Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22788 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. I, 03/11/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 03/11/2011), n.22788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CASA ZUCCHERI s.n.c., con sede in (OMISSIS), in

persona di M.Z.M., elettivamente domiciliata in

Roma al Viale Angelico n. 38, presso l’avv. Vincenzo Sinopoli,

rappresentata e difesa dall’avv. Verbari Giovanni Battista di

Trieste, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO, in persona del sindaco p.t.,

autorizzato a stare in giudizio da deliberazione della G.M. n. 268

del 17 ottobre 2005 ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Flaminia 195, presso l’avv. Vacirca Sergio, che anche disgiuntamente

con l’aw. Ezio Trampus di Trieste, lo rappresenta e difende, per

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 369/05 del 2-

31 maggio 2005, notificata alla ricorrente il 21 luglio 2005;

Udita all’udienza del 21 giugno 2011 la relazione del consigliere

Dott. Fabrizio Forte;

Uditi l’avv. Carnevali, con delega dell’avv. Verbari, per la

ricorrente, l’avv. Vacirca, per il controricorrnte, e il P.M. Dott.

PATRONE Ignazio, che conclude per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito della sentenza di questa Corte 5 dicembre 2002 n. 17252, che ha cassato con rinvio altra pronuncia della Corte d’appello di Trieste, statuendo che la determinazione del risarcimento del danno da occupazione usurpativa dell’area della società attuale ricorrente, in (OMISSIS), doveva operarsi sulla base della concreta destinazione di essa prevista negli strumenti urbanistici vigenti alla data dell’occupazione e trasformazione irreversibile dei suoli, la indicata Corte di merito in diversa composizione ha respinto, in sede di rinvio, il gravame contro la sentenza del Tribunale di Pordenone e confermato la liquidazione del risarcimento del danno di detto provvedimento impugnata dalla società ricorrente, compensando le spese dell’intero giudizio. La Corte di merito ha qualificato “edificabile” l’area della s.n.c. Casa Zuccheri, appellante in riassunzione, fissando il valore di mercato della stessa in rapporto alla sua destinazione esclusiva a parcheggio pubblico in L.. 15.000 a mq., pari a quello già determinato in primo grado, in rapporto alla concreta utilizzabilità di fatto delle superfici trasformate, confermando in tal modo la sentenza del Tribunale di Pordenone e la condanna del Comune di S. Vito in Tagliamento a pagare alla s.n.c. Casa Zuccheri in totale L. 117.000.000, con interessi e rivalutazione dal 1993 al saldo.

Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso notificato il 4 ottobre 2005 la s.n.c. Casa Zuccheri di M.M., con memoria illustrativa dell’impugnativa, cui resiste il Comune di S. Vito in Tagliamento con controricorso, notificato il 5 novembre 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza della Cassazione n. 17252 del 2005, cui nel rinvio doveva uniformarsi quella oggetto di ricorso, non ha dato alcuna qualificazione urbanistica all’area occupata dal comune di San Vito in Tagliamento, negando solamente rilievo alla c.d. edificabilità di fatto per valutare l’area e affermando invece che il valore del suolo occupato doveva dedursi dalla sua concreta destinazione urbanistica alla data della occupazione, prevista nel P.R.G. del comune approvato nel 1993 e vigente alla data dell’illecita trasformazione, essendo irrilevanti pregresse zonizzazioni di strumenti urbanistici superati.

Ad avviso della s.n.c. Casa Zuccheri di M.Z.M., la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente motivato come si uniformava ai principi enunciati dalla decisione della Cassazione a base del giudizio di rinvio. Alla pag. 24 del ricorso si afferma che l’area occupata “è destinata a parcheggio, parco urbano di quartiere e attrezzato e area per viabilità veicolare e pedonale, come risulta dal certificato di destinazione urbanistica prot. n. 16105 dell’11 luglio 2003”, che si fonda sul P.R.G. comunale di S. Vito in Tagliamento, approvato l’11 gennaio 1993 e vigente alla data dell’occupazione e trasformazione in parcheggio del suolo.

La sentenza impugnata è affetta, per la ricorrente, da motivazione contraddittoria su punti decisivi della controversia, cioè sulla destinazione urbanistica dell’area, avendo così violato i principi enunciati dalla Corte suprema nella sentenza a base del giudizio di rinvio e l’art. 42 Cost., oltre che l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Ad avviso della società ricorrente, è errato il presupposto logico della pronuncia impugnata, per la quale l’area occupata è urbanisticamente destinata a parcheggio, non dandosi in tal modo rilievo al P.R.G. del 1993.

In realtà, si deduce in ricorso che l’inclusione del suolo occupato nel centro storico del Comune di S. Vito in Tagliamento, di per sè e implicitamente comporta che esso sia urbanisticamente edificabile e da collocare in “zona territoriale omogenea”, come tale fabbricabile.

La decisione impugnata, per la ricorrente, non chiarisce in sostanza se la destinazione a parcheggio abbia natura conformativa o costituisca essa il vincolo preordinato all’esproprio, in quanto tale inidoneo a incidere sulla liquidazione di quanto dovuto a titolo risarcitorio.

La Corte d’appello ha erroneamente considerato solo la puntuale destinazione a parcheggio dell’area invece che la sua collocazione nel centro storico, che avrebbe imposto la classificazione B2 del suolo, così facendo gravare su esso soltanto gli svantaggi conseguenti a detta destinazione a servizio di tutte le superfici circostanti.

Nel ricorso si deduce che nessun accertamento vi era stato dai giudici di merito della destinazione dell’area in base al vigente P.R.G. del 1993, dovendosi escludere che la mera classificazione in Zona F rendesse inedificabili le aree in essa inserite, dovendosi invece fare riferimento alla zona circostante (area di espansione Zona C) per determinare il valore del suolo.

Nessuna motivazione ha la sentenza sulla natura conformativa della destinazione a parcheggio del suolo occupato, essendo comunque errata la valutazione del terreno operata in base ad una denuncia di successione di altra superficie ritenuta simile, denuncia al ribasso in ragione dei carichi tributari che comportava, e sulla base della dichiarazione ai fini I.C.I. della stessa ricorrente. Ad avviso della ricorrente, la sentenza a base del rinvio presuppone il carattere edificabile dei suoli illecitamente occupati oltre i termini della dichiarazione di pubblica utilità e trasformati irreversibilmente.

2. Il ricorso è infondato.

La Corte di appello si è infatti uniformata alla sentenza n. 17252/02 di questa Corte nell’escludere ogni rilievo alla c.d.

edificabilità di fatto e nel valutare il suolo in rapporto alla sua concreta destinazione urbanistica all’epoca della illecita occupazione avvenuta nel 1993 e quando già vigeva il P.R.G. del comune, approvato a gennaio di quello stesso anno.

In realtà, l’area è sita in Zona F e quindi destinata ad attrezzature e servizi pubblici, ovvero a verde e, come tale, è ritenuta inedificabile dalla giurisprudenza di questa Corte (così, di recente, Cass. 13 gennaio 2010 n. 4 04), dovendosi le opere previste in tale zona realizzare di regola dalla amministrazione e non essendo in essa consentita l’edificazione a iniziativa privata.

In quanto la manipolazione prevista dal certificato di destinazione urbanistica era solo la realizzazione di servizi pubblici, tra i quali il parcheggio in fatto costruito, la Corte ha esattamente ritenuto che, alla data dell’occupazione usurpativa, l’area doveva valutarsi in rapporto a tale destinazione e in ragione del fatto che unico acquirente di essa avrebbe potuto essere la P.A, che avrebbe dovuto realizzare l’opera per la sosta dei veicoli. Si è applicato il principio di recente affermato da Cass. 13 gennaio 2011 n. 717, per il quale, in sede risarcitoria, per le aree in edificabili, è in facoltà del proprietario di dimostrare, in relazione alle caratteristiche e attitudini del suolo, utilizzazioni anche diverse da quelle meramente agricole, dalle quali rilevare valori maggiori di quelli meramente tabellari previsti dalle norme che la sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 10 giugno 2 011 ha dichiarato illegittime in relazione alla indennità di espropriazione.

Nel caso, la Corte ha ritenuto giusto il prezzo di L. 15.000 a mq.

indicato dal c.t.u. in base alla comparazione con prezzi indicati in atti che la ricorrente ritiene inadeguati per il loro carattere fiscale, senza peraltro dare specifiche indicazioni diverse o alternative che possano fondare la individuazione di un diverso e maggiore valore di mercato dei terreni.

Al giusto prezzo e al valore venale delle aree si è quindi ispirata la Corte d’appello, pur ritenendo inedificabili i terreni occupati in ragione del vigente P.R.G. del 1993, così decidendo in conformità alla decisione di questa Corte a base del giudizio di rinvio e non violando gli articoli della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo cui si riferisce il ricorso, che è quindi infondato, per essersi la Corte di merito correttamente uniformata ai principi espressi da questa Corte nel 2002, usando come parametro per determinare il valore di mercato delle aree in sede di liquidazione del risarcimento la loro concreta utilizzazione e redditività e quindi la loro destinazione economica desumibile da quella urbanistica. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico del Comune soccombente e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), dei quali Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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