Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22785 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 09/11/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 09/11/2016), n.22785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12329/2010 proposto da:

G.G., C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA BELSITO, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

PRESSO LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIETTA CORETTI ed EMANUELE DE ROSE, giusta delega in

calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1470/2009 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 17/04/2009 R.G.N. 6186/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17.4.2009 il giudice del lavoro del Tribunale di Salerno accolse l’opposizione proposta dall’Inps avverso il precetto notificatogli da G.G. sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 2778/96 con la quale l’istituto previdenziale era stato condannato al pagamento dell’adeguamento della disoccupazione agricola per il periodo 1982 – 1986.

Il giudicante spiegò che, come documentato in atti, era stata la stessa creditrice a rinunciare ad una parte del credito, limitando la pretesa ai soli anni 1985 e 1986 e che risultavano essere state già pagate dall’Inps le somme dovute per effetto della predetta rinunzia.

Per la cassazione della sentenza ricorre la G. con tre motivi.

L’Inps deposita procura in calce al ricorso notificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 1969 e 2909 c.c., la ricorrente contesta l’impugnata sentenza con riguardo alla parte in cui la Corte territoriale ha posto a base della propria decisione un atto transattivo controverso, da lei disconosciuto e mai acquisito al processo, senza nemmeno considerare che lo stesso atto risaliva ad un’epoca antecedente alla sentenza n. 2778/96, passata in giudicato, che aveva riconosciuto l’adeguamento della prestazione.

2. Col secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 112 e 116 c.p.c., degli artt. 1703 c.c. e segg. e della mancanza di motivazione, assumendo che il documento sul quale la Corte d’appello ha basato la propria decisione non poteva essere qualificato come transazione.

3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la mancanza di motivazione, rilevando che non aveva mai rilasciato quietanze in favore del debitore e che non aveva mai sottoscritto rinunzie e transazioni che avessero un punto di riferimento con la sentenza posta in esecuzione.

Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile in quanto nessuno dei motivi di censura si conclude col prescritto quesito di diritto di cui all’art. 366-bis c.p.c., nella formulazione vigente prima della sua abrogazione avvenuta per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69 (art. 47, comma 1, lett. d) in vigore dal 4.7.2009, dal momento che la sentenza impugnata risulta pubblicata il 17.4.2009.

Si è, infatti, ribadito (Cass. sez. 5 n. 24597 del 19/11/2014) che “l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47″ (conf. a Cass. sez. 3, Ordinanza n. 7119 del 24/3/2010).

Sulla necessità della formulazione del quesito di diritto si è, infatti, avuto occasione di chiarire (Cass. sez. 5 n. 10758 dell’8/5/2013) che ” il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis c.p.c., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività a seconda che comportino, o no, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali” (in senso conf. v. anche Cass. sez. 3, n. 24339 del 30/9/2008).

Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1800,00, di cui Euro 1700,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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