Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22768 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. I, 20/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/10/2020), n.22768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8018/2019 r.g. proposto da:

M.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Iacopo

Casini Ropa, con cui elettivamente domicilia in Jesi, Corso

Matteotti n. 21, presso lo studio del predetto avvocato;.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 20.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da M.S., cittadino del (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 17.9.2017 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal Bangladesh, perchè aggredito da alcuni familiari e da componenti del partito politico a lui avverso, l'(OMISSIS), in conseguenza di una lite familiare per la divisione dell’eredità di famiglia; iii) di aver richiesto inutilmente la protezione statale.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile quanto alla riferita circostanza della denuncia alla polizia e perchè non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata tutela, trattandosi di una vicenda personale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che il ricorrente non aveva allegato una condizione di soggettiva vulnerabilità nè una situazione di integrazione nel contesto sociale italiano, non potendosi dunque addivenire ad un giudizio comparativo sulla base dell’allegazione della sola integrazione sociale.

2. La sentenza, pubblicata il 20.11.2018, è stata impugnata da M.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e segg. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, nonchè vizio di travisamento dei fatti e di insufficiente e contraddittoria motivazione.

3. Il terzo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, arrt. 3 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo è complessivamente infondato.

5.1.1 Si invoca, in primo luogo e in modo poco comprensibile, l’applicazione del D.L. n. 113 del 2018, al fine di rendere applicabili, al caso di specie, i “casi speciali” della protezione umanitaria.

Quanto alla questione dell’applicabilità retroattiva della normativa dettata dal D.L. n. 113 del 2018, occorre richiamare la recentissima sentenza resa a sezioni unite da questa Corte, secondo la quale, verbatim, “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L.” (Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Ne consegue la infondatezza della tesi difensiva del ricorrente.

5.2 Il secondo motivo è invece inammissibile.

5.2.1 Quanto alle contestazioni sollevate dal ricorrente in merito al giudizio di non credibilità del racconto, occorre evidenziare come le doglianze attingono il merito della decisione e sono per tale motivo irricevibili, senza contare che le stesse non colgono neanche la ratio decidendi della motivazione impugnata che, sul punto qui da ultimo in discussione, si incentrano sulla limitata circostanza della presentazione della denuncia alla polizia da parte del richiedente, in ordine alle vicende raccontate nel ricorso.

5.2.2 Non è dato, poi, comprendere per quale ragione i giudici del merito avrebbero dovuto azionare i loro poteri di intervento istruttorio per approfondire la questione della violenza politica, di fronte ad un episodio di violenza familiare.

A ciò va aggiunto che il lamentato mancato riscontro istruttorio avrebbe al più potuto riguardare la vicenda della denunzia alla polizia e non già il diniego di tutela conseguente, come invece denunciato dal ricorrente.

Le ulteriori censure contenute nel primo motivo si compongono solo di generici riferimenti ai principi normativi e giurisprudenziali regolanti la materia, senza alcun riferimento alla motivazione impugnata che, peraltro, fonda la sua ratio decidendi sul rilievo della mancata allegazione di atti di persecuzione in danno del richiedente, ratio che non viene in alcun modo censura nel motivo di ricorso.

5.3 Il terzo motivo è, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.

5.3.1 Quanto al primo profilo, occorre evidenziare come non sia fondata la censura relativa alla mancata indicazione delle fonti da parte dei giudici del merito, posto che, in relazione alla richiesta di tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, la motivazione impugnata indica puntualmente le fonti di conoscenza internazionale consultate per addivenire al giudizio negativo in ordine alla presenza di rischi collegati a conflitti armati generalizzati nel paese di provenienza del ricorrente, il Bangladesh.

5.3.2 Le ulteriori censure, declinate in relazione al diniego della richiesta tutela sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, non colgono nel segno, posto che le stesse non intercettano la ratio decidendi della motivazione impugnata che fonda il diniego di tutela sulla valutazione di non credibilità riguardante la vicenda della presentazione della denuncia alla polizia.

5.3.4 Il restante motivo di censura – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Bangladesh, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel predetto stato asiatico non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

5.4 Il quarto motivo risulta formulato in modo inammissibile giacchè, per un verso, non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata (che fonda il giudizio negativo in relazione al diniego della richiesta tutela umanitaria sull’accertata mancanza di condizioni di soggettiva vulnerabilità del ricorrente) e perchè, per altro verso, sollecita questa Corte di legittimità ad una rilettura degli atti istruttori per accreditare una valutazione diversa dei presupposti applicativi della invocata tutela.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, in mancanza di difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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