Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22765 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/08/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 12/08/2021), n.22765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15230/2015 R.G. proposto da:

LINK-CAFE SNC di S.A. e G.N. (C.F.

02317100648), in persona del legale rappresentante pro tempore,

S.A. (C.F. (OMISSIS)), G.N. (C.F. (OMISSIS)),

rappresentati e difesi dall’Avv. MASSIMILIANO DI VITO, elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. ANTONIETTA MARIA TOSCANO in

Roma, Via delle Milizie, 96;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 11013/5/14, depositata in

data 16 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 aprile

2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

I contribuenti LINK-CAFE SNC di S.A. e G.N., S.A. e G.N. hanno separatamente impugnato tre avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta dell’esercizio 2006, con i quali si procedeva alla rettifica del reddito di impresa nei confronti della società, con recupero di IRAP e IVA oltre sanzioni e accessori e alla conseguente ripresa del reddito da partecipazione nei confronti dei soci. L’accertamento traeva origine dalle risposte date dai contribuenti a un questionario inoltrato dall’Agenzia delle Entrate. I contribuenti hanno contestato l’erroneo computo del costo del venduto e l’errata determinazione delle percentuali di ricarico.

La CTP di Avellino ha accolto parzialmente i ricorsi rideterminando i ricavi e la CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, previa riunione, con sentenza in data 16 dicembre 2014, ha rigettato gli appelli dei contribuenti e ha accolto gli appelli incidentali dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che l’Ufficio ha verificato, sulla base delle risposte date al questionario dalla società contribuente, una serie di incongruenze, le quali rivelavano una marcata antieconomicità di gestione, la quale si ripercuoteva a sua volta sui redditi da partecipazione dei soci. Quanto a questi ultimi, la CTR ha riscontrato la palese antieconomicità dei redditi imponibili dei soci, pari a zero, inferiori ai redditi del personale dipendente, nonché l’irragionevole rotazione del magazzino, in un settore (bar-caffetteria) dove gli approvvigionamenti sono giornalieri, con conseguente applicazione di maggiore percentuale di ricarico, pur tenendosi conto delle percentuali di sfrido. La CTR ha, inoltre, valorizzato i dati risultanti dallo studio di settore, avuto riguardo alla ubicazione (centrale) dell’esercizio e alla presenza di scuole nelle vicinanze, rilevando come le percentuali applicate dell’Ufficio fossero inferiori a quelle risultanti dall’applicazione dal medesimo studio di settore. Conclusivamente, la CTR ha ritenuto corretto l’avviso di accertamento, condotto con metodologia analitico-induttiva, nonostante la correttezza delle scritture contabili, ritenendo sussistente un coacervo indiziario idoneo per l’accertamento del maggior reddito.

Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria; resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e dell’art. 2697 c.c., per carenza di legittimazione ed eccesso di potere. Evidenziano i ricorrenti come gli accertamenti in rettifica sarebbero nulli per carenza della qualifica dirigenziale del sottoscrittore degli avvisi, trattandosi di mero incaricato di funzioni dirigenziali. Deducono i ricorrenti che, trattandosi di nullità assoluta e insanabile, rilevabile anche di ufficio, l’eccezione può essere sollevata in sede di legittimità.

1.2 – Con il secondo motivo – sul quale i ricorrenti insistono particolarmente in memoria – si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, commi 2 e 5. Deducono i contribuenti che l’avviso di accertamento sarebbe stato emesso in assenza di presupposti, per assenza di grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore. Evidenziano i ricorrenti come non vi sia traccia negli atti impugnati delle modalità di calcolo seguite dall’Ufficio. Deducono l’erroneità delle valutazioni da parte dell’Ufficio (come si ribadisce ulteriormente in memoria) di costi per materie prime per omessa valutazione dei materiali di consumo e dei beni che vengono ceduti gratuitamente ai clienti, nonché erroneo calcolo del costo del venduto, distonico rispetto a quanto risulta dalla contabilità societaria. Contestano, infine, il calcolo della media aritmetica in luogo della media ponderata, che non terrebbe conto dei prodotti venduti maggiormente rappresentativi. Contesta, in ogni caso, il coacervo indiziario valorizzato dalla commissione di appello.

1.3 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, per non essersi il giudice di appello pronunciato sulla erronea quantificazione del costo del venduto relativo al caffe’, come evidenziato dalle fatture di acquisto e dalle risultanze del libro degli inventari.

2 – Il primo motivo è inammissibile, posto che parte ricorrente si limita a dedurre un supposto error in iudicando del giudice di appello, non trattato nella sentenza impugnata e quindi costituente questione nuova.

2.1 – Si osserva, peraltro, che l’avviso di accertamento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 c.c.n.l. comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass., Sez. VI, 10 dicembre 2019, n. 32172; Cass.., Sez. V, 9 novembre 2015, n. 22800), ovvero va sottoscritto da un mero delegato del dirigente (Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24271). Ne consegue che la mancata sottoscrizione di un funzionario di carriera direttiva (di cui, peraltro, i ricorrenti non danno alcuna evidenza nel ricorso, né allegano alcun documento all’uopo idoneo), non comporta alcuna nullità dell’atto impositivo, per cui – a fortiori – l’omessa considerazione di tale questione non potrebbe essere rilevata di ufficio.

La conseguente novità della questione proposta dai ricorrenti (stante la mancata trattazione della suddetta questione nella sentenza impugnata) ne comporta, pertanto, l’inammissibilità.

3 – Il secondo motivo è inammissibile sotto plurimi aspetti.

In primo luogo, va dichiarata l’inammissibilità della deduzione della violazione del contraddittorio (peraltro estranea al parametro normativo invocato da parte ricorrente), articolata per la prima volta in memoria ma non trattata nel ricorso.

In secondo luogo, il motivo è inammissibile in quanto non censura una specifica statuizione della sentenza di appello, ma si limita a ribadire contestazioni avverso l’atto impugnato.

In ogni caso, il motivo contenuto in ricorso è inammissibile, in quanto volto a ripercorrere il ragionamento decisorio che ha portato il giudice di appello a ritenere, sulla base di un coacervo indiziario (risposte date al questionario, valutazione di antieconomicità dei risultati di gestione e dei redditi di partecipazione dei soci, incongruenza rispetto ai dati standardizzati degli studi di settore, incongruenza dell’indice di rotazione del magazzino) sussistenti i presupposti per procedere a un accertamento analitico-induttivo con ricostruzione induttiva delle percentuali di ricarico, ragionamento indiziario che, in quanto giudizio relativo alle prove, è riservato al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato (Cass., Sez. V, 3 novembre 2020, n. 24315; Cass., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18315; Cass., Sez. III, 15 novembre 2016, n. 23205).

4 – Il terzo motivo è inammissibile, non essendo più censurabile in sede di legittimità l’omessa e insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione pro tempore applicabile al caso di specie.

5 – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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