Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22799 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. II, 12/09/2019, (ud. 27/05/2019, dep. 12/09/2019), n.22799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16909/2015 proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato FABIO PINCI,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA dei

PRATI FISCALI 158;

– ricorrente –

contro

S.R., rappresentata e difesa dall’Avvocato FRANCESCO

SIBILLA, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in ROMA,

VIA NOMENTANA 251;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1587/2015 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 10.03.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/05/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 20.5.2003 S.R., acquirente dell’appartamento sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma C.G., per sentir ridurre il prezzo di vendita corrisposto, in misura pari almeno al 25%, in conseguenza del minor valore del bene risultato affetto da vizi, ovvero per sentir ordinare l’eliminazione dei vizi medesimi, consistenti in infiltrazioni di umidità tali da rendere insalubre l’appartamento, con vittoria delle spese di lite.

Si costituiva in giudizio C.G., eccependo l’inoperatività della garanzia, essendo conosciuta la situazione dell’immobile, oggetto di altro giudizio tra esso venditore e il citato Condominio, come riportato nel rogito di compravendita, per cui chiedeva il rigetto della domanda, con vittoria delle spese di lite e condanna per responsabilità aggravata (art. 96 c.p.c.).

Espletata una C.T.U., con sentenza n. 13452/2008, depositata in data 20.6.2008, il Tribunale di Roma rigettava la domanda condannando l’attrice alla rifusione parziale delle spese di lite. In particolare, il Giudice di primo grado riteneva che il richiamo espresso nell’atto di compravendita della preesistente controversia fosse tale da far ritenere la piena consapevolezza dell’acquirente della presenza dei vizi o comunque la loro agevole conoscibilità.

Contro detta sentenza proponeva appello la soccombente, insistendo sulla fondatezza, sotto vari profili, della domanda e concludeva chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.

Si costituiva l’appellato, che chiedeva il rigetto del gravame con conferma dell’impugnata sentenza.

Con sentenza n. 1587/2015, depositata in data 10.3.2015, la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello e, in riforma della gravata sentenza, accertato il minor valore dell’immobile compravenduto a causa dei vizi denunciati dall’acquirente, condannava il Cervino al pagamento, in favore della S., della somma di Euro 33.196,98, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, con condanna dell’appellato alle spese dei due gradi di giudizio e di quelle di CTU.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.G. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste S.R. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione ed errata applicazione della norma di diritto di cui all’art. 1491 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui la Corte d’Appello ha statuito che la clausola n. 7 del contratto di compravendita non potesse essere intesa come rinuncia dell’acquirente alla garanzia di cui agli artt. 1491 c.c. e segg. e neppure come esclusione della responsabilità del venditore, che avrebbe richiesto un testo sufficientemente univoco, atteso che la conoscenza della pendenza della causa tra il C. e il Condominio poteva, al più, consentire di ritenere come conoscibili, da parte dell’acquirente, le problematiche lamentate dal venditore nei confronti del Condominio stesso; laddove riteneva che l’onere di diligenza dell’appellante non si dovesse spingere sino al punto di postulare il ricorso a esperti o l’effettuazione di indagini sui risultati della CTU nel giudizio in corso. Secondo il C. la Corte aveva valutato solo sommariamente il materiale probatorio in relazione alla conoscenza dei vizi da parte dell’acquirente. In primo luogo, il comportamento della resistente dimostrava rinuncia alla garanzia, in quanto, pur essendo a conoscenza del vizio dell’immobile prima del rogito (esistenza di causa iniziata nel 1993 tra Condominio e ricorrente, decisa poi in favore di quest’ultimo), aveva comunque stipulato l’atto notarile (nel quale era indicata la suddetta causa). Inoltre, il semplice esame della documentazione prodotta dal ricorrente relativa al giudizio tra il medesimo e il Condominio non solo dimostra che i vizi lamentati dalla S. fossero esattamente quelli lamentati dal C. nei confronti del Condominio, ma che tali vizi fossero perfettamente conosciuti e/o facilmente riconoscibili dalla resistente, che li aveva accettati sia in sede di stipulazione del preliminare che in occasione del contratto di compravendita.

1.1. – Il motivo non può essere accolto.

1.2. – Il ricorrente rileva che all’art. 8 (recte: 7)del rogito notarile in data 26.6.2002 si legge che (“La parte venditrice (…) dichiara inoltre che non esistono liti o pendenze relative a questioni tra la medesima parte venditrice ed il condominio ad eccezione di quella pendente innanzi al Tribunale di Roma reg. gen. 72338/93 il cui esito rimarrà a vantaggio e/o a carico della parte venditrice, che manieva la parte acquirente da ogni responsabilità a riguardo” (e, per il ricorrente, tale circostanza era stata evidenziata anche nel contratto prelininare sottoscritto il 21.5.2002).

La Corte di merito, in riforma della sentenza di primo grado, ha osservato come non vi fosse “dubbio che il tenore della clausola 7 del contratto di compravendita non possa essere inteso come rinuncia della parte acquirente alla garanzia di cui agli artt. 1491 c.c. e segg. e neppure come esclusione o limitazione pattizia della responsabilità della parte venditrice che avrebbe richiesto un testo sufficientemente univoco al riguardo, atteso che la conoscenza della pendenza, innanzi al Tribunale di Roma, della causa r.g. n. 72338/1993 tra il C. ed il Condominio (OMISSIS), può, al più, consentire di ritenere (i vizi) come conoscibili, da parte acquirente, in tal modo posta in condizione di informarsi circa l’oggetto della controversia e dunque delle problematiche lamentate dal venditore nei confronti del predetto Condominio, sin dal lontano anno 1993, a seguito di lavori fatti eseguire da quest’ultimo non a regola d’arte, in occasione dei quali, tra l’altro, si erano manifestate infiltrazioni” (sentenza impugnata, pagine 3-4). Ed ha chiarito che, nella specie, “l’esclusione della garanzia non può basarsi sull’affermazione che la S. conoscesse i vizi e che, ciò non di meno, avrebbe deciso di acquistare l’immobile”; essendo peraltro “da escludere che, nel caso di specie, l’onere di diligenza della S. si dovesse spingere sino al punto di postulare il ricorso all’opera di esperti o l’effettuazione di indagini sui risultati della consulenza effettuata dai tecnici nominati dal Tribunale nel giudizio in corso contro il Condominio”.

In sostanza la Corte ha rilevato che il richiamo nell’atto di compravendita della preesistente controversia non fosse tale da far ritenere, di per sè, la consapevolezza dell’acquirente della presenza dei vizi o comunque la loro agevole conoscibilità, in quanto ciò avrebbe richiesto la predisposizione di un testo sufficientemente univoco in tal senso.

1.3. – Trattasi di motivazione adeguata e coerente, basata sulla ritenuta specifica valenza della clausola contrattuale in esame e sulla sua inidoneità testuale ad incidere su presupposti ed operatività propri della garanzia di cui all’art. 1491 c.c. (in ragione attesa la insussistenza (e quindi la mancata percezione e percepibilità da parte dell’acquirente) di infiltrazioni in atto e/o visibili al momento della stipulazione compravendita (circostanza che, peraltro, non risulta in quanto tale specificamente contestata nel corso del giudizio da parte del ricorrente).

Vale, dunque, il consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

1.4. – Piuttosto (così come articolate) le censure portate dal motivo si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la prova che le infiltrazioni di umidità fossero (eventualmente) successive all’acquisto dell’immobile in questione spettava all’acquirente; sicchè la Corte avrebbe operato un’inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La Corte di merito ha, tra l’altro, osservato che, all’atto della conclusione del contratto, non v’era prova che dei suddetti vizi vi fosse una manifestazione esteriore in quel momento apprezzabile.

Siffatta argomentazione, tuttavia, non attiene alla regole di ripartizione ed assolvimento dell’onere della prova tra le parti in giudizo, bensì al diverso ambito della valutazione del quadro probatorio acquisito in atti, che, come detto, spetta al giudice del merito ed è insidacabile in sede di legittimità ove (come nella specie) ove congruamente motivato. Non risulta dunque conferente, rispetto a tale specifica situazione, il principio di diritto recentemente affermato dalla decisione delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 11748 del 2019), secondo cui, “in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c., è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi”.

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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