Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22790 del 28/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/09/2017, (ud. 20/07/2017, dep.28/09/2017),  n. 22790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7930-2016 proposto da:

COMUNE DI UGENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FASANO MASSIMO;

– ricorrente –

contro

PARCO DEI PRINCIPI DI S.G. & Co. S.A.S., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO TRIESTE 155, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

PECORILLA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO CHIARELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2014/23/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI BARI – SEZIONE DISTACCATA DI LECCE, depositata il

25/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/07/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e); dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 2014/23/2015, depositata il 25 settembre 2015, non notificata, la CTR della Puglia – sezione staccata di Lecce – ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Ugento nei confronti dalla società Parco dei Principi di S.G. & Co. S.a.s. per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Lecce, che aveva accolto il ricorso proposto dalla società avverso cartella di pagamento relativa a TARSU per l’anno 2006 con riferimento ad immobile destinato ad esercizio alberghiero.

Avverso la pronuncia della CTR il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato formalmente ad un motivo.

La contribuente resiste con controricorso.

Con l’unico motivo il Comune ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sostenendo che la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere illegittima la delibera di Giunta municipale che, rispetto all’omogenea categoria del regolamento TARSU quale deliberata dal Consiglio comunale, avrebbe creato delle sottocategorie differenziando fortemente ai fini tariffari gli immobili destinati ad esercizio alberghiero rispetto a quelli destinati a civile abitazione.

Il motivo si sofferma essenzialmente sulla legittimità, effettivamente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, più di recente, Cass. sez. 5, 3 agosto 2016, n. 16175; Cass. sez. 6-5, ord. 7 dicembre 2016, n. 25214) che non è qui in discussione, della differenziazione tariffaria tra immobili destinati ad esercizio alberghiero rispetto a quelli occupati quali civili abitazioni quanto alla potenzialità di produzione di rifiuti, mostrando in tal modo di non avere colto l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, evidenziata anche in carattere grassetto dell’estensore della decisione impugnata, relativa all’appartenenza in capo al solo Consiglio comunale, quale organo titolare del relativo potere regolamentare il D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 42, (c.d. T.U.E.L.), di determinare, con riferimento alla TARSU, la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria, ed i criteri di graduazione (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, in forza dei quali quindi deliberare le relative tariffe).

Quand’anche, tuttavia, dovesse ritenersi in qualche modo l’argomentazione difensiva del Comune a sostegno del proposto ricorso volta a contestare specificamente tale statuizione della CTR, il motivo deve ritenersi comunque carente in relazione al canone di autosufficienza del ricorso per cassazione e, in ogni caso, manifestamente infondato.

In relazione al primo profilo il ricorrente ha omesso di riportare in dettaglio la previsione della delibera di Giunta comparata alla disposizione regolamentare di riferimento onde porre la Corte in condizione di svolgere compiutamente il sindacato richiesto (per fattispecie analoga cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 17 febbraio 2015, n. 3155). Sulla base, peraltro, di quanto sommariamente esposto in ricorso dal comune medesimo, va osservato quanto segue.

Il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lett. f), applicabile ratione temporis, al presente giudizio, riserva al Consiglio comunale l’istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote, e la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi, mentre specificamente il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 1, lett. a), riserva al potere regolamentare dei Comuni, anch’esso spettante al Consiglio comunale giusta del T.U.E.L., art. 42,comma 1, lett. a), la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria.

Nel caso di specie è incontroverso, dandone atto lo stesso Comune in ricorso, che solo con delibera di giunta ha creato, rispetto alla previsione di regolamento, una sottocategoria (8R) per i locali destinati ad esercizio alberghiero rispetto a quella (31R) prevista per gli immobili destinati a civili abitazioni, con relativa differenziazione tariffaria.

Ciò viola quindi il riparto di competenze tra il Consiglio e la Giunta (cfr. Cons. Stato, sez. 5, 9 novembre 2011, n. 5910) oggetto di specifica censura da parte della contribuente dinanzi al giudice di merito, che correttamente risulta avere quindi statuito in materia.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2017

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