Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22764 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/08/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 12/08/2021), n.22764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10704/2014 R.G. proposto da:

M.P. (C. F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’Avv. Prof. GAETANO RAGUCCI e dall’Avv. ADRIANA LA ROCCA,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. RITA GRADARA in

Roma, Largo Somalia, 67;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 125/43/13, depositata in data 17 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 aprile

2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il contribuente M.P. ha impugnato un diniego di condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, relativo al periodo di imposta dell’anno 2002. L’istanza faceva seguito ad accertamenti, all’esito dei quali – previa contestazione del ruolo ricoperto dal contribuente nella frode fiscale attuata dalle società del “gruppo (OMISSIS)” (volta a costituire fittizi crediti di imposta e minusvalenze inesistenti finalizzate a compensare le imposte dovute da altri contribuenti) – si accertavano in capo al contribuente per l’anno 2002 redditi non dichiarati derivanti da movimentazioni finanziarie in entrata provenienti da società del “gruppo (OMISSIS)”. L’Ufficio, dopo avere inoltrato comunicazione di notizia di reato nei confronti del contribuente a termini del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, ha rigettato l’istanza di condono, ritenendo che il condono fosse stato presentato in frode alla legge, in quanto preordinato ad ottenere indebiti vantaggi fiscali.

La CTP di Como ha accolto il ricorso ritenendo – come risulta dalla sentenza impugnata – insussistenti le ipotesi di reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 8.

La CTR della Lombardia, con sentenza in data 17 ottobre 2013, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che il diniego di condono è stato motivato dall’esigenza dell’Ufficio di fruire del raddoppio dei termini per l’accertamento, conseguente alla comunicazione della notizia di reato. Ha ritenuto la CTR che sulla validità degli effetti del condono non ha incidenza l’esclusione della condotta criminosa accertata dal giudice penale, in quanto ai fini del diniego di condono è sufficiente l’esistenza della sola notitia criminis. Ha, inoltre, ritenuto sussistenti i presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento, evidenziando come il contribuente non avrebbe dato prova di provvedimenti assunti in sede penale tali da assumere una rilevanza decisiva in sede tributaria.

Propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, con designazione di nuovi difensori; resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1943, n. 600, art. 43, nella parte in cui la CTR ha accertato, ai fini dell’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento, la sola sussistenza dell’inoltro della comunicazione della notizia di reato. Deduce il ricorrente che la CTR non avrebbe esaminato la sussistenza in concreto dei fatti costituenti reato, né avrebbe accertato l’esistenza dei presupposti comportanti l’obbligo di denuncia. Evidenzia il ricorrente come la denuncia penale inoltrata dall’Ufficio fosse vaga, nonché strumentale a consentire all’Ufficio il raddoppio dei termini dell’accertamento; né lo stesso avviso di accertamento conterrebbe chiari riferimenti alle norme penali violate; ritiene, in ogni caso, insufficiente ai fini del raddoppio dei termini il mero inoltro della comunicazione di reato.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 101,112,115 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, per avere la CTR negato validità al condono per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento di diniego. Evidenzia il ricorrente come in sede amministrativa il diniego di condono fosse stato motivato da un supposto intento fraudolento del contribuente, il quale avrebbe inteso ottenere indebiti vantaggi dalla proposizione del condono, con conseguente illiceità del medesimo a termini dell’art. 1344 c.c.; diversamente, la CTR avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, fondando il proprio convincimento sulla illegittimità del condono per effetto della sola presentazione della notizia di reato ex art. 331 c.p.p. e della conseguente fruizione da parte dell’Ufficio del raddoppio dei termini per l’accertamento, inibito dalla presentazione del condono.

1.3 – Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 (con particolare riferimento al suddetto articolo, comma 14), nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile la domanda di condono per il solo fatto che fosse stata inoltrata notizia di reato, nonché violazione, sotto il medesimo profilo, dell’art. 1344 c.c.. Deduce il ricorrente che il condono può essere denegato in caso di esercizio dell’azione penale per i reati di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, lett. c), (tra i quali non figurerebbe il reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, posto secondo il ricorrente a fondamento della notizia di reato), non anche per effetto del mero inoltro della comunicazione di reato. Evidenzia, inoltre, il ricorrente che l’illiceità della presentazione del condono dovrebbe essere accertata dal giudice del merito, il cui accertamento non potrebbe esaurirsi nella mera presa d’atto della presentazione della comunicazione della notizia di reato, evidenziando, in ogni caso, come scopo del condono sia proprio quello di usufruire delle disposizioni agevolative.

1.4 – Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e della L. n. 289 del 2002, art. 9, per avere ritenuto la CTR che, in caso di presentazione di notizia di reato a carico del contribuente, incomba su quest’ultimo l’onere di provare l’insussistenza dell’obbligo di denuncia attraverso la produzione di atti giudiziari del procedimento penale tali da assumere rilevanza nel giudizio tributario. Deduce il ricorrente che l’onere di provare i presupposti del raddoppio dei termini è a carico dell’Ufficio e che tale prova non debba necessariamente essere costituita da una determinata fonte di prova, come in caso di documentazione “qualificata”, quali i provvedimenti di magistrati inquirenti o giudicanti del procedimento penale.

2 – Il primo motivo è infondato.

2.1 – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, nella formulazione applicabile a seguito della novella del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, commi 24 – 26 (con accertamento compiuto dalla CTR sul quale si è formato il giudicato) presuppone conformemente alle indicazioni del giudice delle leggi (Corte Cost., 25 luglio 2011, n. 247) – unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, non rilevando né la sua effettiva presentazione (Cass., Sez. V, 2 luglio 2020, n. 13481), né rileva l’accertamento ancorché incidentale del fatto costituente reato, stante il principio del “doppio binario” giudice tributario – giudice penale (Corte Cost., n. 247/2011, cit.), essendo sufficienti seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione della denuncia penale (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., Sez. VI, 26 aprile 2017, n. 10345; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2016, n. 26037).

2.2 – Ne’ può sostenersi, come fa il ricorrente, che “la CTR avrebbe dovuto pronunciarsi in ordine all’esistenza o meno degli elementi oggettivi e soggettivi dell’ipotesi di reato addebitata al contribuente”, esaminando il contenuto della denuncia, essendo sufficiente la mera sussistenza dei cennati seri indizi di reato.

2.3 – Ne’, infine, è stata censurata, sotto il vizio di omesso esame di fatto controverso decisivo ai fini del giudizio, la circostanza della insussistenza nella contestazione da parte dell’Ufficio di seri indizi di reato, elementi in fatto sui quali il giudice del merito è chiamato a vigilare sul rispetto dei termini minimi di cui all’art. 331 c.p.c. di inoltro della notizia di reato, come lo stesso ricorrente evidenzia in memoria (Cass., Sez. V, 6 febbraio 2019, n. 3398).

2.4 – La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente l’esistenza della mera comunicazione di reato ai fini del raddoppio dei termini, ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

3 – Il secondo motivo è infondato. Il provvedimento di diniego di condono, riportato per specificità dal ricorrente, è motivato in base al collegamento negoziale che avvincerebbe la presentazione dell’istanza di condono rispetto alle ulteriori iniziative poste in essere dal contribuente per contrastare gli accertamenti dell’Ufficio. Al riguardo, risulta dalla sentenza impugnata che l’Ufficio aveva proceduto ad emettere un avviso dl accertamento per l’anno di imposta 2002 (lo stesso per il quale è stato richiesto il condono), il cui ricorso è stato sospeso in primo grado “in attesa della definizione della presente lite” (sent. imp.). Vi e’, pertanto, un nesso tra ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2002 (il cui giudizio è stato sospeso per pregiudizialità del presente giudizio) e proposizione del condono, nesso costituito dall’intento di avvalersi degli effetti preclusivi che l’accoglimento dell’istanza di condono provocherebbe sui termini per l’accertamento nel giudizio sospeso, accertamento che presupporrebbe nella specie l’applicazione del “termine lungo” di accertamento. Ed è quanto lo stesso ricorrente rimarca in memoria, dove richiama problematicamente le asserzioni dell’Ufficio, secondo cui l’iniziativa del contribuente sarebbe finalizzata a “schermare l’attività fraudolenta dall’azione di accertamento dell’Ufficio”, nonché a limitare e ostacolare l’attività di accertamento.

3.1 – Parimenti, risulta dalla sentenza impugnata che gli effetti di cui il contribuente avrebbe inteso avvalersi nel giudizio pregiudicato sospeso, quale effetto della proposizione del condono, è la preclusione del raddoppio dei termini (c.d. “termine lungo” per l’accertamento), conseguente all’inoltro della comunicazione di reato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3, termine lungo che l’accoglimento del condono non consentirebbe. La CTR ha, pertanto, focalizzato la propria attenzione sugli effetti preclusivi dell’accertamento conseguenti al condono, quale petitum sostanziale sul quale era incentrata la proposizione dell’istanza di condono in relazione all’accertamento impugnato in prime cure dal contribuente e che è all’origine del giudizio di fruizione di “indebiti vantaggi fiscali” assunto dall’Agenzia ai fini della dedotta illiceità dell’istanza di condono sotto il profilo civilistico. Non vi è stata, pertanto, violazione di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

4 – Il terzo motivo è fondato.

4.1 – La CTR ha ritenuto che costituirebbe causa ostativa all’accoglimento del condono la mera presentazione della comunicazione di reato nei confronti del contribuente (“e’ la esistenza della notitia criminis indipendentemente dalla sua legittimità e dall’eventuale procedimento penale che provoca, da sola, la denegazione della validità del condono”).

4.2 – La sentenza impugnata contrasta con la disciplina in materia di condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, che preclude la proposizione del condono – oltre che nelle ipotesi di preventivo accertamento a termini della L. cit., art. 9, comma 14, lett. a), – in caso di esercizio dell’azione penale per gli illeciti di cui all’art. 9, comma 10, lett. c), (art. 9, comma 14, lett. b), di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, nonché – per gli avvisi di accertamento per i quali, all’atto dell’entrata in vigore della disposizione agevolativa, non erano ancora spirati i termini del ricorso – in caso di esercizio dell’azione penale per uno dei reati tout court previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, anche in questo caso ove il contribuente ne abbia, comunque, avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione (L. n. 289 del 2002 cit., art. 15, comma 1, come precisato dal ricorrente in memoria).

4.3 – Dall’esame di tali disposizioni emerge che costituisce causa ostativa all’accoglimento dell’istanza di condono l’esercizio effettivo dell’azione penale nei confronti del contribuente, ancorché non vi sia una stretta e diretta connessione tra la fattispecie di reato contestata e i rilievi oggetto dell’atto tributario definibile in via agevolata (Cass., Sez. V, 22 novembre 2018, n. 30227), in ciò evidenziandosi la dedotta “indegnità” che osta all’utilizzo dell’istituto condonistico (“La ratio della norma in esame va, in sostanza, rinvenuta nella volontà del legislatore di precludere l’accesso alla definizione agevolata a chiunque fosse stato imputato di un qualsiasi reato tributario, in ragione, cioè, di una sorta di “indegnità” a fruire del beneficio del condono: e ciò rientra(va) nella ampia discrezionalità di cui il legislatore medesimo gode in materia di disciplina dei condoni fiscali, come tale insindacabile, tranne in caso di palese irrazionalità, certamente non riscontrabile nella fattispecie”: Cass., Sez. V, 28 maggio 2014, n. 11926; conf. Cass., Sez. V, 31 luglio 2020, n. 16505). Condizione di inammissibilità dell’ammissione al condono e’, pertanto, l’esercizio dell’azione penale e non la mera presentazione della comunicazione di reato.

4.4 – Quanto, poi, alla dedotta natura “in fraudem legis” della presentazione del condono (che il controricorrente dichiara essere stato presentato in data 24 maggio 2004), in quanto diretto a conseguire non meglio precisati “indebiti vantaggi fiscali”, da individuarsi evidentemente nell’intento di avvalersi degli effetti del condono nella causa pregiudicata e attualmente sospesa per pregiudizialità, la stessa non sussiste, perché scopo del condono salve le menzionate circostanze ostative definite dalla legge, nella specie insussistenti – è proprio quello, per il contribuente, di sanare le proprie inadempienze usufruendo delle disposizioni agevolative, oltre quello di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso (Cass., Sez. U., 6 luglio 2017, n. 16692).

5 – La sentenza, nella parte in cui ha ritenuto che la mera presentazione della denuncia penale, con la conseguente fruizione da parte dell’Ufficio del raddoppio dei termini ai fini dell’accertamento tributario, costituisca circostanza ostativa alla presentazione dell’istanza di condono, non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi. La sentenza va, pertanto, cassata, in relazione al terzo motivo e, previo assorbimento dell’esame del quarto motivo, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi l’originario ricorso del contribuente. Le spese del doppio grado di merito sono soggette a integrale compensazione per l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Le spese del giudizio di legittimità sono soggette a soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso; dichiara compensate le spese processuali dei due gradi del giudizio di merito; condanna controricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% per rimborso spese generali, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

 

 

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