Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22743 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 20/10/2020), n.22743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28115-2015 proposto da:

L.M., (C.F. (OMISSIS)), rapp. e dif., in virtù di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. GIRARDI MARIO, unitamente

al quale è elett.te dom.to in Roma, alla VIA AURELIA, n. 353,

presso lo studio DURIGON;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., legale

rappresentante, dom.to in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3615/46/15 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 20/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/2/2020 dal Consigliere Dott. CHIESI GIAN ANDREA.

 

Fatto

RILEVATO

Che L.M. propose ricorso, innanzi alla C.T.P. di Caserta, avverso l’avviso di accertamento notificatogli per riprese relative all’anno di imposta 2008, fondate sullo scostamento dagli studi di settore tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli stimati;

che la C.T.P. di Caserta, con sentenza 216/6/14, accolse parzialmente il ricorso, riducendo i maggiori ricavi ascrivibili al L. alla somma di Euro 11.010,00;

che avverso tale decisione il L. propose appello innanzi alla C.T.R. della Campania la quale, con sentenza n. 3615/46/15, depositata il 20.4.2015, rigettò il gravame, rilevando – per quanto in questa sede ancora interessa – come l’avviso di accertamento impugnato fosse congruamente motivato, avendo l’Ufficio altresì tenuto conto e riconosciuto alcune delle ragioni addotte dal contribuente (cfr. motivazione, p. 3, penultimo cpv.);

che avverso tale decisione il L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; si è costituita, con controricorso, l’AGENZIA DELLE ENTRATE.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il primo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5, 4 e 3) l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la nullità della sentenza e del procedimento, nonchè la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con precipuo riferimento al del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 del, agli artt. 112 e 132 c.p.c., agli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè alla L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12 ed agli artt. 41-47 della C.E.D.U. per avere “il giudice di secondo grado (omesso) totalmente di esaminare tre doglianze decisive per il giudizio, ovvero (omesso) di pronunciarsi sulle stesse” (cfr. ricorso, p. 13) concernenti (a) la dedotta mancata attivazione del contraddittorio preventivo, (b) l’avvenuto adeguamento dei ricavi di esso contribuente agli studi di settore, con conseguente prevalenza di questi ultimi rispetto alle presunzioni semplici di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e (c) la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 54, nonchè dell’art. 2729 c.c., quanto alla metodologia di calcolo dei maggior ricavi;

che il motivo, nelle tre sottocensure in cui si articola è in parte infondato, in parte inammissibile;

che va, al riguardo, osservato che: 1) quanto alla dedotta illegittimità dell’avviso di accertamento, per omessa attivazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, la C.T.R., contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha espressamente affrontato la questione concernente la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato rispetto agli esiti del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa, tanto da dare atto che “sulla base delle precisazioni del contribuente, che aveva addotto alcune circostanze meritevoli di valutazione, l’Amministrazione aveva ridotto le ore lavorate a 1700 (…i ed il costo del lavoro del titolare” (cfr. p. 3, penultimo cpv.); 2) avuto riguardo, poi, all’avvenuto adeguamento dei ricavi alle risultanze dello studio di settore (ciò che osterebbe all’accertamento condotto dall’Ufficio), la censura pecca di specificità, non avendo parte ricorrente trascritto i documenti (solo genericamente richiamati nelle proprie difese) dai quali tale circostanza emergerebbe, precludendo, quindi, al Collegio, ogni valutazione in termini di decisività o meno di tale argomentazione difensiva e della sua presunta – omessa valutazione ad opera della C.T.R.; 3) per quanto concerne, infine, le censure relative alla metodologia di calcolo dei maggior ricavi, il mezzo di gravame disvela, in realtà, un vizio motivazionale tendente ad una rivalutazione dei fatti storici e del materiale istruttorio operata dal giudice di merito, mediante la proposizione di una diversa interpretazione di essi, rivalutazione preclusa in sede di legittimità (Cass., Sez. U, 27.12.2019, n. 34476, Rv. 656492-03; Cass., Sez. 6-5, 7.12.2017, n. 29404, Rv. 646976-01). Tale principio, invero, trova applicazione anche nel caso di ricorso, da parte del giudice di merito, alle presunzioni, essendo consolidata, a tale ultimo riguardo, la conclusione per cui, in tema di contenzioso tributario, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove (come puntualmente avvenuto nella specie) adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (cfr., recentemente, Cass., Sez. 6-5, 8.1.2015, n. 101, Rv. 634118-01);

che quanto precede determina (per le medesime ragioni esposte supra, sub 3) l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente ripropone, sebbene sub specie di vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, dell’art. 2697 e art. 2729 c.c., dell’art. 62-sexies del D.L. n. 331 del 1993, nonchè degli artt. 53 e 111 Cost. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con precipuo riferimento agli elementi valutati dalla C.T.R. a sostegno della ritenuta sussistenza della condotta antieconomica di esso contribuente;

Ritenuto, in conclusione, che il ricorso debba essere rigettato; che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna L.M. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 1.400,00 (millequattrocento/00) per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di L.M., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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