Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22797 del 29/09/2017

Cassazione civile, sez. III, 29/09/2017, (ud. 16/12/2014, dep.29/09/2017),  n. 22797

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11692-2014 proposto da:

R.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO MONTALDO

giusta procura speciale notarile;

– ricorrente –

contro

D.P.G., M.L., M.V.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio

dell’avvocato LORETTA INNAMORATI, che li rappresenta e difende

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

LA FONDIARIA ASSICURAZIONI SPA, D.L., R.L.;

– intimate –

Nonchè da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA già FONDIARIA-SAI SPA, in persona del

suo procuratore ad negotia, Dott. G.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II, 4, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO BORGIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABIO DE STEFANO giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35,

presso lo studio dell’avvocato MARISA PAPPALARDO che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROBERTO DONNINI giusta procura in

atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

M.V., D.P.G., M.L.,

D.L., R.M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2527/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato FEDERICO MONTALDO;

udito l’Avvocato LORETTA INNAMORATI;

udito l’Avvocato MARISA PAPPALARDO;

udito l’Avvocato FABIO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

I FATTI

Il Tribunale di Roma accolse la domanda risarcitoria proposta dai coniugi D.P.G. e M.L. – in proprio e quali esercenti potestà sulla figlia minore V. – nei confronti, tra gli altri, della dottoressa D.L. e del dott. R.L. (deceduto nelle more del giudizio), per i danni patiti in conseguenza della non corretta diagnosi della patologia sofferta dalla minore, della esecuzione di un intervento chirurgico non indicato, della carente assistenza medica post-operatoria, del ritardo nell’esecuzione di un secondo intervento (il tutto avvenuto presso l’Azienda (OMISSIS)), accogliendo altresì la domanda di manleva proposta dai due medici nei confronti della propria compagnia assicuratrice e rigettando la medesima domanda da loro proposta nei confronti dell’Università degli studi (OMISSIS) e del (OMISSIS).

La domanda fu rigettata nei confronti di tutti gli altri sanitari evocati in giudizio.

La corte di appello di Roma, investita delle impugnazioni proposte, in via principale, da D.L. e da R.M.A. (in qualità di erede del padre Luigi), in via incidentale (adesiva) dalla compagnia assicurativa, ed ancora in via incidentale dai coniugi M., le rigettò.

Avverso la sentenza della Corte capitolina R.M.A. ha proposto ricorso sulla base di 5 motivi di censura.

I coniugi M. resistono con controricorso, al pari della Unipol Sai, che propone ricorso incidentale.

E’ altresì versato in atti uno scritto, intitolato “controricorso per la dottoressa R.L.”, che non è mai stata parte del giudizio.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del cd. “controricorso” proposto dalla signora R.L., inammissibilità conseguente, prima ancora alla sua assoluta carenza di interesse – essendo il presente giudizio, rispetto ad essa, res inter alios acta, volta che il suo esito non potrebbe in alcun modo esserle opposto – al non essere la R. mai stata parte del processo di merito, e al non avere, pertanto, alcun os ad eloquendum nel presente grado di giudizio.

Per effetto della riassunzione effettuata nei confronti degli eredi della parte defunta, con atto ad essi notificato impersonalmente ai sensi dell’art. 303 c.p.c., comma 2, difatti, il processo prosegue non nei riguardi del gruppo degli eredi globalmente inteso, ma individualmente e personalmente nei confronti di ciascuno di essi, noto o ignoto, costituito o contumace, con la conseguenza che la causa deve essere decisa nel merito nei confronti di ciascuno di essi (Cass. 12783/1998).

Il ricorso principale è infondato, al pari di quello incidentale della Unipol.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2236 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La lunga e ridondante dissertazione svolta in tema di qualificazione della condotta professionale e di differenziazione tra categorie della colpa generica è del tutto priva di pregio.

La questione, già posta nei medesimi termini in sede di appello, è stata correttamente e condivisibilmente affrontata e risolta dalla Corte territoriale, la quale, richiamandosi alla ancora più analitica e dettagliata ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale ha ritenuto (f. 9 della sentenza oggi impugnata) come le stesse affermazioni in fatto e le medesime tesi in diritto esposte dall’appellante odierno ricorrente inducessero univocamente a ritenere che, nella specie, non di imperizia fosse lecito discorrere, bensì di patente violazione del canoni di prudenza, valutabile ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, come emerso dalle stesse, non equivoche risultanze della CTU, ove si evidenziava la censurabile condotta, sotto il profilo suesposto, diacronicamente tenuta dal sanitario tanto in sede di scelta operatoria, quanto di successiva assenza, protrattasi per 13 giorni al fine di partecipare ad una conferenza in Germania.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il terzo motivo, si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Mancato esame del referto medico attestante l’esclusione del nesso causale.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116,191,194 e 196 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; errata valutazione delle prove e mancata rinnovazione della CTU (“percipiente”) alla luce della mancata acquisizione di referto medico rilevante ai fini della perizia.

Il contenuto delle censure rivolte alla sentenza d’appello ne consente la trattazione congiunta, attesane la intrinseca connessione.

Tutte le doglianze sono manifestamente infondate.

Sul punto della mancata ammissione, in seno al processo, di un documento tardivamente allegato (i.e. un referto medico dal quale desumere indifferenza e irrilevanza, sul piano causale, tra la complicanza post-operatoria e la siringomielia da cui sarebbe poi risultata affetta la paziente) nessuna censura può essere credibilmente mossa alla sentenza impugnata, che risulta (f. 9 della sentenza impugnata) del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia – e che appare, inoltre, ampiamente ed esaurientemente motivata sul punto della mancata istanza di rimessione in termini -, oltre che scevra da vizi logico-giuridici che ne consentano, in questa sede, il riesame.

Ne consegue l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, volta che l’omesso esame di un fatto decisivo postula, come suo imprescindibile presupposto in diritto, che di tale “fatto” sia “discusso” tra le parti, ciò che appare ontologicamente impredicabile in relazione ad un documento non ammesso agli atti del processo, del cui contenuto, in guisa di “fatto” in esso storicamente rappresentato si sarebbe potuto legittimamente “discutere” soltanto a seguito del suo ingresso in seno al processo.

La pretesa erroneità della valutazione delle prove, e il contestato rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’accertamento peritale si infrangono, poi, sul corretto e condivisibile impianto argomentativo adottato dal giudice d’appello, a sua volta scevro da vizi logico-giuridici, che questa Corte interamente condivide, volta che le censure oggi rappresentate al collegio riproducono, nella sostanza, quelle già sottoposte al vaglio del giudice di secondo grado, e da questi approfonditamente esaminate e motivatamente rigettate.

La Corte territoriale, in attuazione del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, segnatamente alla luce delle inequivoche risultanze della perizia collegiale disposta in prime cure (e della quale, con decisione sottratta tout court al vaglio del giudice di legittimità se, come nella specie, correttamente argomentata, non è stata ritenuta necessaria alcuna utile rinnovazione, alla luce delle osservazioni dell’appellante e delle diverse risultanze della sommaria perizia espletata in sede penale), dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative.

I motivi di censura sono, pertanto, irrimediabilmente destinati a cadere sotto la scure della innegabile fattualità che li caratterizza, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5, codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Nella sostanza, il ricorrente, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Deve, infine, dichiararsi la inammissibilità del quinto motivo, poichè la censura in ordine alla liquidazione dei danni non risulta proposta dinanzi al giudice di appello.

Manifestamente infondato risulta, infine, il ricorso incidentale della compagnia assicuratrice, i cui due motivi appaiono affetti da assoluta genericità, e si infrangono a loro volta, come si è avuto modo di osservare in sede di esame del ricorso principale, sul corretto e condivisibile impianto motivazionale della sentenza impugnata, che, in tema di quantificazione del danno e di valutazione delle condizioni di salute della paziente, ha fatto corretta applicazione dei principi più volte enunciati, in materia, da questo giudice di legittimità.

I ricorsi sono pertanto rigettati.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza nei confronti della ricorrente M., in favore della quale va liquidato l’importo di 10.200 Euro, di cui 200 per spese generali.

Le spese vanno invece compensate nei confronti della Unipol.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, e condanna entrambi i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione in favore della contro ricorrente M., che si liquidano in complessivi Euro 10.200, di cui 200 per spese.

Dichiara compensate le spese del giudizio nei confronti della Unipol.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017

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