Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22777 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. II, 12/09/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 12/09/2019), n.22777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 7765/15) proposto da:

C.C., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Francesca

Luisa Revelli e domiciliata presso il suo studio, in Roma, al Viale

dei Colli Portuensi, n. 536;

– ricorrente –

contro

CA.AN.MA., (C.F.: (OMISSIS)), CI.RA. (C.F.:

(OMISSIS)) e CI.MA. (C.F.: (OMISSIS)), nella qualità di

eredi di Ci.Sa., quale titolare dell’omonima

autocarrozzeria, rappresentati e difesi, in virtù di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Luca Crippa e Chiara

Aniballi, elettivamente domiciliari presso lo studio del primo, in

Roma, Viale Mazzini, n. 55;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5089/2014,

depositata il 30 luglio 2014 (notificata il 9 febbraio 2015).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Ci.Sa. proponeva appello avverso la sentenza n. 218/2006 emessa dal Tribunale di Roma – sez. dist. di Ostia, con la quale era stata respinta la sua domanda diretta all’ottenimento della condanna di C.C. al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto per i lavori eseguiti sulla carrozzeria dell’autoveicolo di proprietà del convenuto, sul presupposto che l’attore non aveva provato che il preventivo concernente il costo dei lavori fosse stato portato a conoscenza del committente e dallo stesso accettato.

Nella costituzione dell’appellato e con l’intervento, nelle more del giudizio di appello, degli eredi del deceduto appellante (in persona di Ca.An.Ma., Ci.Ra. e Ci.Ma.), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5089/2014, accoglieva il gravame e, per l’effetto, in totale riforma dell’impugnata sentenza, rilevava la fondatezza della domanda originariamente proposta dal Ci.Sa. e condannava l’appellante al pagamento, in favore degli eredi dell’attore-appellante, della somma di Euro 9.510,70 (oltre interessi legali dalla domanda al saldo), nonchè alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il C.C., affidandolo a due motivi, resistito con un unico controricorso da tutti gli intimati, i quali instavano, in via preliminare, per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Ci.An., quale ulteriore erede di Ci.Sa. e che si era costituito, in tale qualità, nel giudizio di appello (e, tuttavia, non evocato con il formulato ricorso per cassazione), invocando, in ogni caso, il rigetto del ricorso.

Il difensore del ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 1326,2223,2225,2727 e 2697 c.c., per aver il giudice di appello fondato la sua decisione su presunzioni e congetture per pervenire a ritenere provati fatti invece privi di riscontri probatori (inerenti, in particolare, l’accettazione implicita del preventivo), sul presupposto, peraltro, erroneo di aver ricondotto il contratto intercorso tra le parti ad un contratto d’opera.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 132 e 92 c.p.c., per omessa motivazione in ordine alle esorbitanti – e, perciò, sproporzionate – spese liquidate all’esito del giudizio di secondo grado.

3. In via pregiudiziale ritiene il collegio di soprassedere sulla invocata richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti di Ci.An., quale ulteriore erede dell’originario attore Ci.Sa. (intervenuto in grado di appello e non evocato nel giudizio di cassazione), non ravvisandosene la necessità al fine di garantire la durata ragionevole del processo (quale principio ora costituzionalizzato: cfr. art. 111 Cost., comma 2), dovendosi, invero, pervenire al rigetto del ricorso (per le ragioni di seguito spiegate). In tal senso, quindi, trova applicazione quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 15106/2013 e Cass. n. 11287/2018) alla stregua del quale, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di una ragione essenzialmente evidente che lascia propendere per (l’inammissibilità o per) l’infondatezza del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di (eventuali) litisconsorti necessari a cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità.

4. Ciò premesso, osserva, infatti, il collegio che il primo motivo è destituito di fondamento e va respinto.

Invero, la Corte di appello di Roma – nell’esercizio del suo potere valutativo degli acquisiti elementi probatori, sufficientemente supportato da una idonea motivazione – ha dato conto di aver accertato l’emergenza della prova dell’emissione del preventivo dal contenuto di una missiva (in data 11 marzo 2003) del legale del carrozziere e dalla circostanza che, in dipendenza di ciò,

era sopravvenuta la consegna del veicolo al Ci., facendo, inoltre, scaturire la prova dell’accettazione del preventivo da un duplice ordine di ragioni: – dal verificato fatto che era stato versato preventivamente un acconto (che – di norma – non ha ragione di essere corrisposto ove non sia stato raggiunto un preventivo accordo sul prezzo della prestazione); – dall’accertato fatto che la prima contestazione nei confronti del carrozziere era intervenuta solo nel marzo 2003, senza che, in ogni caso, si potesse ritenere manifestata una volontà contraria del committente all’esecuzione dei lavori e ciò anche dopo aver appreso l’entità del corrispettivo per gli stessi dovuto; da qui la Corte capitolina ha legittimamente desunto l’ingiustificatezza del rifiuto del pagamento del saldo da parte del C..

Pertanto, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, il ragionamento operato dalla Corte territoriale e conducente alla soluzione del riconoscimento del compenso in favore dell’autocarrozziere non è basato su un percorso presuntivo, ma su riscontri oggettivi ritenuti emersi dall’esperita istruzione, che costituiscono, quindi, frutto di una mera valutazione di merito, come tale insindacabile nella presente sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivata e senza che si sia potuto evincere l’omesso esame di fatti decisivi della controversia tali da poter sorreggere una conclusione diversa.

5. Il secondo motivo è propriamente inammissibile per difetto di specificità non risultando indicati i valori delle singole voci dei compensi che – ad avviso dello stesso ricorrente – sarebbero spettati agli appellanti sia tenendo conto delle attività svolte sia avuto riguardo allo scaglione della tabella professionale in concreto applicabile, non potendosi ritenere sufficiente allo scopo la mera allegazione della sproporzione delle spese liquidate rispetto al valore della causa.

Deve, a tal proposito, trovare conferma il principio già affermato più volte dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 22287/2009 e Cass. n. 18190/2015), alla stregua del quale il ricorso per cassazione – che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o della mera sproporzione di quanto liquidato a titolo di spese giudiziali con riferimento al valore del giudizio presupposto e alla natura e all’entità delle attività processuali effettivamente svolte – è inammissibile, atteso che, in applicazione del principio di specificità che deve necessariamente connotare il ricorso in sede di legittimità, devono essere adeguatamente precisati gli errori commessi dal giudice e puntualmente individuate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate.

5. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

Non può farsi luogo all’attestazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, poichè il ricorrente risulta essere stato ammesso al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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