Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22780 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 09/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 09/11/2016), n.22780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19326/2015 proposto da:

ALLIANZ S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,

presso lo studio (TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO RAFFAELE),

rappresentata e difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ALESSANDRA MARIN, FABIO

PETRACCI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 203/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 17/06/2015 r.g.n. 315/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato PATERNO’ FEDERICA per delega verbale Avvocato DE

LUCA TAMAJO RAFFAELE;

udito l’Avvocato MARIN ALESSANDRA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- C.G. è stato licenziato per giusta causa con comunicazione del 7 gennaio 2013 da Allianz Spa per fatti contestati con nota del 6 dicembre 2012 relativi all’indebita percezione dell’indennità giornaliera di missione nonchè per talune mancate presenze in servizio.

Impugnato il licenziamento con il rito previsto dalla L. n. 92 del 2012, il Tribunale di Trieste confermava con sentenza il provvedimento reso all’esito della fase sommaria nella parte in cui, accogliendo parzialmente il ricorso del lavoratore, dichiarava risolto il rapporto di lavoro tra le parti e condannava la datrice di lavoro al solo pagamento dell’indennità risarcitoria prevista della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, novellato, per tardività nella contestazione dei fatti, in una misura pari a nove mensilità della retribuzione globale di fatto percepita.

I giudici del primo grado ritenevano che la reiterata violazione delle procedure interne in tema di trasferte da parte del C. costituiva condotta idonea a minare in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro, dovendosi escludere l’esistenza di una autorizzazione aziendale a recarsi in (OMISSIS), luogo di residenza del lavoratore, rispetto a (OMISSIS), sede di lavoro, la sera precedente a missioni che il medesimo lavoratore avrebbe dovuto svolgere in (OMISSIS) o altrove, al fine di conseguire l’indennità di missione. Tuttavia, considerata l’evidente tardività della contestazione dei fatti, avvenuta in data 6 dicembre 2012 per fatti risalenti anche al 2011, andava concessa l’indennità risarcitoria prevista per le violazioni procedimentali nella misura innanzi indicata.

A fronte di detta sentenza pubblicata il 4 dicembre 2014 il C. proponeva reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, depositato in data 19 dicembre 2014 presso la Corte di Appello di Trieste. Fissata dalla Corte l’udienza di discussione del 12 febbraio 2015 il reclamo veniva notificato ad Allianz Spa a mezzo PEC in data 23 dicembre 2014 ed a mezzo ufficiale giudiziario in data 8 gennaio 2015.

Con memoria del 2 febbraio 2015 resisteva la società reclamata, eccependo preliminarmente l’improcedibilità e/o l’inammissibilità dell’impugnazione per i vizi attinenti tanto alla notificazione effettuata a mezzo PEC, poichè l’atto mancava di tutte le pagine pari, quanto a quella a mezzo ufficiale giudiziario, perchè effettuata fuori termine. In ogni caso, oltre al rigetto del reclamo, formulava impugnazione incidentale per l’accertamento dell’inesistenza della violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 o, subordinatamente, per la rideterminazione dell’indennità di cui all’art. 18, comma 6, stessa legge.

Alla prefissata udienza del 12 febbraio 2015, la Corte territoriale, considerato che il procuratore del C. aveva ammesso che nella notifica a mezzo PEC vi era stato un salto di pagine, così testualmente disponeva: “dato atto che la notifica si è perfezionata ma non è stato rispettato il termine dilatorio che deve intercorrere tra la notifica del ricorso e l’udienza di trattazione, per integrare detto termine aggiorna la causa all’udienza del 26 marzo 2015”.

Con sentenza depositata il 17 giugno 2015 la Corte di Appello adita, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento “stante il difetto di giusta causa ovvero di giustificato motivo soggettivo per insussistenza del fatto contestato”, ha ordinato la reintegra del C. nel posto di lavoro ed ha condannato Allianz Spa al pagamento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

Esaminato il materiale probatorio, la Corte territoriale ha concluso che “i fatti posti a base della contestazione disciplinare non possono dirsi sussistenti, da un lato quantomeno per carenza dell’elemento psicologico (se non addirittura per la preventiva autorizzazione aziendale), dall’altro perchè le condotte censurate rientravano a pieno titolo nei canoni contrattuali, ed infine perchè era stato contestato un comportamento – la mancata presenza in un luogo dove non si era tenuti ad esserci – che non rientrava tra quelli passibili di sanzione”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Allianz Spa con quattro motivi, illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso C.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione ai vizi delle notificazioni del ricorso per reclamo. Si deduce che la Corte triestina avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione pregiudiziale di inammissibilità e/o improcedibilità dell’impugnazione per nullità della notificazione, sia a mezzo PEC che a mezzo ufficiale giudiziario.

Con il secondo motivo si denuncia ancora nullità della sentenza o del procedimento, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione di plurime norme processuali nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6CEDU, in relazione ai vizi delle notificazioni del ricorso per reclamo. Stante il mancato rispetto del termine di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1,commi 60 e 52, da parte della notificazione effettuata a mezzo ufficiale giudiziario in data 8 gennaio 2015, si sostiene che “la Corte di Appello, invece che adottare il provvedimento di semplice “aggiornamento” dell’udienza, avrebbe dovuto rilevare l’insanabile nullità della notifica del reclamo avversario e dichiararne l’improcedibilità”.

I motivi, da valutarsi congiuntamente per reciproca connessione, sono infondati.

Occorre preliminarmente evidenziare che nella vicenda processuale sottoposta allo scrutinio del Collegio non vi è questione di applicazione del principio di diritto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20604 del 2008, riguardante la diversa ipotesi dell’improcedibilità dell’appello dovuta ad omessa notifica dell’impugnazione.

Nella specie, invece, la notificazione dell’impugnazione è avvenuta a mezzo ufficiale giudiziario in data 8 gennaio 2015, sebbene oltre il termine previsto dal combinato disposto della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 60 e 52.

Pertanto, oramai acquisita la natura sostanziale di appello rispetto al reclamo disciplinato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1,commi da 58 a 60, con conseguente applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. n. 23021 del 2014; conforme: Cass. n. 4223 del 2016), la questione può trovare soluzione avuto riguardo ai principi affermati in tema di violazione del termine minimo che deve intercorrere tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione ex art. 435 c.p.c., comma 3.

Come noto, infatti, la violazione di detto termine non minore di venticinque giorni configura un vizio della notificazione che non produce alcuna nullità se l’atto abbia raggiunto il suo scopo per effetto della costituzione dell’appellato (da ultimo v. Cass. n. 25684 del 2015), per cui altrettanto può dirsi nel caso di violazione del termine previsto per la notificazione del reclamo di cui alla L. n. 92 del 2012.

Inoltre, quando non sia stata effettuata la notifica dell’impugnazione nel rispetto del termini di cui all’art. 435 c.p.c., commi 2 e 3, può essere disposta d’ufficio, o ad istanza dell’appellante medesimo, la fissazione di altra udienza di discussione in data idonea a consentire il rispetto di detti termini, potendo, peraltro, il contraddittorio ritenersi validamente costituito anche quando il collegio, senza emettere un formale provvedimento di rinnovo, si sia limitato, all’udienza di discussione originariamente fissata, a disporre il rinvio della medesima, con notificazione alla controparte non costituita (cfr. Cass. n. 21978 del 2010; Cass. n. 12147 del 1991; v. anche Cass. n. 4523 del 1992).

Ne consegue che alcuna nullità del procedimento in esame si è realizzata allorquando, come ricordato nello storico della lite, a fronte della costituzione della società reclamata che aveva eccepito la violazione del termine previsto della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 60 e 52, la Corte di Appello di Trieste, dando atto che effettivamente tale “termine dilatorio che deve intercorrere tra la notifica del ricorso e l’udienza di trattazione” non era stato rispettato, “per integrare detto termine” ha coerentemente disposto il rinvio della causa alla successiva udienza del 26 marzo 2015, per cui alcuna violazione del contraddittorio o del diritto di difesa può dirsi consumata.

4.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come innovato dalla L. n. 92 del 2012, con riferimento al concetto di “insussistenza del fatto contestato”, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si eccepisce che l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale imporrebbe un’ulteriore verifica ed accertamento, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, in merito agli elementi soggettivi della condotta nonchè del disvalore obiettivo da essa rappresentato ed ancora dell’esclusione di esimenti o condizioni di non punibilità che sarebbe estranea ai requisiti previsti dal novellato art. 18, comma 4, citato.

La censura è infondata.

Con essa si trascura di considerare che la Corte territoriale, contrariamente ai giudici di primo grado, ha ritenuto insussistente il fatto così come contestato “per carenza dell’elemento psicologico (se non addirittura per la preventiva autorizzazione aziendale)”. I giudici di appello, infatti, hanno accolto il primo motivo di reclamo del lavoratore, ritenuto “decisivo”, con cui il C. ribadiva “l’esistenza da tempo di un’autorizzazione preventiva da parte dei superiori, pienamente consapevoli che il ricorrente – residente in Trieste per motivi di lavoro – pernottava in Padova dalla famiglia in occasione delle trasferte”; hanno ritenuto, dall’esame del materiale istruttorio, che la società fosse pienamente consapevole ed anzi avesse accettato il modus operandi del dipendente, il quale aveva sempre ribadito di avere seguito tale prassi già a partire dal suo trasferimento a Trieste (pag. 22 sentenza impugnata).

Si tratta di un accertamento in fatto della vicenda che non risulta efficacemente censurato ed appare evidente che se si contesta al dipendente di avere indebitamente fruito di un trattamento di missione e si accerta invece che la condotta era autorizzata ed accettata dalla datrice di lavoro nessun comportamento disciplinarmente rilevante può dirsi sussistente, perchè non vi è un inadempimento.

Ne deriva che ove il giudice del merito ritenga non sussistente l’addebito disciplinare così come contestato, privandolo del carattere di illiceità e giudicando il medesimo non meritevole di alcuna sanzione (cfr. Cass. n. 20540 del 2015), trova applicazione l’art. 18, comma 4, della L. n. 300 del 1970, novellato art. 18, “per insussistenza del fatto contestato”.

5.- Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, con riferimento al principio della tempestività della contestazione disciplinare. Si deduce che il requisito dell’immediatezza è compatibile con un intervallo di tempo che risulti necessario per il preciso accertamento della condotta del lavoratore e per le più adeguate e ponderate valutazioni.

Il motivo è inammissibile in quanto una volta riconosciuta al lavoratore la tutela reintegratoria cd. attenuata prevista della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, più volte citato, con statuizione che ha superato, per quanto innanzi, il vaglio di legittimità, non vi è margine per applicare la tutela prevista dal sesto comma dello stesso articolo prevista in caso di violazioni formali e procedimentali.

Peraltro la società difetta di interesse a far valere tale motivo di gravame atteso che la Corte territoriale, a differenza del primo giudice, non ha condannato la medesima al pagamento di alcuna indennità per la tardività della contestazione disciplinare ma, anzi, nel corpo della motivazione ha ritenuto assorbita l’impugnazione incidentale della società sul punto, stante appunto il disposto dell’ultima parte del comma 6 citato secondo cui l’indennità risarcitoria, determinata in relazione alla gravità della violazione formale o procedimentale commessa dal datore di lavoro, si applica “a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento”, nel qual caso, come nella specie, trovano applicazione le più rigorose tutele previste dagli altri commi del medesimo art. 18.

6.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione risulta nella specie notificato in data 29 luglio 2015 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.100,00, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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