Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22779 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16925/2019 r.g. proposto da:

O.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Marco Giorgetti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Ancona, Corso Mazzini n. 100.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 15.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da O.F., cittadino della (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 28.10.2007 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS) e di essere di etnia (OMISSIS) e di religione cristiana; ii) di aver vissuto la sua infanzia con la nonna paterna e di aver subito la perdita del padre e della sorella per decessi maturati in circostanze misteriose, a causa di una maledizione della matrigna; iii) di aver ottemperato alle decisioni familiari di allontanarsi dai luoghi di origine per sottrarsi ad ulteriori conseguenze determinate dal sopra descritto maleficio. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto e perchè comunque le vicenda personale non evidenziava alcun atto di persecuzione ai suoi danni; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito a (OMISSIS), città di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato, in quanto le azioni terroristiche di (OMISSIS) si concentrano negli stati del nord della Nigeria; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di vulnerabilità e non emergeva una condizione di criticità per la sicurezza dei cittadini.

2. La sentenza, pubblicata il 15.11.2018, è stata impugnata da O.F. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla valutazione di non credibilità del racconto della richiedente.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,5 e 7 e comunque vizio di motivazione, in riferimento alla violazione del principio della cooperazione istruttoria giudiziale.

3. Il terzo mezzo deduce vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nonchè vizio di motivazione sul medesimo punto.

4. Con il quarto motivo il ricorrente articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 e del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter.

5. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2 e per vizio di motivazione.

6. Il ricorso è inammissibile.

6.1 Già il primo motivo è inammissibile.

La censura si compone solo di generiche osservazioni di carattere meritale sul profilo della valutazione di non credibilità del racconto, valutazione espressa in modo adeguato e scevro da criticità argomentative da parte della corte distrettuale, senza neanche indicare quali sarebbero stati i fatti storici il cui omesso esame avrebbe vulnerato la tenuta complessiva della motivazione impugnata.

Sul punto, non è ultroneo ricordare che – secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte di legittimità (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ne discende che – in mancanza di una precisa allegazione del vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la censura così formulata non può che essere dichiarata inammissibile.

6.2 Ma anche il secondo motivo di censura incappa nei medesimi profili di inammissibilità già sopra evidenziati in riferimento al primo motivo.

La doglianza si compone, anche in tal caso, solo di generiche osservazioni sul profilo della mancata cooperazione istruttoria dei giudici del merito, senza enucleare quali siano i fatti, il cui omesso esame avrebbe legittimato la proposizione del vizio di cui al sopra ricordato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e senza indicare quali preposizioni argomentative avrebbero integrato la denunciata genericità della motivazione, che, ora, risulta impugnabile solo nei ristretti limiti previsti dalla norma processuale da ultimo menzionata.

Sul punto, non può essere dimenticato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. sempre Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

A ciò va aggiunto che il tema di indagine di cui il ricorrente denuncia il mancato approfondimento riguarda, invero, la questione delle asserite violenze alle comunità cristiane nigeriane che non riguardano affatto la vicenda personale del richiedente, il quale ha narrato di aver maturato la volontà di allontanarsi dal suo paese per ragioni familiari.

6.3 Anche il terzo motivo non supera il vaglio del giudizio di ammissibilità. La censura si incentra, invero, sulla dedotta violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria da parte dei giudici del merito.

Ebbene, la censura non coglie tuttavia la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in relazione alla decisione di rigetto della richiesta di protezione internazionale e di quella sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, ha fondato tale giudizio negativo sulla rilevata non credibilità del racconto della richiedente, profilo quest’ultimo che non è stato censurato nel presente motivo di impugnazione e che è stato solo genericamente (e inammissibilmente) impugnato nei primi due motivi di ricorso.

6.4 Il quarto motivo è del pari inammissibile perchè le censure non colgono, quanto al diniego della richiesta tutela umanitaria, le rationes decidendi del provvedimento impugnato che fonda la sua decisione, in relazione alla protezione residuale qui in esame, sulla valutazione di non credibilità del racconto e sulla mancata allegazione da parte del ricorrente di una condizione di soggettiva vulnerabilità.

6.5 L’ultimo motivo è in realtà inammissibile alla luce della giurisprudenza da ultimo espressa da questa Corte con la Sentenza Sez. Un. 4315 del 20/02/2020, a tenore della quale il giudice dell’impugnazione che emetta una delle pronunce previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, è tenuto a dare atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore del contributo unificato (c.d. doppio contributo) anche quando esso non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venire meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato), potendo invece esimersi dal rendere detta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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