Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22776 del 09/11/2016

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 09/11/2016), n.22776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14762-2011 proposto da:

Z.C., C.F. (OMISSIS), S.L. C.F. SCLLCU53T52F856I,

in proprio e nella qualità rispettivamente di tutore e protutore di

Z.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L. ANDRONICO

24, presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA TREBESCHI,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA ULSS (OMISSIS) BASSANO DEL GRAPPA, C.F. (OMISSIS), in persona

del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COSSERIA 5 int. 1, presso lo studio dell’avvocato GUIDO

ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO STERNINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 275/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/01/2011 R.G.N. 702/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato TREBESCHI FRANCESCO per delega Avvocato TREBESCHI

ANDREA;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Il Tribunale di Bassano del Grappa ha rigettato la domanda proposta da Z.C. e S.L., quali tutori e protutori di Z.S., tendente alla restituzione della somma di Euro 20.045,44 versate alla ASL (OMISSIS) di Bassano del Grappa in relazione al ricovero di Z.S., affetta da grave ritardo mentale, presso l’Istituto (OMISSIS). Con la stessa decisione veniva altresì accolta la domanda della ASL relativa alla rivalsa dell’ulteriore somma di Euro 52.303.24, vantata in virtù del medesimo titolo con particolare riguardo alla quota alberghiera del ricovero.

2. – La Corte di appello di Venezia, con sentenza depositata in minuta il 3.5.2010 (e pubblicata il 24.1.2011), ha respinto l’appello proposto da Z. e S., ritenendo infondata la domanda di ripetizione dagli stessi avanzata e, al contempo, meritevole di accoglimento la pretesa esercitata in via riconvenzionale dalla ASL. Veniva posta in evidenza, alla stregua delle norme contenute nelle L. n. 180 del 1978 e L. n. 730 del 1983 (artt. 14, 25, 26, 30, 64) e nei D.P.C.M. 8 agosto 1985 e D.P.C.M. 14 febbraio 2001, la natura di carattere assistenziale (priva di requisiti di cura sanitaria) delle prestazioni eseguite nei confronti della Z.S., affetta da grave ritardo mentale e sottoposta a trattamento farmacologico presso una struttura residenziale a ciclo continuativo e/o diurno senza possibilità di cure specialistiche.

3. – Per la cassazione di tale decisione i ricorrenti originari propongono ricorso affidato a otto motivi, al quale la ASL intimata resiste con controricorso. Sono state presentate, da entrambi le parti, memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si deduce error in procedendo non avendo, la Corte territoriale, illustrato i motivi dell’accollo delle spese vantate dalla ASL a carico di soggetti diversi dall’utente, non essendo mai stata citata, nella sentenza impugnata, l’azione prevista dalla L. n. 1580 del 1931, art. 1.

2. – Con il secondo ed il terzo motivo i ricorrenti deducono error in procedendo non avendo, la Corte territoriale, tenuto conto della perizia elaborata dal consulente tecnico d’ufficio (che, a seguito di approfondita disamina della situazione patologica di Z.S., ha ritenuto di “rilievo sanitario” la somministrazione continua di farmaci) ed ignorando l’istanza di rinnovazione della consulenza avanzata in giudizio.

3. – Con il quarto motivo si deduce falsa applicazione della L. n. 730 del 1983, art. 30, della L. n. 833 del 1978, artt. 1, 2, 3,25,26, 51, 53, 64, 75 e del D.P.C.M. 8 agosto 1985, artt. 1,2 e 6 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo errato, la Corte territoriale, a ritenere Z.S. come malato psichico cronico stabilizzato sottoposto a trattamento farmacologico volto ad evitare gli esiti degenerativi della patologia, trattandosi, invece, di soggetto con ritardo mentale grave, disabile, che necessita di assistenza per svolgere tutte le attività essenziali per la vita.

4. – Con il quinto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, della L. n. 104 del 1992, art. 7, del D.P.R. 1 marzo 1994, del D.M.7 maggio 1998 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non aver la Corte di appello considerato l’evoluzione del quadro normativo nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale. In particolare, i ricorrenti rilevano che il D.P.C.M. 14 febbraio 2001 ha definito come “prestazione sanitaria integrante i livelli uniformi di assistenza” la “prevenzione dell’aggravamento del danno funzionale per le patologie croniche”; che il Decreto del Ministero della Salute 7 maggio 1998 ha previsto che l’intervento riabilitativo di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 26 ha, fra gli altri, l’obiettivo di “porre una barriera alla regressione funzionale cercando di modificare la storia naturale delle malattie cronico-degenerative riducendone i fattori di rischio e dominandone la progressione”; che già il Piano sanitario nazionale 1994-1996 (D.P.R. 1 marzo 1994) aveva inserito le attività di riabilitazione fra le priorità della rete dei servizi sanitari, dovendosi intendere per “attività sanitarie di riabilitazione” gli interventi valutativi, diagnostici, terapeutici e le altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni a contenere o minimizzare la sua disabilità, ed il soggetto disabile a muoversi, camminare, parlare, vestirsi, mangiare, comunicare e relazionarsi efficacemente nel proprio ambiente familiare, lavorativo, scolastico e sociale.

5. – Con il sesto motivo si deduce violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 septies (introdotto dal D.Lgs. n. 229 del 1999), del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, artt. 1, 4, 6, tabella 1, del D.P.C.M. 29 novembre 2001, art. 1 e tabella 1 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, trascurato che in base al suddetto quadro normativo sono poste a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale l’assistenza ai disabili attraverso interventi diretti al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e tramite prestazioni domiciliari, ambulatoriali, semiresidenziali e residenziali.

6. Con il settimo motivo si deduce violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 24, del D.Lgs. n. 109 del 1998, artt. 1, 2 e 3, della L. n. 328 del 2000, artt. 8, comma 3, lett. g) e art. 25 del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, art. 5, comma 2 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale applicato la L. n. 1580 del 1931, art. 1 da ritenersi implicitamente abrogato, e trascurato che la norma a cui fare riferimento per la compartecipazione al costo dei servizi socio-assistenziali è il D.Lgs. n. 109 del 1998, che individua i “criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche” e che esclude – all’art. 2, comma 6 – la possibilità di ogni forma di rivalsa nei confronti dei parenti tenuti agli alimenti precisando che le disposizioni sull’ISEE non attribuiscono agli enti erogatori la facoltà ex art. 438 c.c., comma 1, nei confronti dei componenti il nucleo familiare dell’assistito, dovendosi semmai far riferimento – in base all’art. 3, comma 2 – esclusivamente alla situazione economica del solo assistito.

7. – Con l’ottavo motivo si deduce violazione della L. n. 112 del 1998, art. 131, comma 2, della L. n. 328 del 2000, artt. 4,comma 2, 6,22, commi 2 e 4, non essendosi avveduta, la Corte territoriale, che la legittimazione passiva per la richiesta dell’integrazione della retta di Z.S. spettava al Comune e non alla ASL.

8. – Vanno esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi nonchè logicamente precedenti, il quarto, il quinto ed il sesto motivo.

9. la L. n. 730 del 1983, art. 30 recita: “Per l’esercizio delle proprie competenze nelle attività di tipo socio – assistenziale, gli enti locali e le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, delle unità sanitarie locali, facendosi completamente carico del relativo finanziamento. Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio – assistenziali. Le unità sanitarie locali tengono separata contabilità per le funzioni di tipo socio assistenziale ad esse delegate”. Con la L. n. 730, art. 30 sono state menzionate, per la prima volta, le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali. A “definire” la nuova tipologia di attivata e intervenuto il D.P.C.M. 8 agosto 1985.

Il D.P.C.M., all’art. 1, ha definito attività di rilievo sanitario quelle “che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio – assistenziali, purchè siano diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza delle quali l’attività sanitaria non può svolgersi e produrre effetti, mentre non rientrano tra le dette attività di rilievo sanitario le attività direttamente ed esclusivamente socio-assistenziali, anche se indirettamente finalizzate alla tutela della salute del cittadino e in particolare i ricoveri in strutture protette extra ospedaliere meramente sostitutivi, sia pure temporaneamente, dell’assistenza familiare”; all’art. 6 ha previsto che affinchè tali ricoveri possano rientrare tra le attività socio – assistenziali di rilievo sanitario le relative prestazioni devono essere dirette, in via esclusiva o prevalente, fra l’altro, “alla cura e al recupero fisio-psichico dei malati mentali, ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 64 purchè le suddette prestazioni siano integrate con quella dei servizi psichiatrici territoriali”.

Il successivo D.P.C.M. 14 febbraio 2001, peraltro non applicabile ratione temporis alla fattispecie (trattandosi di prestazione relative al periodo 1990-1996), ha distinto “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale” dalle “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria” nonchè dalle “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria” riservando particolare attenzione e ponendo a carico del Servizio Sanitario Nazionale tutte quelle prestazioni (inserite nella prima categoria) “finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo – tenuto conto delle componenti ambientali – alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale”.

10. La pretesa della ASL (OMISSIS) di Bassano del Grappa di ripetere le somme affrontate per la degenza della figlia dei ricorrenti presso l’Istituto Gris di Mogliano Veneto si fonda sulla ripartizione delle spese in “quota a rilievo sanitario” e in “quota a rilievo sociale”, ritenendo l’ente di propria spettanza soltanto la prima e pretendendo il pagamento della seconda dagli esponenti, in quanto soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c..

11. Come questa Corte ha già affermato, non può sottacersi, in primo luogo, l’esigenza di un’interpretazione che tenga conto del nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, tenuto conto della portata innovativa dell’art. 32 Cost., sia sotto il profilo della universalità della tutela dell’interesse della collettività, sia sotto il profilo della libertà dell’individuo di consentire o meno trattamenti sanitari, sia, infine, per quanto riguarda il limite del “rispetto della persona umana” imposto al legislatore in questa materia (Corte cost., nn. 455 del 1990; 267 del 1998; 309 del 1999; 509 del 2000; 252 del 2001; 432 del 2005). In tale quadro, ed alla luce del principio affermato, in linea generale, dalla legge di riforma sanitaria, che prevede la erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, da parte del servizio sanitario nazionale, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale (L. n. 833 del 1978, artt. 1,3,19,53 e 63), di per sè ostativa a qualsiasi azione di rivalsa (Cass., 26 marzo 2003, n. 4460), la lettura della norma contenuta nella L. n. 730 del 1983, art. 30 deve effettuarsi, peraltro in maniera conforme al tenore letterale della disposizione, nel senso di ritenere che gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali sono a carico del fondo sanitario nazionale.

In tale prospettiva si è consolidato un indirizzo interpretativo del tutto omogeneo, tale da costituire diritto vivente, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, l’attività va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto, di competenza del Servizio Sanitario Nazionale (Cass., Sez. un., 27 gennaio 1993, n. 1003; Cass. 18 settembre 2014, n. 19642; Cass. 22 marzo 2012, n. 4558; Cass., 25 agosto 1998, n. 8436, proprio in tema di rapporti con la legislazione del Veneto; Cass., 20 novembre 1996, n. 10150; con riguardo alla giurisprudenza amministrativa, Cons. St. 26 gennaio 2015, n. 339; Cons. St. 13 maggio 2014, n. 2456; Cons. St. 15 maggio 2013, n. 2639; Cons. St., 31 luglio 2006, n. 4695; Cons. St., 29 novembre 2004, n. 7766; Cons. St., 16 giugno 2003, n. 3377).

La connessione tra prestazioni sanitarie e prestazioni assistenziali va ricostruita, oltre che dai dati normativi nazionali indicati, anche dalla definizione del diritto alla salute che si ricava dagli strumenti internazionali, a cominciare dalla Costituzione dell’Organizzazione mondiale della Sanità, in base alla quale “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. Del pari, a livello europeo, la Carta sociale europea, promossa dal Consiglio d’Europa e in vigore dal luglio 1999, prevede dettagliate misure per rendere effettivo il diritto alla protezione della salute, e precisamente (art. 11): “misure volte in particolare ad eliminare, per quanto possibile, le cause di una salute deficitaria”, nonchè detta ulteriori prescrizioni (art. 13) per assicurare l’effettivo esercizio del diritto all’assistenza sociale e medica, in particolare per quanti non hanno mezzi sufficienti. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in vigore dal dicembre 2009, dispone, all’art. 35 che “Ogni individuo ha diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”. La disamina di tutti gli atti normativi internazionali e comunitari rende evidente che, seppur l’organizzazione dell’assistenza sanitaria resta di competenza dei governi nazionali, vi è una forte promozione non solo della cooperazione fra gli Stati membri dell’Unione europea per la prevenzione delle malattie, l’eliminazione delle fonti di pericolo, la lotta contro i grandi flagelli e le minacce per la salute a carattere frontaliero, ma altresì la concreta prospettiva di un impegno sempre maggiore alla protezione della sanità pubblica declinata nei suoi differenti ambiti, in modo da raggiungere parametri elevati di qualità delle prestazioni (come prescritto dall’art. 35 della Carte dei diritti fondamentali e ribadito nell’art. 168 TFUE).

12. Ebbene, tra i casi di rilievo sanitario deve farsi rientrare anche quello relativo alle spese derivanti non da una mera attività di sorveglianza e di assistenza bensì da un trattamento farmacologico somministrato, in struttura residenziale protetta, in favore di un soggetto affetto da grave patologia psichiatrica, trattandosi di spese riconducibili alle prestazioni del Servizio Sanitario secondo le previsioni della L. n. 833 del 1978 e del D.P.C.M. 8 agosto 1985. Invero, la L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 1, definisce le “prestazioni curative” come quelle consistenti nell’assistenza medico generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica e il D.P.C.M. del 1985 include tra le attività socio-assistenziali di rilievo sanitario i ricoveri in strutture protette extra ospedaliere nell’ambito dei quali le prestazioni siano dirette, in via esclusiva o prevalente, fra l’altro, “alla cura e al recupero fisio-psichico dei malati mentali”. La corretta interpretazione di tali fonti normative consente, pertanto, di includere nelle prestazioni socio assistenziali di rilievo sanitario i trattamenti farmacologici somministrati con continuità a soggetti con grave psicopatologia cronica ospitati presso strutture che siano dotate di strumentazione e personale specializzato idonei ad effettuare terapie riabilitative. Tali ipotesi sono differenti dai casi in cui l’assistenza fornita a degenti sia meramente sostitutiva delle cure familiari, ipotesi escluse dai livelli essenziali di assistenza garantiti gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale (cfr. Cass. n. 19642/2014 che ha escluso l’erogazione gratuita delle spese derivanti dall’attività di sorveglianza e di assistenza resa in favore di un soggetto anziano ricoverato presso una casa di riposo).

13. Con riguardo alla struttura di accoglienza della Z., secondo le disposizioni di cui alla L. n. 833 del 1978, deve considerarsi sanitaria ogni struttura che tenda al mantenimento ed al recupero della salute del malato; “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali…” (art. 1, comma 3); e “nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività” (art. 1, comma 4). La struttura di inserimento del malato, anche se di tipo residenziale, non appare, pertanto, elemento determinante per la classificazione delle prestazioni come meramente assistenziali ovvero sanitarie.

14. Alla luce di tali principi deve ritenersi che le attività socio assistenziali dirette in via prevalente alla tutela della salute del cittadino siano a totale carico del servizio sanitario e che rimangano escluse le ipotesi, indubbiamente residuali, in cui vengano somministrate prestazioni di natura esclusivamente assistenziale.

La Corte veneziana si è discostata dai suesposti principi di diritto e dalla nozione di assistenza di rilievo sanitario innanzi ricostruita laddove ha ricavato la presunzione, dalle mere allegazioni delle parti in ordine al trattamento somministrato alla Z. e dalle caratteristiche della struttura di ricovero, che si tratti di erogazione di mera assistenza sanitaria, senza tuttavia aver compiuto alcun approfondito accertamento di fatto circa la situazione clinica presentata dalla paziente (considerato che la C.T.U. invocata dai ricorrenti non attiene al giudizio in corso, bensì ad altro procedimento giudiziario, estinto) e circa la potenzialità della struttura di erogare terapie di riabilitazione ritenute necessarie al caso di specie (a prescindere dalla concreta somministrazione) al fine di valutare la ricorrenza di una complementarità necessaria tra assistenza e cura nei casi di ricovero per grave infermità psichica.

Appare, infatti, evidente che, ove sussista quella stretta correlazione, nel senso sopra evidenziato, fra prestazioni sanitarie e assistenziali, tale da determinare la totale competenza del servizio sanitario nazionale, non vi sia luogo per una determinazione di quote, nel senso invocato dal Comune ricorrente (con riferimento al citato D.P.C.M. 8 agosto 1985, art. 6, u.c., e della L.R. Veneto n. 55 del 1982, art. 3), che presuppongono una scindibilità delle prestazioni, non ricorrente in ipotesi, come quella in esame, di stretta correlazione con netta prevalenza degli aspetti di natura sanitaria.

15. In conclusione, vanno accolti il quarto, il quinto ed il sesto motivo, assorbiti tutti gli altri motivi. La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al predetto accoglimento e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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