo di censura il quesito di diritto chiede se ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza il giudice possa vagliare le cause che hanno procurato l’inadempimento.

Se, inoltre, ai medesimi fini, possa rilevare che l’impossibilità di provvedere ad regolare adempimento sia dipesa da sequestro preventivo dei beni immobili dell’imprenditore.

2- Vizio d’omessa motivazione su fatto controverso. La Corte distrettuale non avrebbe affatto spiegato come l’entità dell’attivo consentisse il regolare adempimento dei debiti, nè se fosse stata accertata concreta attitudine dei beni ad essere adoperati per pagare i debiti.

Il vizio denunciato si anniderebbe altresì nell’omesso esame di ulteriore esposizione debitoria dell’importo di Euro 600.480,13, all’epoca già maturata nei confronti di Intesa San Paolo, che ne ha infatti chiesto ed ottenuto ammissione allo stato passivo in Euro 520.701,96.

La sintesi conclusiva rappresenta il fatto controverso e decisivo nella concreta attitudine dei cespiti patrimoniali ad essere adoperati per estinguere puntualmente i debiti scaduti, peraltro non correttamente accertati.

3.- ancora vizio d’omessa motivazione. Non risulterebbe motivata la ragione per la quale, accertato il debito scaduto in Euro 300.000,00, sarebbe priva di rilevanza l’ulteriore esposizione debitoria accertata in Euro 180.000,00.

Il motivo espone sintesi conclusiva.

Il ricorso incidentale della Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino denuncia:

1.- violazione di legge. Richiamando il principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 7147/2000, espressamente disatteso dalla Corte del merito, assume la carenza di legittimazione dell’amministratore giudiziario a proporre reclamo alla sentenza di fallimento.

Il conclusivo quesito di diritto chiede se l’amministratore e custode dei beni sequestrati in sede penale ex art. 321 c.p.c. sia legittimato a reclamare il fallimento della società intervenuto in pendenza della misura cautelare.

2.- violazione della L. Fall., art. 5. Premessa l’anteriorità del crediti di Intesa San Paolo alla data del sequestro, la levata di molteplici protesti, e l’irrilevanza dell’eccedenza delle poste patrimoniali attive su quelle passive, ascrive alla Corte territoriale:

1.- di non aver considerato gli eventi precedenti, al sequestro sintomatici dello stato d’insolvenza, omettendo di attribuire il giusto rilievo ai protesti di ben 25 assegni bancari per complessivi Euro 585.000,00 e non per l’importo di Euro 180.000,00 erroneamente indicato, all’iscrizione da parte di Intesa San Paolo in data 30 luglio 2007 dell’ipoteca giudiziale per Euro 850.000,00 sulla base d’ingiunzione del 16.7.2007, nonchè alla revoca degli affidamenti intervenuta il 14 agosto 2007;

2.- d’aver inoltre esaminato il solo bilancio societario relativo all’anno 2006, estrapolandone soltanto alcuni dati numerici.

Il conclusivo quesito chiede se lo stato d’insolvenza di una società, di capitali, che pur presenti bilancio in attivo, sia individuabile se risultino l’omesso pagamento di ingenti debiti societari, certi, liquidi ed esigibili, l’esistenza di precedenti iscrizioni ipotecarie, la levata di protesti, l’emissione successiva del provvedimento di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p..

Per evidenti ragioni di logica priorità, deve esaminarsi preliminarmente il primo motivo del ricorso da ultimo esaminato.

La Corte del merito ha affermato la legittimazione del dott. M. nella qualità di amministratore giudiziario dei beni e delle quote sociali della Masseria Pucci a proporre il reclamo, rilevando anzitutto che il disposto della L. Fall., art. 6, pur nel testo novellato, legittima ogni interessato a reclamare la pronuncia di fallimento e, di sicuro, l’amministratore dei beni sottoposti a sequestro in vista della successiva confisca ha interesse a sottrarre tali beni alla liquidazione concorsuale. Diversa è la funzione demandata al custode dei beni sequestrati ex art. 316-317 c.p.c. che, secondo il principio enunciato nella sentenza del S.C. n. 7147/2000, è sottesa alla mera conservazione dei beni sequestrati, e pertanto, non confligge con l’apertura del fallimento che, pur determinando lo spossessamento della gestione di quei beni, non determina sottrazione alla garanzia patrimoniale, in vista della quale è emessa la misura cautelare. La correttezza di questo approdo non è scalfita dalle censure della ricorrente, che recepiscono sostanzialmente i passaggi logici che sorreggono il precedente invocato, che ì giudici del gravame hanno giustamente ritenuto non pertinente al caso di specie, in ragione della diversa natura della misura cautelare dibattuta.

Secondo la funzione legalmente tipizzata nelle disposizioni processuali cui si riferisce il citato arresto, il sequestro conservativo penale, per sua stessa definizione, è finalizzato alla conservazione ed alla custodia dei beni sottoposti alla cautela reale, e soggiace per l’effetto, secondo quanto condivisibilmente sostenuto nella pronuncia cennata, al regime omologo previsto dal codice di rito civile. Il custode dei beni sequestrati è, in quanto tale, legittimato alle iniziative, anche giudiziarie, causalmente correlate alla funzione demandatagli. In distinta prospettiva, il provvedimento cautelare disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.c. nell’ambito delle misure di prevenzione o per reati connessi ad attività mafiosa, e, come nella specie, in vista della confisca a mente del comma 2 della citata disposizione processuale penale, può prevedere anche la nomina dell’amministratore giudiziario, così espressamente qualificato dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies e successive modifiche, che sia incaricato non solo della custodia e conservazione dei beni sequestrati, ma anche della loro amministrazione, secondo quanto previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, comma 4 convertito in L. n. 356 del 1992 con rinvio al comma 3. Lo spettro d’azione dell’organo, comprensivo della custodia ma non circoscritto ad essa, lo legittima, se la misura colpisce le quote sociali, ad esercitare i diritti connessi, partecipando perciò alle assemblee ed esprimendo il voto in luogo dei soci (cfr. Cass. n. 13169/2005) e in logica conseguenza ad impugnare le delibere assembleari ai sensi dell’art. 2377 c.c. (Cass. n. 21858/2005), e peraltro, se la misura tenda alla prosecuzione della gestione sociale per evitare la protrazione dei reati per loro tramite ovvero per mantenerli in vista della confisca, ad attivarsi, anche in sede giudiziaria, per garantire suddetta finalità, sostituendosi, in tutte le conseguenti necessarie iniziative, all’amministratore ordinario. La giurisprudenza formatasi in subiecta materia in sede penale, ha affermato a riguardo che “Se di norma i poteri che competono al custode sono attinenti alla mera custodia a fini conservativi delle cose in sequestro…. , nulla vieta ed anzi ora l’art. 104 bis disp. att. c.p.p. – espressamente consente che, nella sfera dei poteri del custode, rientri anche l’amministrazione dei beni in sequestro, con esercizio di poteri di vera e propria gestione. E ciò in realtà poteva già desumersi dall’art. 259 c.p.p., applicabile anche al sequestro preventivo (Cass., sez. un., 18 maggio 1994 – 3 dicembre 1994, n. 9); cfr. altresì Cass., sez. 2A, 6 maggio 2009 – 5 giugno 2009, n. 23572, che ha affermato che rientrano nella competenza del g.i.p., in quanto “autorità giudiziaria” che ha disposto il sequestro la nomina del custode per l’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e, la determinazione delle modalità di esecuzione del medesimo” Cass n. 35801/2010)”.

L’ontologica difformità tra le indicate funzioni demandabili al suddetto organo- custodia e conservazione ovvero amministrazione e gestione – impone, in logica conseguenza, di verificarne la legittimazione sostanziale e processuale in concreto in correlazione all’espletamento della funzione che, nella gamma delle competenze del suo ufficio, esso intende svolgere. Il corollario comporta che, spettando all’amministratore della società la legittimazione – jure proprio – (cfr. Cass. n. 9491/2002, 3368/2006) a resistere alla richiesta di fallimento e quindi a reclamare la successiva sentenza, l’amministratore giudiziario, nell’esercizio di quella stessa funzione, ha veste sostanziale e processuale che lo legittima ad assumere analoga iniziativa.

Non può non rilevarsi peraltro che la gestione del patrimonio sociale finalizzata alla sua conservazione in vista del conclusivo provvedimento ablativo, come del resto ha correttamente rilevato la Corte del merito, interferisce con la finalità della procedura concorsuale e legittima perciò ex sè, l’amministratore giudiziario, cui il giudice della misura cautelare ha demandato quel compito, ad agire in giudizio al fine di garantire le finalità sottese all’adozione della misura, al pari di ogni altro interessato, ed anzi a maggior ragione.

Esigenze di completezza impongono di rilevare che, pubblicato nel supplemento ordinario n. 214 alla G.U. n. 226 del 28 settembre 2011, il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonchè nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma della Legge Delega 13 agosto 2010, n. 136, artt. 1 e 2 che aveva previsto una completa ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, nonchè il relativo coordinamento con la nuova disciplina dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (D.L. 4 febbraio 2010, n. 4), per quel che rileva in questa sede, prevede, quanto ai rapporti con le procedure concorsuali, che i beni sequestrati o confiscati nel procedimento di prevenzione sono sottratti dalla massa attiva del fallimento e sono gestiti e destinati secondo le norme sul procedimento di prevenzione – art. 63.

Il citato D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 117 detta la disciplina transitoria stabilendo che “Le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti”.

La fattispecie in esame resta pertanto governata dal regime normativo vigente all’epoca del provvedimento di sequestro. Al quesito posto nel motivo esaminato deve pertanto rispondersi affermando la legittimazione dell’amministratore giudiziario, nominato in sede di sequestro assunto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della società i cui beni siano stati affidati da quel provvedimento alla sua gestione.

Il secondo motivo del ricorso principale del curatore del fallimento ed il secondo motivo del ricorso incidentale, logicamente connessi, perciò congiuntamente esaminabili, sono fondati e quindi meritevoli d’accoglimento. La decisione impugnata, in ordine al merito, dando atto dell’unica esposizione debitoria nei confronti della S.A. Banca Agricola Commerciale, indicato nel ricorso di fallimento nell’importo di Euro 105.822,96, di protesti per complessivi Euro 180.000,00 e dell’esistenza di altri debiti risultanti dal bilancio 2006 pari ad Euro 845.245, ha, nondimeno escluso lo stato d’insolvenza sulla base di duplice considerazione: 1.- perchè l’entità dell’attivo patrimoniale ammonante ad Euro 2.940.247,00 era tale da soddisfare l’importo dei debiti scaduti di poco superiore ad Euro 300.000,00; 2.- perchè l’inadempimento riferito al debito maturato nei confronti della banca Agricola, unico creditore istante, era stato determinato dal provvedimento di sequestro preventivo assunto in data antecedente alla richiesta di pagamento della menzionata creditrice. Perciò da temporanea impossibilità di provvedere al regolare adempimento e non da irreversibile stato di crisi. Non vi è cenno in questo tessuto argomentativo alle circostanze di fatto esaustivamente e specificamente rappresentate dai ricorrenti, in tesi incidenti sulla valutazione dello stato d’insolvenza della Masseria Pucci. La motivazione infatti s’incentra essenzialmente sulla rilevata prevalenza delle componenti patrimoniali attive sulla somma dei crediti vantati dai terzi che, decisiva nel solo caso di società in liquidazione, non esaurisce tuttavia l’esigenza di una necessaria completa indagine sulla condizione di solvibilità della società debitrice rispetto all’ingente situazione debitoria, emersa in sede d’istruttoria prefallimentare alla stregua dei fatti riferiti dagli odierni ricorrenti. Essa è pertanto lacunosa. Fondata su quel dato nonchè su argomento, incensurabile in punto di fatto , ma non adeguatamente spiegato nel suo inquadramento logico, rappresentato dall’impossibilità di estinguere i debiti a causa dell’intervenuto sequestro che, come del resto hanno evidenziato gli stessi giudici del reclamo, non determinò un arresto della gestione sociale, nè perciò dell’attività sociale, che continuò sotto la guida dell’amministratore giudiziario, non rende conto adeguatamente delle ragioni fondanti la decisione conclusiva.

Ne discende la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma che provvedere anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso della Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino; accoglie il secondo motivo dello stesso ricorso ed il ricorso del curatore del fallimento della Masseria Pucci s.p.a. nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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