Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22780 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17625/2019 proposto da:

O.G.O., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Marco Giorgetti, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato in Ancona, Corso Mazzini n. 100.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 28.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da O.G.O., cittadino della (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 16.11.2017 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS) e di essere di etnia benin e di religione cristiana pentecostale; ii) di essere cresciuto con la nonna e di essere stato costretto a fuggire dalla Nigeria perchè minacciato dalla setta degli (OMISSIS) di cui faceva parte la nonna.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, per la mancata allegazione dei presupposti applicativi della invocata protezione internazionale e per la mancata credibilità del racconto; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non era stata allegata e provata una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente.

2. La sentenza, pubblicata il 28.11.2018, è stata impugnata da O.G.O. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla valutazione di non credibilità del racconto della richiedente.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis e comunque vizio di motivazione, in riferimento alla violazione del principio della cooperazione istruttoria giudiziale.

3. Il terzo mezzo deduce vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nonchè vizio di motivazione sul medesimo punto.

4. Con il quarto motivo la ricorrente articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 e del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Già il primo motivo è inammissibile.

La censura si compone solo di generiche osservazioni di merito sul profilo della valutazione di non credibilità del racconto, valutazione espressa in modo adeguato e scevro da criticità argomentative da parte della corte distrettuale, senza neanche indicare quali sarebbero stati i fatti storici il cui omesso esame avrebbe vulnerato la tenuta complessiva della motivazione impugnata.

Sul punto, non è ultroneo ricordare che – secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte di legittimità (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ne discende che – in mancanza di una precisa allegazione del vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la censura così formulata non può che essere dichiarata inammissibile.

Da ultimo, deve essere chiarito come la valutazione negativa in ordine alla credibilità del racconto del richiedente escluda in radice la possibilità della reclamata cooperazione istruttoria giudiziale che non avrebbe ragione di esplicarsi in presenza di una vicenda ritenuta non credibile dai giudici del merito.

5.2 Ma anche la seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità perchè la stessa non coglie la ratio decidendi su cui riposa il diniego della richiesta protezione internazionale e sussidiaria ex art. 14, lett. a e b, e cioè una valutazione di complessiva non credibilità del racconto che esclude in radice la praticabilità di qualsiasi approfondimento istruttorio giudiziale.

5.3 Il terzo motivo è inammissibile, in ragione della sua evidente genericità di formulazione, perchè si compone solo di riferimenti normativi e giurisprudenziali, senza indicare l’oggetto della doglianza.

5.4 Il quarto motivo – declinato in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria – non coglie la ratio della decisione, che si fonda sulla mancata allegazione da parte del richiedente di una condizione di soggettiva vulnerabilità, così rendendo le censure così formulate del tutto irrilevanti ai fini del decidere.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

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