Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22774 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11179/2019 r.g. proposto da:

A.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Giorgetti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Ancona, Corso Mazzini n. 100;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex

lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici, in

Via dei Portoghesi, è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 6.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da A.G., cittadino del (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 5.6.2016 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di provenire dal (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per il timore di violenze dei parenti della moglie che lo incolpavano della morte di quest’ultima, sebbene la stessa fosse morta suicida; iii) di appartenere comunque ad una fazione politica opposta a quella dei parenti della moglie, rappresentando quest’ultima circostanza un ulteriore motivo di timore, in caso di rimpatrio.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, perchè la vicenda narrata non evidenziava la commissione di atti di persecuzione in danno del richiedente e perchè comunque occorreva accedere ad una complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non era stata allegata una situazione di soggettiva vulnerabilità del richiedente e non si assisteva in Bangladesh ad una violazione dei diritti fondamentali dei cittadini.

2. La sentenza, pubblicata il 6.11.2018, è stata impugnata da A.G. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6 e 7, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e comunque vizio di apparenza di motivazione.

2. Il secondo motivo articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 e del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter.

3. Il primo motivo è inammissibile, già quanto alla richiesta di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c.

5.2.1 Con il motivo in esame il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione da parte del giudice di merito del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, sostenendo (peraltro, in modo generico) che la sentenza impugnata aveva esaminato la domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), senza avvalersi dei propri poteri officiosi per accertare la sussistenza nel Paese di origine del richiedente d’una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, e comunque senza indicare da quali fonti avesse tratto le informazioni poste a fondamento della propria decisione.

Tuttavia, chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso.

In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

Occorre pertanto affermare il principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, il ricorrente che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di c.d. cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non può limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate avrebbe dovuto teoricamente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile.

Nel resto, la censura si compone di generiche riflessioni sui differenti presupposti applicativi della invocata tutela sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b (rispetto a quella diversa di cui alla successiva lett. c), senza tuttavia aggredire la ratio decidendi del provvedimento di diniego della predetta tutela che si fonda su una complessiva valutazione di non credibilità del racconto.

5.4 Il secondo motivo – declinato in riferimento al diniego della invocata protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile, in quanto generico e rivolto ad una rivalutazione del merito della decisione impugnata e perchè comunque non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che nega la richiesta protezione umanitaria in ragione della mancata allegazione da parte del ricorrente di serie condizioni di vulnerabilità soggettiva.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

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