Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22783 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/08/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 12/08/2021), n.22783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20742-2018 proposto da:

V.D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato LINDA LONGO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIAN ENRICO BARONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2018 della COMM.TRIB.REG.SARDEGNA,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/05/2021 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Daniele Maria V. impugna, con due motivi, la sentenza n. 382/2018, depositata il 26/4/2018, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, respingendo l’appello del contribuente, ha confermato la decisione di primo grado che aveva rilevato il proprio difetto di giurisdizione, in relazione alla domanda di risarcimento danni ed ai crediti di natura non tributaria recati da alcune delle cartelle di pagamento presupposte, nonché dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo, perché tardivamente proposto nei confronti di Equitalia s.p.a., che era diretto a far valere l’illegittimità delle iscrizioni ipotecarie basate sulle residue cartelle esattoriali, in tesi, mai notificate, e delle quali assumeva la parte privata aver avuto conoscenza, in data 23/1/2012, solo a seguito di richiesta di visura sullo stato dei propri beni immobili.

Il giudice di appello ha disatteso le doglianze concernenti il rilevato difetto di giurisdizione del giudice tributario, considerato che bisogna guardare alla natura dei crediti sottesi all’iscrizione di ipoteca, i quali, unitamente alla domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. dei contribuenti in conseguenza di atti impositivi illegittimi, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, ribadiva inoltre la tardività della opposizione del contribuente per decorso del termine D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, comma 1.

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorrente deduce (primo motivo), violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, e art. 12, nullità del procedimento e della sentenza di appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto l’Agenzia delle Entrate -Riscossione si è costituita in giudizio tramite avvocato del libero foro, mentre doveva avvalersi di propri funzionari, ai sensi del richiamato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, a far data dal 1 gennaio 2016. Aggiunge che dall’illegittimità della costituzione in giudizio discende l’inammissibilità delle difese e I’inutilizzabilità della documentazione difensiva prodotta

Il ricorrente (secondo motivo) deduce, altresì, difetto di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in merito alla valutazione delle prove versate in atti da parte del giudice di appello, segnatamente, per quanto concerne il rilievo del documentato cambio di residenza dal Comune di Muravera, a quello di Selargius, effettuato il 26 ottobre 2005.

Le censure sono infondate e vanno disattese.

Quanto alla prima, relativa alla questione della dedotta invalidità del conferimento del mandato ad avvocato del libero foro, comportante, quale conseguenza, che la lite debba essere eventualmente decisa tra le parti originarie, giova richiamare il principio, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui, “Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal citato R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4 – nel rispetto del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del D.L. 193 del 2016, art. 1, comma 5, conv. in L. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità.” (Cass. S.U. n. 30008/2019)

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, succeduta ope legis a Equitalia Centro s.p.a., appellata costituita, per quanto riportato nella impugnata sentenza, ha depositato una memoria illustrativa il 23 marzo 2018 per chiedere il rigetto del gravame o, in subordine, la chiamata in causa degli enti impositori, dunque, ha richiamato nella sostanze le difese già svolte dall’Agente della riscossione.

Quanto alla seconda censura, il contribuente deduce che nella sentenza della CTR difetterebbe qualsivoglia motivazione sul fatto, documentalmente provato in giudizio, del cambio di residenza intervenuto nel corso dell’anno 2005, dal quale discenderebbe- in tesi – la invalidità di alcune notifiche, afferenti le prodromiche cartelle di pagamento, eseguite ai sensi dell’art. 140 c.p.c., “in comuni diversi da quello di residenza e per di più senza il recapito dell’avviso a mezzo di raccomandata”.

Il ricorrente lamenta la mancata valorizzazione di un fatto, il trasferimento della residenza anagrafica, che assume affermato e documentalmente dimostrato sin dal primo grado del giudizio, e del quale non viene fatto cenno nella motivazione della sentenza di appello, che si limita a rilevare che la regolarità della notifica delle cartelle di pagamento recanti crediti tributari “come peraltro risulta dagli atti versati in atti”, essendo viceversa precluso il relativo esame per quelle recanti crediti di diversa natura, stante il declarato difetto di giurisdizione del giudice tributario.

L’apparenza della motivazione che, potendosi parificare alla motivazione inesistente, ne consente la censura ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 si verifica nel caso in cui essa “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232): in questi casi si può dunque parlare di assenza di una motivazione percepibile realmente come tale.

L’omessa pronuncia denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c. consiste, invece, nella mancanza di presa di posizione del giudice rispetto ad una domanda od eccezione, nulla avendo a che vedere con la mera carenza motivazionale, in una delle sue possibili manifestazioni. Ipotesi ancora diversa è quella regolata dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’ultima formulazione della norma (applicabile ratione temporis), che si incentra sull’individuazione di un “fatto” il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito e che, per la sua decisività, da intendere come elevato grado logico di pregnanza, se consderato, potrebbe in sé sovvertire l’esito della pronuncia impugnata, sicché si impone la rivisitazione del giudizio, da svolgere tenendo conto anche della circostanza pretermessa: “fatto” di cui è stato omesso l’esame che è da intendere in senso storico – naturalistico (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152).

In tale quadro, secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., 7 aprile 2014, n. 8053/2014), si colloca l’attuale e novellato assetto normativo che si caratterizza per la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in cassazione, nelle forme di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé”, che si determina, quale vizio processuale (art. 360 c.p.c., n. 4), allorquando l’anomalia si manifesti come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

La censura della motivazione, nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 presuppone però una specifica modalità delle critica, rigorosamente articolata attraverso l’indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Resta per altro verso ferma la possibilità di dedurre la violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), allorquando vi sia contrasto con la disciplina che regolano l’operatività e l’efficacia delle prove, tra cui in particolare può qui richiamarsi l’ipotesi del mancato rispetto delle regole di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 c.c.) richieste per la prova presuntiva, il che nuovamente consente il sindacato sotto il profilo della elevata probabilità logica (Cass. n. 29635/2018, n. 19485/2017).

Così come la ritenuta inidoneità di un fatto pur dedotto può essere tale, se quel fatto, proprio come allegato, integri in sé la circostanza costitutiva di un diritto

o gli estremi di un eccezione, da permettere di censurare l’erronea valutazione quale violazione della norma sostanziale (art. 360 c.p.c., n. 3), che si ritenga viceversa intercettata dalla predetta circostanza e risulti pertanto mal apprezzata dal giudice del merito nella propria pregnanza giuridica.

Venendo al caso di specie, la censura che investe la motivazione della sentenza impugnata, relativamente alla questione della nullità della notificazione ex art. 140 c.p.c. di talune cartelle di pagamento recanti i crediti oggetto della misura cautelare, appare formulata in modo troppo generico e non contiene alcuna specificazione delle cartelle di cui si discute.

Neppure è sufficiente dedurre, ai fini qui considerati, che le notifiche sono avvenute “in comuni diversi da quello di residenza del contribuente”, senza alcuna precisazione in ordine al domicilio fiscale che, nel caso di persona fisica, coincide con il luogo della sua residenza anagrafica, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 58.

Va considerato, infatti, che il domicilio fiscale è requisito indispensabile per la notifica degli atti tributari, che si realizza attraverso un procedimento diretto a comprovare la conoscenza legale dell’atto impositivo da parte del destinatario, con l’applicazione, in quanto consentita, delle norme del codice di procedura civile.

La disciplina delle notificazioni degli atti tributari si fonda sul criterio del domicilio fiscale e sul correlato onere preventivo del contribuente di indicare quello proprio all’Ufficio tributario, e di tenere detto ufficio costantemente informato delle sue eventuali variazioni, per cui, come questa Corte ha avuto occasione di affermare, “il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’Ufficio procedente ad eseguire le notifiche comunque ne domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e).” (Cass. n. 27129/2016, n. 1206/2011).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, , se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio con collegamento da remoto, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

 

 

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