Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22769 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8019/2019 r.g. proposto da:

I.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Iacopo

Casini Ropa, con cui elettivamente domicilia in Jesi, Corso

Matteotti n. 21, presso lo studio del predetto avvocato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 16.8.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da I.M., cittadino della (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 16.8.2018 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè costretto dalla tradizioni familiari e dalla comunità locale a sposare la vedova del fratello e per l’ulteriore timore di essere vittima degli attentati terroristici di (OMISSIS).

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè comunque non ricorrevano nel caso di specie atti di persecuzione in danno del richiedente ovvero atti di violenza e di minaccia da parte di organi statali; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla Nigeria, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, in mancanza di una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente.

2. La sentenza, pubblicata il 16.8.2018, è stata impugnata da I.M. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo.

2. Il secondo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

3. Con il terzo motivo il ricorrente articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo.

4. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo è infondato.

5.1.1 Si invoca, in maniera poco comprensibile, l’applicazione del D.L. n. 113 del 2018, al fine di rendere applicabili i “casi speciali” della protezione umanitaria.

Quanto alla questione dell’applicabilità retroattiva della normativa dettata dal D.L. n. 113 del 2018, occorre richiamare la recentissima sentenza resa a sezioni unite da questa Corte, secondo la quale, verbatim “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L.” (Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Ne consegue la infondatezza della tesi difensiva del ricorrente.

5.2 Il secondo motivo è invece inammissibile, già quanto alla richiesta di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c.

5.2.1 Con il motivo in esame il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione da parte del giudice di merito del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, sostenendo (peraltro, in modo generico) che la sentenza impugnata aveva esaminato la domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), senza avvalersi dei propri poteri officiosi per accertare la sussistenza nel Paese di origine del richiedente d’una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, e comunque senza indicare da quali fonti avesse tratto le informazioni poste a fondamento della propria decisione.

5.2.2 Il motivo è inammissibile perchè, nei termini in cui è formulato, non consente a questa Corte di stabilirne l’astratta rilevanza e, di conseguenza, di valutare se sussista l’interesse a proporlo, ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

Il ricorrente, infatti, nell’illustrazione del motivo si limita a dedurre che il Giudice di merito non ha indicato da quali fonti di informazione (c.d. COI Country of Origin Informations) ha tratto le proprie conclusioni, ma non indica mai, nemmeno genericamente, a quali diverse conclusioni quel Giudice sarebbe dovuto pervenire, se avesse esaminato fonti attendibili ed aggiornate; nè indica quale sarebbero potute essere le fonti “attendibili ed aggiornate”, dimostrative della sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di sua provenienza; nè, infine, ne riassume o trascrive il contenuto.

Tale omissione impedisce di apprezzare l’astratta rilevanza dell’error in iudicando denunciato dal ricorrente.

5.2.3 Infatti, se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge.

Pertanto chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso.

5.2.4 In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

Occorre pertanto affermare il principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, il ricorrente che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di c.d. cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non può limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate avrebbe dovuto teoricamente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile.

5.2.5 Le censure mosse dal ricorrente, sul punto, qui da ultimo in esame, si compongono solo di generici riferimenti alle condizioni interne dello stato nigeriano, senza alcun puntuale riferimento al concetto di conflitto armato generalizzato, richiesto dalla norma di cui all’art. 14, lett. c, per evidenziare il “danno grave”, solo in presenza del quale è possibile riconoscere l’invocata protezione sussidiaria.

5.2.6 Sul punto, non è inutile ricordare che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

5.2.7 Senza contare che il ricorrente non ha neanche allegato ove nei motivi di gravame avesse già censurato il profilo dell’inattendibilità delle fonti di informazione consultate dai giudici del merito ovvero la loro mancata allegazione, al fine delle valutazioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c, così rendendo la doglianza generica e non autosufficiente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.2.8 Nel resto la doglianza si compone di generiche contestazioni afferenti il merito della decisione impugnata, in relazione al giudizio di non credibilità del racconto che, involgendo valutazioni rimesse alla esclusiva cognizione dei giudici del merito, sono, all’evidenza, non ricevibili in questo giudizio di legittimità.

5.4 Il terzo motivo – declinato in riferimento al diniego della invocata protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile, in quanto generico e rivolto ad una rivalutazione del merito della decisione impugnata e perchè comunque non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che nega la richiesta protezione umanitaria in ragione della mancata allegazione da parte del ricorrente di serie condizioni di vulnerabilità soggettiva.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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