Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22773 del 28/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/09/2017, (ud. 20/06/2017, dep.28/09/2017),  n. 22773

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3553-2016 proposto da:

PASTORINO SRL, in persona dell’amministratore unico legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SAN TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

DIERNA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE VACCARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA SPA A (già SERTT SICILIA s.p.a.) AGENTE

RISCOSSIONE PROVINCIA SIRACUSA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2745/16/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE SEZIONE DISTACCATA di SIRACUSA, depositata il 23/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2017 dal Consigliere Dott. CONTI ROBERTO

GIOVANNI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La società Pastorino srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la sentenza resa dalla CTR Sicilia indicata in epigrafe che ha respinto l’appello proposto dalla contribuente avverso la cartella di pagamento relativa ad IRAP per l’anno 2009.

L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso, mentre Riscossione Sicilia spa non ha depositato difese scritte. La parte ricorrente ha depositato memoria.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Il primo motivo, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, è infondato, dovendosi integrare la motivazione della sentenza, corretta nel dispositivo, con le seguenti argomentazioni.

Questa Corte ha chiarito che il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non si riflette sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo, vertendosi in ipotesi di “…atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente (Cass. 26053/15, 6199/15, 6610/13)”. Tanto è sufficiente per confutare i rilievi difensivi esposti in memoria dalla società contribuente.

Peraltro, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, che disciplina il contenuto e la formazione dei ruoli, non prevede alcuna sanzione specifica di nullità per il caso di mancata sottoscrizione – cfr. Cass. n. 19761/2016. Senza dire che il ruolo esattoriale -quale atto amministrativo – è assistito da una presunzione di legittimità, che spetta al contribuente superare mediante prova contraria (la presunzione iuris tantum di legittimità opera anche nei giudizi in cui è parte l’amministrazione che ha formato l’atto: Cass. 24 febbraio 2004, n. 3654, Rv. 570463; Cass. 2 marzo 2012, n. 3253, Rv. 621447) – cfr. Cass. n. 26546/2016.

Orbene, sulla base di tali considerazioni, la decisione che ha rigettato la censura del contribuente volta a prospettare l’invalidità del ruolo per difetto di sottoscrizione è palesemente infondata.

Quanto alle ulteriori prospettazioni difensive richiamate in memoria dalla parte ricorrente a proposito dell’onere della prova, le stesse sono parimenti infondate. La ricorrente richiama, per vero la giurisprudenza di questa Corte in tema di onere della prova alla stregua dell’art. 2697 c.c., quanto ai crediti dell’amministrazione nei confronti del contribuente, omettendo tuttavia di rilevare che detto principio non si applica con riferimento alle pretese fondate su cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, delle quali qui si discute – cfr. Cass. 27127/2016.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 91 c.p.c., è inammissibile, laddove non indica in maniera specifica quale sia la violazione alla tariffa forense disciplinata dal D.M. n. 55 del 2014 nella quale sarebbe incorso il giudice di appello.

E’ poi inammissibile la richiesta di esame di motivo di censura non riproposto nel ricorso per cassazione sul quale pure si sofferma la memoria della ricorrente.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti dell’Agenzia delle entrate costituita, dandosi atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte, viti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 5000,000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione civile in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2017

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