Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22764 del 25/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 25/09/2018, (ud. 12/06/2018, dep. 25/09/2018), n.22764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17418/2017 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO DELLA DIFESA,

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei Ministri pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MISURINA 69,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO VALENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE MACRI’ PELLIZZERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 319/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 31/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO

che:

il Dott. V.S. chiese il risarcimento dei danni che assumeva di aver subito per il fatto che un’operazione antidroga eseguita dai Carabinieri e dalla Procura della Repubblica di Messina era stata denominata e pubblicizzata come “Dottor V.” e quindi con modalità tale da ricondurre alla sua persona (del tutto estranea all’operazione) anche la notizia dell’arresto di un medico; il Tribunale condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e quello della Difesa, in solido, al risarcimento dei danni; la Corte di Appello, pur ritenendo non provato il danno alla reputazione professionale, ha confermato la condanna di tutte e tre le Amministrazioni in relazione al danno alla reputazione personale, da considerare provato in re ipsa, ritenendo adeguato l’importo già complessivamente liquidato dal primo giudice;

hanno proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Interno, affidandosi a tre motivi; ha resistito l’intimato V. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo (che denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 Cost. e art. 2043 c.c. e ribadisce il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri) è fondato, giacchè la Corte territoriale non ha individuato un criterio di imputazione organica fra i responsabili dell’attività lesiva della reputazione e la Presidenza del Consiglio, essendo del tutto inidoneo il generico e atecnico richiamo alla “importantissima posizione che questa ricopre nel nostro ordinamento nella gestione dell’attività burocratica dello Stato” e alla “funzione di coordinamento e vigilanza dell’attività amministrativa che essa svolge”;

la sentenza va dunque cassata sul punto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può pervenirsi alla decisione nel merito, dichiarandosi il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

il secondo motivo (che denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e censura la Corte per avere affermato che il danno alla reputazione personale risultava provato in re ipsa) è infondato, dovendosi ritenere che, seppur facendo impropriamente riferimento alla categoria del danno in re ipsa, la Corte abbia inteso valorizzare elementi presuntivi di rilevante impatto, tali da comportare la prova sia della lesione alla reputazione personale che del danno ad essa conseguente;

il terzo motivo (attinente alla quantificazione del risarcimento, che viene censurata sotto il profilo della “motivazione apparente”) è inammissibile in quanto incide su un tipico apprezzamento di merito sull’adeguatezza della somma liquidata dal primo giudice, che non è sindacabile in sede di legittimità;

ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla I. n. 263/2005 (applicabile ratione temporis, trattandosi di causa iniziata nell’anno 2002), sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito fra il V. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonchè per l’integrale compensazione – fra tutte le parti – delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, cassa in relazione e, decidendo nel merito, dichiara il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri; rigetta per il resto;

compensate le spese dei gradi di merito fra il V. e la Presidenza del Consiglio, compensa fra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2018

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