Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22783 del 09/11/2016
Cassazione civile sez. lav., 09/11/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 09/11/2016), n.22783
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28089/2010 proposto da:
S.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA VALADIER 53, presso lo studio dell’avvocato CATALDO MARIA DE
BENEDICTIS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROBERTO ALLEGRA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati
ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, LUIGI CALIULO, giusta delega in
atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4655/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 25/05/2010 R.G.N. 7534/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito l’Avvocato DE BENEDICTIS CATALDO MARIA;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega verbale Avvocato SGROI
ANTONINO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza depositata in data 25 maggio 2010 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da S.P. contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato per carenza del requisito contributivo la sua domanda di pensione di anzianità.
2. Il ricorrente infatti aveva richiesto di accreditare nove annualità necessarie per il conseguimento del requisito contributivo (1820 contributi), conseguenti all’emersione di lavoro irregolare relativo al periodo 2002-2004 per cui egli aveva presentato domanda ai sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383.
3. La Corte, confermando il giudizio già espresso dal Tribunale, ha richiamato il disposto della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 1, comma 1 e lo ha interpretato nel senso che la legittimazione a presentare la domanda di emersione di lavoro irregolare entro il termine stabilito dal legislatore compete al datore di lavoro, il quale, in caso di società, è il suo legale rappresentante. Nella specie, la domanda di emersione presentata dalla società Retablo, in quanto sottoscritta da soggetto diverso dal legale rappresentante e non ratificata da quest’ultimo, non poteva spiegare i suoi effetti.
4. Contro la sentenza, il S. propone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 1 e, dopo aver precisato di essere presidente del consiglio di amministrazione della Retablo S.r.l. e di aver presentato la domanda in tale qualità, assume che la domanda di emersione deve essere inoltrata dal “titolare del reddito di impresa quale soggetto di imposta sul reddito”, nella specie coincidente con la sua persona.
2. Con il secondo motivo denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e chiede che questa Corte dichiari se “in ordine alla qualifica di parte datoriale, la corte d’appello abbia in modo inadeguato ritenuto non idonea la domanda di emersione rendendo la stessa nulla ai fini della rivendicazione del diritto alla fruizione al benefici all’emersione”.
3. Entrambi i motivi sono infondati, oltre a presentare evidenti profili di inammissibilità, riscontrabili nel fatto che la parte non trascrive neppure nelle sue parti salienti nè deposita unitamente al ricorso per cassazione la domanda volta a far emergere il periodo di lavoro irregolare da lui prestato alle dipendenze della società. Neppure indica in quale sede, con quale atto ed in quali termini avrebbe prospettato la questione relativa alla sua qualità, in quanto presidente, di destinatario di imposta sul reddito, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata.
4. Con ciò la parte non rispetta il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in base al quale, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito per rispettare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, o meglio di specificità dei motivi del ricorso – da intendersi alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali al fine di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).
5. Deve aggiungersi che, sia sotto il profilo della corretta interpretazione della norma invocata, sia sotto quello della congruità e sufficienza della motivazione, la sentenza è immune dalle censure mosse, avendo fatto piana applicazione della norma di cui alla L. n. 383 del 2001, art. 1, la quale nella parte in cui attribuisce agli “imprenditori che hanno fatto ricorso al lavoro irregolare, non adempiendo in tutto o in parte agli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia fiscale previdenziale” il potere di far emergere tale lavoro tramite apposita dichiarazione di emersione, non può che riferirsi al datore di lavoro, qualità che inerisce alla società in quanto tale, con l’ulteriore conseguenza che la domanda, involgendo l’obbligazione contributiva, deve essere presentata dal soggetto investito della rappresentanza della società, ossia dal suo legale rappresentante. L’affermazione della sentenza secondo cui l’odierno ricorrente non era, al tempo di presentazione della domanda, il legale rappresentante della società non è censurata, con la conseguenza che anche il denunciato vizio motivazionale è infondato.
6. Il ricorso pertanto non può essere accolto. In applicazione del criterio della soccombenza le spese del giudizio devono essere poste a carico del ricorrente, in nella misura indicata in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3100,00, cui Euro 100 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e agli altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016