Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22781 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 03/11/2011), n.22781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

V.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CORSO ITALIA 97, presso lo studio dell’avvocato DE BATTISTA

FLAVIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIANI ALESSANDRO

giusta procura alle liti a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 420/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, SEZIONE DISTACCATA di LATINA del 19/06/09,

depositata il 29/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito l’Avvocato Mariani Alessandro, difensore del controricorrente

che insiste per il rigetto del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA che si

riporta alla relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: “Il relatore cons. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina n. 420/40/09, depositata il 29 giugno 2009, con la quale veniva rigettato l’appello da esso Ufficio proposto avverso la decisione di primo grado; quest’ultima aveva accolto l’impugnazione proposta da V.D. all’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2000 per Iva, Irpef ed Irap. Il giudice a quo motivava ritenendo che, avendo il contribuente offerto in primo grado la prova sulle motivazioni che giustificavano lo scostamento dagli studi di settore contestatogli con l’avviso, e non avendo l’ufficio dedotto altro, non poteva ritenersi più sufficiente la presunta discordanza con gli studi di settore.

Il contribuente resiste controdeducendo.

2. Con il primo motivo, accompagnato da idoneo quesito di diritto, viene denunciata la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39, comma 1, lett. D) per avere l’impugnata sentenza ritenuto che l’avviso di accertamento non fosse adeguatamente motivato.

2.2 Il secondo motivo – con il quale si contesta il codice attribuito dall’ufficio all’attività svolta dalla contribuente e, conseguentemente l’applicazione dello studio di settore relativo a tale attività – è inammissibile in quanto sia la doglianza che il relativo quesito di diritto pongono problematiche in fatto, non prospettabili nella presente sede se non come vizi motivazionali e trovando applicazione, con riferimento a questi ultimi, il pacifico e condiviso principio (Cass. SS.UU. n. 5802 dell’11.6.1998) secondo cui il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

2.3 Il terzo motivo, con il quale viene censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa pronuncia da parte del giudice a quo sulla sussistenza del requisito soggettivo (carenza del diploma abilitativi) necessario per l’esercizio dell’attività di erboristeria ritenuto dall’ufficio, è inammissibile poichè non contiene quella indicazione riassuntiva e sintetica, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le altre, Cass., Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. n. 8897 del 2008), deve corredare il motivo con cui si lamentino vizi di motivazione.

3. Si ritiene, pertanto, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, ai sensi degli artt.375 e 380 bis c.p.c., per manifesta inammissibilità dei motivi nn. 2, 3, 4 ,5 e 6 e infondatezza di quello n. 1.

Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate memorie dalle parti;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, fondati su di una consolidata giurisprudenza di questa Corte;

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che, in applicazione del principio della soccombenza le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, vengono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio che liquida in Euro 1200,00, oltre spese generali e competenze come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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