Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 228 del 08/01/2013
Civile Sent. Sez. 6 Num. 228 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MAMELI Giovanni(MML LGN 50R19 L508D), STEFANELLI Roberto (STF RRT
39R15 G188D), MARIANI Pietro (MRN PTR 43R15 B606K), SPERANZA Luigi
(SPR LGU 30M09 E532W), SANTACROCE Virgilio (SNT VGL 39B15 B627V),
CALO’ Fernando (CLA FNN 52A28 L462T), SATURNINO Elena (STR LNE
49E57 C129S), GARGIULO Maria Francesca (GRG MFR 73L47 F839A),
GARGIULO Giovanni Battista, gli ultimi tre quali eredi di GARGIULO
Emanuele, MOFFA Carmela Pia (MFF CML 47253 H273U), quale erede di
DOLENTE Cosimo, elettivamente domiciliati in Roma, Via Giuseppe
Ferrari, n. 4, presso lo studio degli Avvocati Salvatore Coronas e
Umberto Coronas, che li rappresentano e difendono giusta procure
speciali in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
Data pubblicazione: 08/01/2013
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente
del Consiglio dei ministri
tempore,
pro
rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma,
via dei Portoghesi n. 12, è elettivamente domiciliato per legge;
– intimata –
procedimento n. 59369/06 RGVG, depositato in data 24 settembre
2009.
Udita
la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 1 febbraio 2012 dal Consigliere relatore Dott.ssa Maria
Rosaria San Giorgio;
sentito il P.M.,
in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Ignazio Patrone, il quale ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 15 novembre 2006 presso la
Corte d’appello di Roma, Mameli Giovanni, Stefanelli Roberto,
Mariani Petto, Speranza Luigi, Santacroce Virgilio, Calò Fernando,
Gargiulo Emanuele, Tivoli Sergio, Moffa Carmela Pia quale erede di
Dolente Cosimo, sottufficiali delle Forze Armate in quiescenza,
chiesero il riconoscimento dell’equa riparazione per la
irragionevole durata di un giudizio dagli stessi promosso innanzi
alla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio
nel novembre 1998 per la riliquidazione delle rispettive pensioni,
conclusosi con
sentenza del 7 giugno 2004, depositata il 26
gennaio 2006.
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avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, reso nel
La Corte adita, con decreto depositato il 24 settembre 2009,
condannò la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento
della somma di euro 1600,00 in favore di ciascun ricorrente,
ritenendo che, avuto riguardo alla particolare natura della causa,
al numero dei ricorrenti, alle vicende processuali, la violazione
in due anni dei circa sette anni di durata complessiva del
processo.
Per la cassazione di tale decreto ricorrono Mameli Giovanni,
Stefanelli Roberto, Mariani Pietro, Speranza Luigi, Santacroce
Virgilio, Calò Fernando, Saturnino Elena, Gargiulo Maria
Francesca, Gargiulo Giovanni Battista, gli ultimi tre quali eredi
di Gargiulo Emanuele, Moffa Carmela Pia, quale erede di Dolente
Cosimo sulla base di due motivi.
La intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri non si è
costituita nel giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi quattro motivi di ricorso – da esaminare
congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione
del termine di durata ragionevole del processo fosse ravvisabile
valutata sotto diversi profili – si censura l’impugnato decreto
per non aver adeguatamente motivato la deroga all’orientamento di
questa Corte secondo il quale, in applicazione della
giurisprudenza della Corte EDU, di norma e salvo ragioni di
differenziazione da accertare specificamente, la durata
ragionevole del processo di primo grado è di anni tre. Si osserva
nel ricorso che la considerazione, al riguardo operata dalla Corte
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capitolina, della natura della causa e del numero dei ricorrenti
per elevare da tre a cinque anni la durata ragionevole del
procedimento presupposto si risolve in una motivazione apparente e
per di più contraddittoria, per essere la causa di natura
pensionistica, quale quella in questione, caratterizzata dalla
è di per sé irrilevante qualora non si risolva in una notevole
complessità della controversia presupposta, nella specie da
escludere.
Le censure sono fondate.
Il decreto censurato non si sottrae alle critiche ad esso
rivolte dai ricorrenti, per aver valutato come termine ragionevole
quello di cinque anni, discostandosi immotivatamente dagli
standards indicati dalla Corte EDU.
Resta assorbita dall’accoglimento del ricorso la quinta
censura, avente ad oggetto la liquidazione delle spese.
Il ricorso deve, dunque, essere accolto, e il decreto
impugnato va, conseguentemente, cassato.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la
causa può essere decisa nel merito. In applicazione della
giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 14 ottobre 2009, n.
21840), alla stregua della quale l’importo dell’indennizzo può
essere ridotto ad una misura inferiore (euro 750,00 per anno) a
quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della
Corte europea (pari ad euro 1000,00 in ragione d’anno) per i primi
tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in
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esigenza di una decisione rapida, mentre il numero dei ricorrenti
considerazione
del
limitato
patema
d’animo
che
consegue
all’iniziale modesto sforamento, mentre per l’ulteriore periodo
deve essere applicato il richiamato parametro, la Presidenza del
Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento di euro
3375,00 in favore di ciascuno dei ricorrenti, oltre agli interessi
quattro e mesi due di irragionevole ritardo (dal novembre 2001 al
gennaio 2006).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e,
decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei
Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della
somma di euro 3375,00, oltre agli interessi nella misura legale
dalla data della domanda, nonché alla rifusione delle spese del
giudizio di merito, che liquida in complessivi euro 873,00 di cui
euro 445,00 per compensi, euro 378,00 per diritti ed euro 50 per
esborsi, oltre agli accessori di legge, e di quelle della fase di
legittimità, che liquida in complessivi euro 665,00, di cui euro
565,00 per compensi, oltre agli accessori di legge, con
distrazione in favore degli avvocati Salvatore e Umberto Coronas
che se ne sono dichiarati antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta
Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 1
febbraio 201
dalla domanda, a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni