Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22794 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 03/11/2011), n.22794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE GORIZIA 22, presso l’avvocato MOTTI BARSINI

GIUSEPPE LUDOVICO, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati AMENTA GIANFRANCO, DARA’ GABRIELE, giusta procura a margine

del ricorso e procura speciale per Notaio ADRIANA PIZZUTO di

CAMMARATA – Rep.n. 36523 del 13.4.11;

– ricorrente –

contro

V.C. (C.F. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

PELLITTERI FILIPPO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

F.C., S.R., VA.FI.,

C.G., M.G., SA.AL., M.

N., COMUNE DI CASTELTERMINI, G.S.C.;

– intimati –

sul ricorso 1010-2006 proposto da:

G.S.C. (c.f. (OMISSIS)), M.

N. (C.F. (OMISSIS)), VA.FI. (C.F.

(OMISSIS)), C.G. (C.F. (OMISSIS)),

F.C. (C.F. (OMISSIS)), M.G.

(C.F. (OMISSIS)), domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato PELLITTERI MICHELE, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

S.R., COMUNE DI CASTELTERMINI, P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 956/2004 della CORTE D’APPELLO A di PALERMO,

depositata il 25/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GABRIELE DARA’ che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale; il rigetto dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso principale e rigetto degli altri motivi; per

l’inammissibilità dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Agrigento,con sentenza del 3 settembre 2001 (per quanto qui ancora interessa) condannò G.S., F.C., S.R., VA.FI., C.G., M.G., SA.AL., M. N., G.S.C., tutti n.q. di componenti del consiglio comunale di Casteltermini al pagamento in favore di P.F. della somma di L. 45.672.000 per avere disposto con deliberazione consiliare 13 luglio 1992, poi annullata dal Comitato regionale di controllo, la proroga del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani affidato a quest’ultimo con contratto del 4 luglio 1983, per la durata di 9 anni. Condannò S.S., commissario straordinario del comune al pagamento alla stesso P. dell’importo di L. 80.272.000 per avere disposto dal 7 maggio 1993 la proroga del medesimo appalto,pur essa annullata dall’organo di controllo.

Le impugnazioni dello S. e del P. sono state respinte dalla Corte di appello di Palermo,la quale con sentenza del 25 agosto 2004 ha osservato: a) a quest’ultimo non spettava la ulteriore revisione dei prezzi non riconosciuta dallo S., cui d’altra parte non era opponibile la delibera del comune 7 dicembre 1993 che all’appaltatore attribuiva,a tale titolo, la somma di L. 9.513.000;

b)gli erano inoltre dovuti i soli interessi moratori dal 14 maggio 1997 e non quelli compensativi anche perchè trattandosi pur sempre di debito riferibile alla p.a. non era invocabile la mora ex re; c) l’impugnazione incidentale del P. nei confronti del comune era inammissibile perchè tardiva rivolgendosi ad un soggetto diverso da quello destinatario dell’appello principale.

Per la cassazione della sentenza, P.F. ha proposto ricorso per 5 motivi;cui resistono il G. ed i consorti con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato per un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso,il P., deducendo violazione della L. 144 del 1989, art. 23 censura la sentenza impugnata per aver escluso il suo diritto ad ottenere anche la revisione dei prezzi assumendo che la stessa poteva essere riconosciuta soltanto dalla p.a. senza considerare che in forza della norma suddetta le parti erano subentrate nel medesimo contratto già concluso con il comune di Casteltermini che siffatta revisione prevedeva; sicchè anche i consiglieri comunali e lo S. autori della proroga erano tenuti all’adempimento dell’originaria obbligazione assunta dall’amministrazione comunale. La censura è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte è fermissima nel ritenere che la normativa introdotta dalla L. n. 144 del 1989 ha comportato: 1) la previsione di un innovativo sistema di imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell’amministratore o funzionario degli effetti dell’attività contrattuale dallo stesso condotta in violazione delle regole contabili in merito alla gestione degli enti locali, comportante relativamente ai beni ed ai servizi acquisiti, una vera e propria frattura o scissione ope legis del rapporto di immedesimazione organica tra i suddetti agenti e la Pubblica Amministrazione: e quindi escludente la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori dello schema procedimentale previsto dalla norme ed. ad evidenza pubblica; 2) la sostituzione del pregresso regime di nullità del contratto per effetto delle norme regolatrici della sua formazione con quello della sua piena validità ed efficacia tra agente in proprio e fornitore (del quale sotto questo profilo viene incrementata la tutela) per via di una sorta di novazione soggettiva (di fonte normativa) dell’originario rapporto obbligatorio che avrebbe dovuto intercorrere con lente pubblico di cui l’agente è organo; ed introduzione di una nuova disciplina del rapporto tra gli enti medesimi e i soggetti agenti, nonchè tra questi ultimi e i privati contraenti improntata a schemi privatistici (Cass. 21242/2010; 12880/2010; 11854/2007).

Nel caso, lo stesso ricorrente ha dedotto che il Commissario straordinario aveva con proprio provvedimento, poi annullato dal Coreco, prorogato il contratto di appalto stipulato con il comune il 4 luglio 1983, alle medesime condizioni da questo stabilite; che per quanto riguarda la revisione prezzi prevedeva (e non poteva che prevedere, non essendone ammesso dopo la L. 47 del 1973, il riconoscimento preventivo) che il “canone è soggetto ad essere rivisto secondo le norme dettate dalle leggi regionali sulla revisione prezzi” (art. 12). Pertanto avvenuta la trasformazione di detto contratto in un appalto avente necessariamente disciplina privatistica per la natura degli stessi contraenti, non era più configurabile la sussistenza di un procedimento concessorio rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione committente per l’attribuzione della revisione (in mancanza del quale la posizione dell’appaltatore assume peraltro la consistenza di mero interesso legittimo), ma trovava applicazione la disposizione dell’art. 1664 cod. civ. che negli appalti privati prevede il diritto dell’appaltatore a conseguire la revisione soltanto se si verifichino le condizioni previste dalla norma.

Di conseguenza è corretta la decisione della Corte di appello che ha escluso l’applicazione di un istituto peculiare degli appalti pubblici al rapporto contrattuale intercorso ex lege tra il P. e lo S. non ha d’altra parte fatto ricorso alla revisione di cui alla menzionata norma codicistica una volta che neppure l’appaltatore ha prospettato che ne ricorressero i presupposti dalla stessa indicati.

Con il secondo motivo,deducendo violazione degli art. 1219 e 1282 cod. civ. il P. si duole della condanna delle controparti al pagamento degli interessi dalla data del 14 maggio 1997 e non dalle singole scadenze per avere la sentenza ritenuto che tratta vasi pur sempre di un debito riferibile alla p.a. senza considerare che invece il rapporto negoziale era sorto tra esso appaltatore e gli amministratori del comune; e che trattandosi di crediti liquidi ed esigibili trovava applicazione la regola della mora ex re.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha respinto la richiesta del P. per due ordini di ragioni: a) perchè trattavasi di interessi moratori ricollegati dallo stesso P. all’atto di costituzione in mora del 29 aprile 1997, comunicato alla controparte il 14 maggio successivo;

b) perchè in ogni caso l’obbligazione era pur sempre riferibile alla p.a. sicchè non operava la mora ex re di cui all’art. 1219 cod. civ. In realtà ciascuna delle due ragioni era del tutto distinta ed autonoma rispetto all’altra e singolarmente idonea a sorreggere sul piano logico e giuridico la conferma della decisione dei primi giudici di respingere la richiesta di interessi compensativi come formulata dal P., per cui non soltanto la seconda, ma anche la prima relativa alla natura moratoria degli interessi collegati dallo stesso appaltatore all’atto di messa in mora del 1997 doveva essere specificamente impugnata dal ricorrente per ottenere l’annullamento di tale capo sfavorevole della decisione.

Laddove nessuna censura specifica è stata formulata nei confronti di quest’ultima, tale non potendosi ritenere l’assunto che trattandosi di credito liquido ed esigibile doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 1282 cod. civ. Sicchè nel caso è da ribadire il principio,costantemente enunciato da questa Corte, secondo cui non è suscettibile d’essere cassata la sentenza fondata su vari ordini di ragioni, distinti ed autonomi, ognuno dei quali sia, in astratto, idoneo e sufficiente a legittimare il decisum, qualora taluno di essi risulti immune da vizi logici ed errori di diritto, o addirittura non sia stato impugnato: poichè, qualunque possa essere la conclusione in ordine alla censura relativa alle altre regioni della pronuncia, la decisione rimarrebbe pur sempre ferma stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate (Cass. 12 maggio 1999 n. 4687; 24 novembre 1998 n. 11902; 5 ottobre 1998 n. 9866).

Con il terzo motivo, il P., deducendo violazione degli art. 343 e 333 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile l’appello nei confronti del comune, malgrado fosse stato proposto con comparsa tempestivamente depositata assai prima della scadenza del termine indicato dal menzionato art. 343 cod. proc. civ. Con il quarto motivo, deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. si duole che tale inammissibilità sia stata dichiarata anche in assenza di specifiche richieste in tal senso da parte del comune; e malgrado i convenuti avessero manifestato già in primo grado la precisa volontà di estendere le loro domande nei confronti di detta amministrazione.

Anche queste censure sono inammissibili per le ragioni esposte con riguardo al 2 motivo.

Pur con riguardo alle stesse,infatti la decisione impugnata ha dichiarato inammissibile il terzo motivo dell’appello incidentale rivolto nei confronti del comune, sia perchè tardivo non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 343 cod. proc. civ. posto che le domande erano dirette non nei confronti dell’appellante principale ( S.), ma nei confronti dell’amministrazione comunale sicchè occorreva proporre un appello autonomo; sia perchè l’impugnazione non era specifica ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. contro le considerazioni di rigetto della medesima richiesta esposte dal Tribunale.

Si deve aggiungere che la Corte territoriale, pur se a proposito del primo motivo dell’appello principale dello S., aveva spiegato le ragioni per cui,in conseguenza della L. 144 del 1989, art. 23 non poteva essere proposta dall’appaltatore nei confronti del comune nè l’azione contrattuale, nè quella di indebito arricchimento (pag.8- 9); per cui non bastava al P. dedurre di avere già chiesto in primo grado la condanna diretta del comune al pagamento delle somme poi ottenute dagli amministratori, occorrendo dimostrare in relazione alla seconda ratio decidendi, che contrariamente all’assunto della Corte di appello, le considerazioni con cui entrambe le domande erano state respinte dai primi giudici erano state specificamente censurate nell’atto di appello. Laddove il P., che non ha colto tale seconda ratio decidendi della Corte, non solo non ha prospettato quali censure specifiche abbia rivolto nell’atto di impugnazione contro la statuizione di rigetto suddetta, ma non le ha formulate neppure nel ricorso,malgrado la sentenza impugnata l’avesse condivisa spiegandone le ragioni a proposito dell’appello dello S.;

sicchè il Collegio deve nuovamente applicare il principio giurisprudenziale che fondandosi detta decisione di appello su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali è sufficiente, da sola, a sorreggerla, il rigetto del motivo di ricorso attinente alla seconda di esse rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi, non potendo la loro eventuale fondatezza portare alla Cassazione della sentenza, che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento riconosciuto esatto (Cass. 7077/2001).

Inammissibile è infine anche l’ultimo motivo del ricorso con cui il P. deducendo violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. lamenta che la sentenza impugnata abbia confermato la compensazione delle spese processuali stabilita dal giudice di primo grado e compensato a sua volta quelle del giudizio di appello per il fatto che la somma offertagli dal comune era sostanzialmente equivalente a quella poi risultata dovuta: senza considerare che le controparti erano rimaste comunque soccombenti ed erano state obbligate al pagamento di somme che altrimenti non avrebbero corrisposto.

In tema di regolamento di dette spese,costituisce principio giurisprudenziale del tutto pacifico, che la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità, nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa; per cui esula, da tale sindacato e rientra, invece, nel potere discrezionale del giudice del merito, ex art. 92 cod. proc. civ., la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite.

Pertanto detto giudice non è tenuto a dare ragione con un’espressa motivazione sia dell’uso di detto potere nell’ipotesi di soccombenza reciproca e/o in quella della sussistenza di giusti motivi, sia del mancato uso di tale facoltà; e la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione. Nel caso, invece, la Corte territoriale ha congruamente motivato la compensazione delle spese tra le parti tanto nel giudizio di primo grado, quanto in quello di appello osservando che subito dopo la conclusione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti da parte del P., il comune con Delib. 7 dicembre 1993 gli aveva offerto la somma di L. 124.560.000, spettantegli in base al contratto prorogato poi annullato dal CORECO;

e che detta somma era risultata sostanzialmente corrispondente a quella poi accertata nel corso del giudizio: perciò risultato sostanzialmente inutile per avere l’appaltatore conseguito proprio la somma che gli era dovuta e che d’altra parte aveva chiesto con insistenza anche all’amministrazione comunale che l’aveva inutilmente offerta (reiterando la domanda anche in grado di appello). Per cui anche per questa ragione la statuizione non era impugnabile in questa sede di legittimità.

Quelle di questo grado del giudizio vanno gravate sul soccombente P. e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte,riunisce i ricorsi, rigetta il principale ed assorbito l’incidentale, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore dei controricorrenti in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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