Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22797 del 09/11/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2016, (ud. 21/07/2016, dep. 09/11/2016), n.22797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16666-2015 proposto da:

ALLIANZ S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO TOFFOLETTO,

ALDO BOTTINI e FEDERICA PATERNO’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FABIO PETRACCI e ALESSANDRA

MARIN, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 134/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 14/04/2015, R.G. N. 157/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/07/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 14 aprile 2015 la Corte d’appello di Trieste ha confermato la decisione del giudice di primo grado che, decidendo sul ricorso proposto da C.G. nei confronti di Allianz s.p.a., a seguito della separazione dei giudizi inerenti alle domande di impugnativa di licenziamento ex rito Fornero e di opposizione a sanzione non espulsiva della sospensione dal servizio, aveva ritenuto illegittima quest’ultima.

2. Pacificamente, in fatto, era accaduto che il ricorrente si era recato due volte, per due settimane di seguito, in missione; che l’impegno di lavoro, inizialmente previsto per due giornate, si era protratto per una sola giornata sino al pomeriggio ma in orario che non consentiva il rientro in giornata, tanto che il lavoratore aveva protratto la permanenza in trasferta rientrando la mattina del giorno successivo, senza tuttavia recarsi nel pomeriggio al lavoro. Rilevò la Corte che il contratto aziendale pacificamente applicato al rapporto, al cap. 15, prevedeva, per il personale interno inviato in missione, che “tra la fine della missione e l’inizio della successiva attività lavorativa sarà osservato un intervallo di almeno 10 ore”, sicchè il lavoratore, rientrato a Trieste alle 12, avrebbe avuto diritto al riposo almeno fino alle 22. Rilevò, inoltre, che la condotta del C. nella circostanza fu sempre improntata a buona fede.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Allianz s.p.a. sulla base di quatto motivi, illustrato mediante memoria. Resiste con controricorso il lavoratore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce: carenza di interesse ad agire e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – artt. 100 e 112 c.p.c. Rileva che il giudice di prime cure aveva omesso di considerare che il ricorrente aveva limitato il proprio interesse a impugnare la sanzione conservativa all’ipotesi in cui tale sanzione avesse assunto rilevanza quale recidiva in relazione al successivo licenziamento.

1.1. Il motivo è inammissibile. A fronte delle puntuali indicazioni contenute in sentenza riguardo alle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo, concernenti l’affermazione della nullità della sanzione non espulsiva e la condanna dell’impresa datrice a pagare quanto indebitamente non corrisposto al C. in forza della sanzione, la censura difetta delle allegazioni documentali necessarie a verificare l’esistenza del presunto limite apposto alla domanda giudiziale.

2.4. ricorrente deduce, ancora, legittimità della sanzione disciplinare – Errata interpretazione di una norma della contrattazione collettiva e violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 c.c., violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8. Rileva che il Tribunale aveva travisato i fatti di causa, poichè non aveva tenuto conto che oggetto della contestazione disciplinare era, prima ancora che l’assenza ingiustificata dal lavoro, l’adozione di un contegno teso a celare l’effettiva durata della missione e ad estendere i tempi per interessi propri ed estranei alle esigenze aziendali. Osserva che lo stesso giudice aveva errato nell’interpretazione dell’art. 15 del contratto integrativo aziendale, associando il termine ad quem della missione con il rientro del lavoratore in sede, anzichè con quello di effettiva conclusione dell’attività lavorativa.

2.2. Il motivo va respinto. Lo stesso, infatti, per la prima parte, contiene valutazioni in fatto alternative a quelle prospettate dai giudici di merito, insindacabili in questa sede. Nella restante parte è infondato, giacchè censura l’interpretazione di una clausola del contratto aziendale (art. 15, comma 3) che è di chiara interpretazione, posto che, come correttamente evidenziato in sentenza “sotto il versante etimologico, lessicale e logico” all’espressione “fine di una missione” non può che essere attribuito il significato di effettivo rientro in sede, ancor più ove si consideri che l’altro termine preso in considerazione dalla clausola è quello di “inizio della successiva attività lavorativa” e che l’intervallo di dieci ore, nel caso di interpretazione conforme alla tesi del ricorrente, potrebbe in astratto non coprire il tempo necessario per il viaggio, ove il luogo della missione fosse ubicato a lunga distanza.

3. Con il terzo motivo deduce legittimità della sanzione disciplinare – errata ricostruzione dei fatti, errata valutazione del materiale probatorio in atti e dell’esito della prova testimoniale, illogicità della motivazione. Rileva che il giudice di prime cure aveva omesso di valutare l’intento fraudolento ai danni della società, nonchè interpretato erroneamente un documento, che si assume prova valida del tentativo del dipendente di rettificare i tempi di trasferta.

3.1. Anche il suddetto motivo deve essere respinto. La ricorrente, infatti, lungi dall’indicare specificamente i profili di asserita violazione di legge, si è limitata a proporre una valutazione delle risultanze istruttorie alternativa rispetto a quella offerta in sentenza, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335,: Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti). Quanto, poi, alla presunta omessa valutazione di circostanze e documenti, va rilevato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso, parametri tutti che non risultano rispettati nella specie.

4. Deduce, ancora, ricorrente violazione e falsa applicazione delle regole di interpretazione dei contratti: contrattazione collettiva, tempo di viaggio, trasferta e missione, D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8 violazione artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 c.c. Insussistenza prospettazione avversaria. Contesta la ricostruzione giuridica in ordine al concetto di trasferta e missione, rilevando che la Corte finisce con il prevedere una sorta di “riposo compensativo”, il quale risponde a finalità diverse, non rinvenibili nel caso in esame. Evidenzia l’erroneità dell’affermazione in forza della quale “il tempo per recarsi al lavoro non è orario di lavoro” e contesta l’interpretazione dell’art. 15 del contratto integrativo aziendale.

4.1. Il motivo è infondato in ragione del chiaro significato della richiamata clausola del contratto aziendale, di cui si è detto sub 3.1. Rispetto all’interpretazione della predetta clausola cui accede la Corte territoriale la giurisprudenza citata a pg. 29 del ricorso (Cass. 1202/2000; Cass. 5359/2001), attenendo ad altra questione (se il tempo impiegato durante la trasferta possa considerarsi parte del lavoro effettivo) non risulta in alcun modo pertinente.

5. In base alle esposte ragioni il ricorso va integralmente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori si legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA