Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22760 del 12/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/08/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 12/08/2021), n.22760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO A. Mar – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giusep – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 920 del ruolo generale dell’anno 2015,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Mariantoni s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv.to Enrico Paroncilli, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv.to Paola Spagnoli, in Roma, alla Via Donizetti n.

20;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio n. 658/01/2013, depositata in data 12 novembre

2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 marzo 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 658/01/2013, depositata in data 12 novembre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Mariantoni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 87/1/11 della Commissione tributaria provinciale di Rieti che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima l’indebita deduzione, ai fini Ires e Irap, e detrazione ai fini Iva di costi ritenuti non di competenza per Euro 2.356,12, di costi per Euro 30.000,00 relativi al versamento dei premi della polizza di capitalizzazione stipulata per la copertura del trattamento di fine mandato agli amministratori nonché la mancata contabilizzazione di maggiori ricavi per Euro 64.624,00, essendo emersa una incongruità del risultato gestionale alla luce delle risultanze dello studio di settore;

– la CTR in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) la CTP aveva correttamente ritenuto deducibili i costi di Euro 30.000,00 sostenuti dalla società per il pagamento dei premi assicurativi per la copertura del TFM degli amministratori e imputati alla voce “accantonamento fondi per fine mandato” nel conto economico del bilancio di esercizio, anche “in mancanza di un documento formale e con data certa proveniente dall’organo assembleare” – rilevando la previsione normativa di cui agli artt. 2364 e 2389 c.c. nei rapporti tra soci e con i terzi ma non ai fini fiscali risultando gli stessi, ai sensi dell’art. 105 TUIR, dotati dei requisiti di inerenza e competenza e, peraltro, inseriti nel bilancio di competenza approvato dall’assemblea; 2) correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto che, essendo la società caratterizzata da una ristretta compagine familiare ed essendo i soci, allo stesso tempo dipendenti e amministratori della medesima, non sussistevano i presupposti legittimanti la presunzione del comportamento antieconomico; 3) come risultava dai rispettivi CUD, tutti i soci erano stati inquadrati come soci-lavoratori, percependo mensilmente un reddito da lavoro dipendente e ciò era confermato dall’iscrizione di ciascuno di essi alla gestione commercianti dell’Inps con versamento dei relativi contributi; 4) la società, nel 2005, aveva sostenuto costi per collaborazioni coordinate e continuative pari a Euro 140.936,50 i quali uniti all’utile di esercizio pari a Euro 34.320,00, costituivano l’utile conseguito dalla società durante l’esercizio medesimo, che, invece di essere distribuito a fine anno, era stato distribuito mensilmente ai soci; 5) come anche chiarito dal comunicato stampa emesso dall’Agenzia in data 27.6.2007 circa alcune cause giustificative della non congruità dello studio di settore in presenza di compensi erogati agli amministratori, le risultanze degli studi di settore non erano attendibili per l’insussistenza dei presupposti dell’accertamento posto in essere ovvero della incoerenza dell’indice di produttività per addetto e della incongruità dei ricavi dichiarati;

– avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo, cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente;

– la controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 105, dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR: 1) con riguardo alla contestata indeducibilità dei costi per Euro 30.000,00 sostenuti dalla contribuente per il versamento dei premi assicurativi per la copertura del TFM degli amministratori e imputati alla voce “accantonamento fondi trattamento di fine mandato” nel conto economico del bilancio di esercizio, considerato illegittima la relativa ripresa a tassazione, ancorché mancasse, ai fini della deducibilità dell’accantonamento in questione, un atto che prevedesse detta indennità di fine mandato, avente data certa anteriore all’inizio del rapporto; 2) con riguardo alla contestazione di maggiori ricavi non dichiarati basata su un asserito comportamento antieconomico della società, alla luce delle risultanze dello studio di settore specifico, omesso di fare ricadere sulla contribuente l’onere probatorio a contrario, e, in particolare, senza considerare l’eccepita carenza di prova documentale della tesi di quest’ultima – fatta propria dalla CTP circa la congruità del risultato di gestione alla luce dello studio di settore come rielaborato successivamente (recependo il contenuto del comunicato stampa dell’Agenzia del 27.6.2007 quanto alla giustificazione di eventuali scostamenti tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’applicazione degli studi di settore in presenza di compensi erogati ai soci con qualifica di amministratori) e ascrivendo indebitamente l’andamento antieconomico della società alla “distribuzione indiretta” di utili ai soci;

– il primo profilo del motivo di ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– nella sentenza impugnata, il giudice di appello ha ritenuto illegittima la ripresa dei suddetti costi in quanto, a suo avviso, per la deducibilità, ai sensi dell’art. 105 TUIR, degli stessi, imputati in bilancio alla voce “accantonamento fondi per fine mandato”, sarebbe stata “non condizionante la mancanza” di una formale delibera assembleare con data certa, rilevando la disciplina di cui agli artt. 2364 e 2389 c.c. (secondo cui l’assemblea ordinaria determina il compenso degli amministratori) soltanto nei rapporti tra soci e con i terzi, non già ai fini fiscali; in particolare, la deducibilità dell’accantonamento sarebbe correlata soltanto alla sussistenza dei requisiti di inerenza e competenza di cui all’art. 105 TUIR, considerando, peraltro, che tali costi, nella specie, erano stati inseriti nel bilancio di competenza approvato con delibera assembleare;

– invero, dallo stralcio dell’atto impositivo riportato in ricorso (pag.9-10), per quanto di interesse, si evince come, nella specie, l’Amministrazione avesse espressamente contestato che “come il compenso previsto per gli amministratori, anche tale assicurazione deve essere preventivamente stabilita e determinata dall’atto costitutivo della società o dall’assemblea dei soci”, con ciò contestando, ai fini della deducibilità dell'”accantonamento fondi per fine mandato” la mancanza di un atto che prevedesse l’indennità di fine mandato avente data certa anteriore all’inizio del rapporto medesimo;

– in materia, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “In tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, gli accantonamenti effettuati da una società in favore dei propri amministratori, relativi al trattamento di fine rapporto, sono deducibili quali componenti negativi solo se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, in quanto il rinvio che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 3 (attuale art. 105, comma 4) opera al precedente art. 16 TUIR (attuale art. 17), comma 1, lett. c), è un rinvio pieno, non limitato all’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità, ma esteso alle condizioni richieste dall’art. 16, lett. c)”, nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti si richiede che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (Cass. sez. 5, Sentenza n. 31473 del 3/12/2019; Sez. 5, Sentenza n. 16787 del 09/08/2016; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18752 del 05/09/2014; vedi anche, Cass. 20.7.20:18, n. 19368 secondo cui, in assenza di data certa, l’onere sostenuto dalla società risulta deducibile nell’esercizio di erogazione dell’indennità di fine mandato; Cass. Sez. 5, ord. n. 26431 del 19.10.2018 secondo cui “ai fini della deducibilità per competenza dell’accantonamento al TFM, si ritiene necessaria la preventiva formazione del verbale assembleare di nomina degli amministratori e la successiva accettazione da parte di costoro ovvero, in alternativa, una preventiva comunicazione sociale al singolo amministratore, avente data certa e contenente l’indicazione della volontà assembleare di nominare il destinatario della missiva come componente dell’organo di gestione, riconoscendogli il diritto al trattamento di fine mandato”; nello stesso senso, cfr. Cass. n. 13384 del 2020);

– nella specie, la CTR, non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto non condizionante, ai fini della deducibilità dei costi per Euro 30.000,00 a titolo di “accantonamento fondi per fine mandato”, la mancanza di un “documento formale e con data certa” proveniente dai soci; pertanto, dall’argomentato del giudice di appello non emerge se-per quello che conta in base alla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata – il trattamento di, fine mandato sia stato previamente stabilito con atto avente dat certa e, quindi, per derivazione, anche la sua copertura, strumentale a quello;

– il secondo profilo del motivo di ricorso relativo alla ripresa a tassazione di assunti maggiori ricavi non contabilizzati basata sulla applicazione degli studi di settore per gestione antieconomica dell’attività di impresa si profila, in primo luogo, inammissibile non cogliendo la ratio decidendi, in quanto la CTR, lungi dal ritenere giustificato il riscontrato andamento in perdita alla luce di una non documentata successiva rielaborazione dello studio di settore, e tantomeno di una assunta “distribuzione c.d. indiretta di utili ai soci” – ha ritenuto sostanzialmente sussistente, nella specie, la causa giustificativa del contestato scostamento dallo studio di settore di cui al comunicato stampa dell’Agenzia del 27.6.2007 in relazione all’indicatore del c.d. “valore aggiunto per addetto” con riguardo all’ipotesi specifica dei “compensi corrisposti a soci amministratori ed ad amministratori non soci e rilevati in righi del quadro F del modello studi di settore diversi dal rigo F19 (Spese per lavoro dipendente)”; al riguardo, il giudice di appello- confermando la decisione di prime cure – ha ritenuto che i costi per lavoro dipendente sostenuti dalla società, stante la ristretta compagine familiare della stessa nella quale i soci erano al tempo stesso dipendenti e amministratori, concretasse una valida circostanza tale da rendere non attendibili le risultanze dell’applicazione degli studi di settore;

– nel merito, la suddetta sub censura e’, comunque, infondata;

– premesso che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62-bis, (id est, D.L. n. 331 del 1993)” e premesso che, nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass. sez. U, 8.11. 26635/2009, Cass., sez. 5, 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass., 23070/2012; Cass. n. 9484/2017, in tema di applicazione degli studi di settore per gestione antieconomica), nella specie, la CTR, facendo corretta applicazione dei suddetti principi – a fronte di un accertamento di maggiori ricavi (non dichiarati) basata sulla applicazione dello studio di settore per antieconomicità di gestione – ha ritenuto- con una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità – provata dalla contribuente la esclusione dell’attività di impresa dall’area di applicazione degli standards, stante la sussistenza, avuto riguardo alla ristretta compagine familiare e all’inquadramento dei soci come dipendenti e amministratori, della causa di giustificazione dello scostamento – indicata nel comunicato stampa dell’Agenzia del 27.6.2007 – in relazione all’indicatore del “valore aggiunto per addetto” delle spese per lavoro dipendente; ogni altra argomentazione sottesa al motivo tende ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito effettuate dal giudice di appello;

– in conclusione, il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione, con cassazione della sentenza impugnata – in relazione al primo profilo del motivo di ricorso – e rinvio, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata – in relazione al primo profilo del motivo di ricorso – e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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