Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22797 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. II, 12/09/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 12/09/2019), n.22797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28299/2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 18,

presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA MICHELI, rappresentata e

difesa dall’avvocato VARESCO PORRI;

– ricorrente –

contro

Z.M., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO, 14,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, rappresentato e

difeso dagli avvocati SIMONE VERONESE, FEDERICO VIERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1863/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 03/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/05/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione regolarmente notificato, B.A., quale usufruttuaria di un immobile di proprietà di cui Z.M. era nudo proprietario, assumendo di aver dovuto provvedere a lavori ed opere di manutenzione straordinaria, lo conveniva davanti al Tribunale di Livorno per sentirlo condannare al rimborso delle spese sostenute.

Si costituiva in giudizio Z.M., che chiedeva il rigetto della richiesta, affermando che il fabbricato non si trovava in precarie condizioni e che gli interventi attuati della B. erano privi del requisito della straordinarietà necessaria per chiedere il rimborso delle spese sostenute dall’usufruttuario al nudo proprietario.

Il Tribunale di Livorno, ritenendo esclusa l’ipotesi della gestione di affari altrui trattandosi di un rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario – accoglieva la domanda di rimborso delle spese straordinarie effettuate dall’usufruttuaria B.A..

2. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 1863/2015 del 3.11.2015, accogliendo l’appello proposto dal Z. e respingendo l’appello incidentale della B., riformava la sentenza impugnata e, per l’effetto, rigettava la domanda di rimborso delle spese straordinarie proposta dalla B..

Preliminarmente, la Corte territoriale dichiarava infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., ritenendo che l’appellante avesse con chiarezza indicato le parti della sentenza sottoposte a critica.

Nel merito, il giudice di secondo grado, condividendo le risultanze della CTU, escludeva che la B. avesse dovuto affrontare delle spese di riparazione straordinaria, configurandosi, piuttosto, una mera ristrutturazione edilizia. Infatti, le opere di trasformazione dell’immobile effettuate dell’usufruttuaria non erano volte a mantenere efficiente l’edificio e consentirne l’uso, ma ad ampliarne e migliorarne il godimento per rendere più godibile l’uso dell’immobile da parte dell’usufruttuario.

3. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso B.A. sulla base di due motivi.

Ha resistito con controricorso Z.M..

4. In prossimità dell’udienza, B.A. ha depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 342 c.p.c., per non aver la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da Z.M., con atto di citazione del 18-23.09.2014, avverso la sentenza del Tribunale di Livorno. Infatti, lo Z. non avrebbe individuato, nei motivi d’appello, le parti della sentenza che intendeva appellare in correlazione con la motivazione della sentenza, limitandosi a richiamare le valutazioni del CTU, senza fornire o sottoporre al giudice di appello le proprie diverse valutazioni o censure. L’appello avrebbe riproposto una generica censura alla sentenza di primo grado, attraverso una pedissequa riproposizione delle ragioni poste a fondamento della domanda, omettendo di indicare la pronuncia che la Corte d’Appello avrebbe dovuto adottare in sostituzione di quella emessa dal Tribunale.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Non è richiesto l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 16/11/2017, n. 27199; Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 30/05/2018, n. 13535).

1.3 Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che l’appello del Z. rispettasse i criteri imposti dall’art. 342 c.p.c. (pagina 4 della sentenza). L’appellante avrebbe indicato con chiarezza le parti della sentenza sottoposte a critica. Infatti, risulterebbero chiare le conclusioni, ove l’appellante chiede la dichiarazione d’inesistenza delle spese straordinarie suscettibili di essere comprese nella previsione dell’art. 1005 c.c., con conseguente totale riforma della sentenza di condanna emessa dal giudice di prime cure.

Inoltre, il richiamo alla CTU risulta indispensabile per contestare la decisione del Tribunale che ha classificato le spese di alcune opere come aventi natura di spesa straordinaria.

2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1005 c.c., perchè la Corte territoriale non avrebbe riconosciuto la natura di riparazioni straordinarie alle opere ed agli interventi effettuati dalla ricorrente. Inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte territoriale accertato l’esistenza delle condizioni precarie dell’immobile. Deduce la ricorrente che tale accertamento avrebbe fatto ritenere gli interventi e le opere eseguite come riparazioni straordinarie, infatti – richiamando i capitoli di prova a pag. 41 sarebbe emerso il fatto che pioveva dal tetto, che le mattonelle fossero spezzate e che la vasca da bagno fosse incrinata. La ricorrente contesta, altresì, l’affermazione della corte territoriale, secondo cui i precedenti lavori risalivano al 1995, mentre, risulterebbe dalla relazione tecnica che le opere di ristrutturazioni fossero state effettuate nel 1985.

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 Gli artt. 1004 e 1005 c.c., pur con diversa formulazione – facendo richiamo il primo alla “manutenzione ordinaria” ed il secondo alle “riparazioni straordinarie” – operano una ripartizione tra nudo proprietario ed usufruttuario delle spese tutte di manutenzione del bene, sicchè il punto nodale della controversia attiene alla qualificazione ordinaria o straordinaria dell’intervento sul bene immobile. Pertanto, ai fini della distinzione tra gli interventi a carico dell’usufruttario e quelli a carico del nudo proprietario, non rileva la maggiore o minore attualità del danno da riparare, bensì il carattere ordinario o straordinario dell’opera, poichè, in considerazione della natura dei rispettivi diritti, l’usufruttuario ha l’onere di provvedere a quanto attiene alla conservazione ed al godimento della cosa, mentre sono riservate al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della stessa (Cassazione civile sez. II, 06/11/2015, n. 22703).

A tale riguardo è utile ricordare innanzitutto la non tassatività dell’elencazione di cui all’art. 1005 c.c. (Cass. n. 2726/63), che impone allora di ricercare l’elemento determinante nella ratio della norma per poter qualificare la natura dell’opera cui si riferisce la spesa: esso va individuato nella previsione di cui al comma 2 della norma che evidenzia, da un lato, come la parte dell’immobile alla quale si riferisce l’intervento straordinario debba avere natura strutturale e, dall’altro lato, come l’intervento medesimo debba essere strumentale alla stabilità o al rinnovamento del bene o di parte di esso.

Ciò posto, si può ritenere straordinaria quell’opera che importa la sostituzione o il ripristino di un elemento essenziale della struttura della cosa, finalizzati non già alla mera conservazione del bene, che rimane invece certamente a carico dell’usufruttuario, ma alla prevenzione o eliminazione di cedimenti e deterioramenti legati alla vetustà.

2.3 Nella specie, la Corte territoriale ha rilevato che la totale trasformazione dell’immobile fatta dall’usufruttaria nel 2004 – quali il rifacimento degli impianti e del tetto, la ritinteggiatura delle pareti, lo spostamento dei bagni e l’ampliamento di alcune stanze – non si è resa necessaria per mantenere le condizioni d’uso dell’immobile, strumentale alla stabilità del bene o di parte di esso, ma dall’esigenza di migliorare in modo significativo l’immobile per un maggiore godimento dello stesso da parte dell’usufruttuaria, imponendo (con la pretesa del rimborso) l’intero costo a carico del nudo proprietario.

2.4 Circa la deduzione di omesso accertamento delle condizioni precarie dell’immobile, non sussisterebbe l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto – alla luce del sindacato ammesso dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, limitato al “minimo costituzionale” coincidente con l’assenza di motivazione, o con la motivazione perplessa o contraddittoria – nella specie, la Corte territoriale, sulla base della CTU, ha esaminato le condizioni dell’immobile, nonchè le opere di ristrutturazione realizzate, ed è giunta ad affermare che tali opere fossero finalizzate a migliorare il godimento dell’immobile e non già a preservarne l’uso.

Il giudice d’appello, quanto alla caldaia, ha escluso che si trattasse di riparazione straordinaria perchè la sostituzione sarebbe stata dovuta ai lavori di ristrutturazione, che avrebbero richiesto l’installazione di due nuovi radiatori; circa la trave portante in legno, ha affermato che non si potesse deteriorare in un breve arco di tempo e che, comunque, il deterioramento non fosse stato dimostrato per l’assenza delle infiltrazioni.

Quanto alle risultanze delle prove testimoniali, l’apprezzamento delle risultanze istruttorie e la loro decisività è affidata al giudice di merito unitamente agli altri elementi di prova acquisiti al processo ed è insindacabile in sede di legittimità.

2.6 Infine, circa la divergenza sulla data di realizzazione dei lavori sull’immobile precedenti a quelli fatti dalla B. nel 2004, che secondo la ricorrente sarebbero stati realizzati nel 1985 e non già nel 1995, in disparte la natura revocatoria della doglianza, ils.ricorrente ha omesso di rilevarne la decisività alla luce degli ulteriori elementi acquisiti al giudizio, da cui risultava che gli interventi non erano finalizzati alla conservazione del bene.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

5. Poichè il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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