Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22794 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/08/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 12/08/2021), n.22794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25393-2019 proposto da:

C.O.D., in proprio e quale legale rappresentante pro

tempore e socio accomandatario della (OMISSIS) SAS, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO FOTI;

– ricorrente –

contro

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIORGIO GIOVANNI LINO;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3297/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.O.D., in proprio e quale socio accomandatario nonché legale rappresentante pro tempore della (OMISSIS) s.a.s., ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 25 luglio 2019, n. 3297, reiettiva del reclamo promosso dalla menzionata società, L. fall. ex art. 18, avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città n. 17 del 2019, che ne aveva dichiarato il fallimento (unitamente a quello del suo socio illimitatamente responsabile). Resiste, con controricorso, L.S., creditore istante L. fall. ex art. 6, mentre la curatela fallimentare è rimasta solo intimata.

1.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte ha ritenuto carente la prova della non fallibilità della reclamante, la quale “…si è limitata a produrre le ultime tre dichiarazioni dei redditi ed a rilevare che già un istanza di fallimento era stata respinta dal Tribunale di Busto Arsizio nel 2014”, mentre, dalla verifica dei crediti eseguita in sede fallimentare, “risulta ampiamente superato il limite di Euro 500.000,00 di indebitamento poiché vi sono crediti insinuati, in via tempestiva o tardiva, per oltre Euro 900.000,00”. Dato, quest’ultimo, idoneo ad integrare “anche lo stato di insolvenza, poiché non vi sono risorse sociali sufficienti a pagare un così cospicuo indebitamento”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo – rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione alla L. fall. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), art. 1, comma 2: violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di requisiti dimensionali di non fallibilità, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” – ascrive alla corte distrettuale: i) di non aver attentamente valutato la documentazione (dichiarazioni dei redditi) prodotta dalla reclamante volta a dimostrare il suo possesso dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. fall., art. 1, comma 2, lett. a) e b); ii) di aver considerato, erroneamente, ai fini del requisito di cui alla lett. c) della medesima norma, piuttosto che la situazione di indebitamento societario esistente al momento della pronuncia del suo fallimento, quella emergente dal passivo verificato anche tardivamente.

2. Tale doglianza – pure volendosi prescindere dal rilievo che prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014) – è complessivamente inammissibile.

2.1. Invero, questa Suprema Corte ha già chiarito che l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dalla L. fall., art. 1, comma 2, grava sul debitore, atteso che tale disposizione pone come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali (cfr. Cass. n. 12073 del 2020, in motivazione; Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 13746 del 2017; Cass. n. 625 del 2016). Si è pure precisato che, “in tema di dichiarazione di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, comma 4, costituiscono mezzo di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere tuttavia a prova legale, sicché in mancanza dei detti bilanci il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi” (cfr. Cass. n. 24138 del 2019. In senso analogo, si vedano pure Cass. n. 12073 del 2020, in motivazione; Cass. n. 30541 del 2018).

2.1.1. Nella specie, essendo rimasta incontroversa la circostanza della mancata produzione dei bilanci ad opera della società reclamante, la corte distrettuale ha giudicato carente la prova del possesso, da parte della medesima società, dei requisiti di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) e b), affidata alle sole sue dichiarazioni dei redditi ed al rigetto di una precedente istanza di fallimento nei suoi confronti risalente al 2014. Le odierne contestazioni del C., anche nella indicata qualità, su questo specifico punto, si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo, corrispondente, accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché la più recente Cass. n. 8758 del 2017). A tanto deve aggiungersi che nemmeno è stato riprodotto, in ricorso, lo specifico contenuto delle ivi richiamate dichiarazione dei redditi, così obliterandosi completamente che, “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali Indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019).

2.2. Quanto, poi, al superamento della soglia di indebitamento complessivo L. fall. ex art. 1, comma 2, lett. c), la corte milanese lo ha ricostruito attraverso le risultanze dello stato passivo (sulla correttezza di tale modalità operativa, cfr. Cass. n. 33348 del 2018, in motivazione). Si e’, quindi, di fronte ad un accertamento fattuale fondato sul motivato apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito, che può essere sindacato in sede di legittimità solo sotto due profili, segnatamente: “qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (cfr. Cass. n. 33348 del 2018, in motivazione; Cass. n. 4699 del 2018; Cass. n. 20382 del 2016). Profili che non emergono nel caso di specie. Resta solo da aggiungere che la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla difesa dei ricorrenti, in relazione a questa doglianza, nella propria memoria ex art. 380-bis c.p.c., si rivela non pertinente, riguardando il diverso limite di cui alla L. fall., art. 15, u.c..

3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le sole parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna C.O.D., in proprio e quale socio accomandatario nonché legale rappresentante pro tempore della (OMISSIS) s.a.s., al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute da L.S., che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del menzionato ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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