Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22749 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 20/10/2020), n.22749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 216-2013 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA V.LE CARSO 51, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RUFINI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO SENALDI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI VARESE, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 10/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE.

Per la cassazione della sentenza della commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 53/26/2012 depositata il 10.5.2012, non

notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 febbraio 2020 dal relatore, cons. Francesco Mele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– L’Agenzia delle Entrate notificava a G.M. invito al contraddittorio per la definizione dell’accertamento sulla base degli studi di settore per gli anni di imposta 2004 e 2005; conclusosi il procedimento così instaurato con esito negativo, l’Ufficio notificava al contribuente due avvisi di accertamento, riferiti agli anni sopra indicati, recanti maggiori redditi imponibili.

– Avverso detti atti impositivi il G. proponeva distinti ricorsi deducendo di non avere esercitato – negli anni in questione – unicamente l’attività di amministrazione di condomini, ma anche per 181 giorni – nell’anno 2004 – lavoro subordinato alle dipendenze della Marleotex sas, società esercente intermediazione e commercio dei prodotti chimici per il settore tessile, per poi assumere la qualifica – nell’anno 2005 – di rappresentante legale della medesima; faceva inoltre presente di non avere presentato gli studi di settore a ragione del fatto che l’importo complessivo dei ricavi dichiarati e riferiti all’attività non prevalente superava il 20% dell’ammontare complessivo dei ricavi dichiarati.

– Costituitosi regolarmente l’ufficio, la commissione tributaria provinciale di Varese pronunciava sentenza con cui accoglieva i ricorsi -previamente riuniti- sul rilievo che gli atti impositivi si fondassero esclusivamente sulla omessa presentazione degli studi di settore (anche alla luce degli esiti della ispezione effettuata nel 2007 da funzionari dell’Agenzia delle Entrate, sfociata nell’accertamento della inesistenza di irregolarità), in assenza di altre prove a supporto della pretesa fiscale, oltre a non considerare – da parte dell’ufficio – la circostanza che il contribuente esercitasse altra attività, non garantendo quella di amministratore di condomini introiti adeguati.

– Avverso detta sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate rilevando la antieconomicità della gestione della società da parte del G., il quale si costituiva dinanzi alla CTR per ottenere la conferma della sentenza di primo grado.

– La CTR pronunciava la sentenza sopra indicata, per la cui cassazione il contribuente propone ricorso affidato a due motivi, illustrato da memoria.

– Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– I motivi di cui si compone il ricorso recano: 1) “Omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia”; 2) “Violazione e falsa applicazione di norme di legge”.

Con il primo motivo, e per un primo profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove la CTR ha affermato che “Dall’analisi del quadro R.E. relativo agli anni in considerazione, risulta che i costi sostenuti dal contribuente per l’attività svolta, si presentano superiori ai compensi percepiti. Tali risultanze costituiscono conferma di una antieconomicità della gestione che legittima l’ufficio alla ricostruzione dei ricavi, gravando sul contribuente l’onere di spiegare l’anomalia della gestione, onere che non è stato assolto”.

– Il ricorrente sostiene che erroneamente è stato ritenuto dalla commissione tributaria regionale che i costi superino i ricavi, laddove, a suo dire, dalle dichiarazioni dei redditi degli anni in contestazione risulterebbe il contrario. L’assunto di parte ricorrente è privo della necessaria autosufficienza, a fronte del riferimento al quadro R.E. (compilato dalla parte) specificamente operato dalla CTR; sotto tale primo profilo il motivo si configura come inammissibile.

– Altra parte del motivo è destinata a censurare la sentenza per avere la stessa omesso di pronunciarsi sulla sussistenza di irregolarità tributarie (escluse in sede di verifica operata dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate), circostanza opportunamente valorizzata, invece, dalla CTP. Il motivo non è, per tale parte, accoglibile: invero l’inciso “Non sono emerse irregolarità” di cui a pagina 3 del processo verbale di accesso e constatazione del 21.9.2007 si riferisce unicamente alla “emersione del sommerso”, profilo che non rientra nell’oggetto della odierna controversia.

– Infine, il motivo – laddove lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni accenno al fatto che la fattispecie rientrasse nel novero delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di presentazione degli studi di settore- è chiaramente smentito dal predetto processo verbale, nel quale è formalizzato, tra l’altro, che i verificatori hanno avuto modo di appurare che non poteva essere invocata nè una causa di esclusione nè una causa di inapplicabilità degli studi di settore in quanto le due attività d’impresa venivano svolte con contabilizzazioni separate; in particolare, pur in presenza di un’attività non prevalente superiore del 20% rispetto all’ammontare totale dei ricavi dichiarati, la parte era tenuta alla presentazione ed all’applicazione degli studi di settore per l’attività di amministrazione di condomini.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge (art. 2729 c.c. in relazione al D.Lgs. n. 331 del 1992, art. 62 sexies, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5).

– Deduce la parte che è illegittimo l’accertamento basato sul mero scostamento dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli della media del settore, in mancanza di adeguato supporto da parte della Amministrazione finanziaria, a cui spetta l’onere relativo della allegazione di ulteriori elementi ed indizi atti a dimostrare l’inattendibilità dei dati riscontrati; in sostanza – è l’assunto del ricorrente – gli studi di settore costituiscono presunzione semplice, la cui gravità precisione e concordanza non deriva dalla legge, ma viene determinata procedimentalmente in esito al contraddittorio, che rappresenta il momento fondamentale dell’avviso di accertamento che consente di adeguare lo standard alla concreta realtà economica del destinatario dell’accertamento, senza applicazione di automatismi precostituiti. E’ onere dell’Amministrazione provare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto mentre è onere del contribuente provare la sussistenza di condizioni che contrastino tale pretesa sul punto della applicabilità in concreto alla realtà economica dell’azienda.

– Nella fattispecie – continua la parte ricorrente – a fronte di un esatto inquadramento della vicenda da parte della CTP che ha evidenziato come rispetto alla motivazione addotta da esso G. (consistente nell’ammissione di esercitare altra attività, non garantendo “quella di amministratore di condomini” adeguati introiti) nessuna altra motivazione sia stata recata dall’Ufficio a sostegno della pretesa impositiva, la CTR ha invece affermato che nessuna prova è stata fornita dalla parte, oltre a fare presente che i costi da questa sostenuti fossero superiori ai ricavi.

– Il motivo non è accoglibile.

– Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la procedura di accertamento attraverso gli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni che si forma procedimentalmente all’esito del contraddittorio, che è finalizzato, appunto, a verificare l’applicabilità dello specifico standard dello studio di settore al caso concreto oggetto di accertamento.

– Nel caso di specie, il contraddittorio preventivo è stato attivato; la parte ha avuto modo di rappresentare le proprie giustificazioni; l’ufficio ha valutato l’affidabilità dello studio di settore al caso concreto, dopo avere reputato essere le giustificazioni addotte non idonee a fondare una revisione della pretesa tributaria; sono stati valutati i ricavi ed è stata stimata la incongruenza dei medesimi rispetto ai costi sostenuti.

Sulla base di quanto esposto si è pervenuti alla rideterminazione del reddito d’impresa (dipendente da un sottodimensionamento dei ricavi) all’esito della stima dei ricavi medesimi alla stregua degli studi di settore, con l’emersione, in definitiva, dell’antieconomicità della gestione dell’attività de qua.

– Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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