Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22775 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12327/2019 r.g. proposto da:

M.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giuseppe Lufrano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Civitanova Marche, Via Fermi n. 3.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 4.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da M.A., cittadino del (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 9.2.2018 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato nel distretto di (OMISSIS), zona teatro di continui scontri militari; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine perchè vittima di violenza da parte di una famiglia del suo stesso villaggio.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso, e comunque per la mancata allegazione da parte del richiedente di veri atti di persecuzione ai suoi danni, trattandosi di una mera vicenda privata per la quale avrebbe potuto richiedere la protezione statale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Pakistan di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano e perchè non era stata neanche dimostrata una condizione di vulnerabilità del ricorrente.

2. La sentenza, pubblicata il 4.2.2019, è stata impugnata da M.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, in riferimento all’affermata natura privata della vicenda raccontata dal richiedente.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27, in ordine alla valutazione dei presupposti applicativi della protezione sussidiaria disancorata dal contesto socio-politico del Pakistan.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato scrutinio della condizione di soggettiva vulnerabilità del ricorrente.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo è inammissibile.

La censura con coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che fonda il diniego della richiesta protezione internazionale e sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, sul rilievo della mancata credibilità del racconto del richiedente e sull’accertata circostanza della mancata dimostrazione da parte di quest’ultimo della richiesta di protezione avanzata alla polizia locale, circostanze quest’ultime che se non adeguatamente censurate dal ricorrente rendono del tutto irrilevante, ai fini del decidere, anche l’ulteriore profilo della mancata cooperazione istruttoria dei giudici del merito in ordine al sistema di protezione statuale in Pakistan.

4.2 Anche il secondo motivo è formulato in modo inammissibile.

Con il motivo in esame il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione da parte del giudice di merito del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Sostiene che la sentenza impugnata ha esaminato la domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), senza avvalersi dei propri poteri officiosi per accertare la sussistenza nel Paese di origine del richiedente d’una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, e comunque senza indicare da quali fonti abbia tratto le informazioni poste a fondamento della propria decisione.

Il motivo è inammissibile perchè, nei termini in cui è formulato, non consente a questa Corte di stabilirne l’astratta rilevanza e, di conseguenza, di valutare se sussista l’interesse a proporlo, ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

Il ricorrente, infatti, nell’illustrazione del motivo si limita a dedurre che il Giudice di merito non ha indicato da quali fonti di informazione (c.d. COI Country of Origin Informations) ha tratto le proprie conclusioni, ma non indica mai, nemmeno genericamente, a quali diverse conclusioni quel Giudice sarebbe dovuto pervenire, se avesse esaminato fonti attendibili ed aggiornate; nè indica quale sarebbero potute essere le fonti “attendibili ed aggiornate”, dimostrative della sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di sua provenienza; nè, infine, ne riassume o trascrive il contenuto.

Tale omissione impedisce di apprezzare l’astratta rilevanza dell’error in iudicando denunciato dal ricorrente.

Infatti, se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge.

Pertanto, chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso.

In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

Occorre pertanto affermare il principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, il ricorrente che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di c.d. cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non può limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate avrebbe dovuto teoricamente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile.

Le ulteriori censure articolate sempre del secondo motivo in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, sono invece inammissibili, in ragione del fatto che, al solito, con colgono la ratio decidendi del provvedimento di diniego che, sul punto qui in esame, si fonda su una valutazione di complessiva non credibilità del racconto del richiedente.

4.3 Il terzo motivo – articolato in riferimento al diniego della richiesta protezione umanitaria – è inammissibile, in quanto genericamente formulato e volto a sollecitare la corte di legittimità ad una rivalutazione del merito della decisione.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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