Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22742 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 20/10/2020), n.22742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27837-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEDILUCO 9,

presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO PAOLO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 359/2C12 della COMM. TRIB. REG. della

Campania, depositata il 19/10/20.12;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il contribuente conduceva un esercizio di occhialeria e ottica che cedeva, esponendo in dichiarazione la relativa plusvalenza da cessione, attinta alla lista controlli selettiva su parametri generali (quali, p.es. il valore di cessione), per cui l’Ufficio chiedeva chiarimenti con questionario in data 17 novembre 2008 per l’anno di imposta 2003, segnatamente sul calcolo della plusvalenza da cessione aziendale, registri Iva e fattura ricevute ed emesse, dettaglio analitico dei costi sostenuti ed altra documentazione, cui il contribuente rispondeva, assolvendo in parte alle richieste. Segnatamente emergevano due profili: la rideterminazione della plusvalenza da cessione aziendale, rettificata in sede di imposta di registro e, specularmente, anche ai fini delle imposte dirette; il recupero a tassazione di costi non documentati per Euro 100.079,00.

I gradi di merito erano favorevoli al contribuente e, per quanto maggiormente interessa, il giudice d’appello respingeva la doglianza di ultrapetizione dell’Ufficio, ritenendo che il primo giudice avesse giustamente annullato in toto l’atto impositivo, argomentando sul carattere onnicomprensivo della doglianza in primo grado per cui la ricostruzione del reddito, avviata sotto le spoglie di un accertamento analitico si era svelata come accertamento sintetico in assenza dei presupposti indiziari richiesti dalla norma, inficiando l’azione amministrativa per violazione di legge. Il giudice d’appello rilevava altresì come l’Ufficio avesse in sede processuale dichiarato di voler prestare acquiescenza alla parallela pronuncia della CTR di annullamento della rideterminazione dell’imposta di registro, seppure poi avesse insistito -in sede di imposte dirette- per l’integrale salvezza dell’atto impositivo, contenente anche la ripresa a tassazione conseguente al maggior reddito accertato sulla base della maggior imposta di registro.

Avverso questa pronuncia ricorre con tre motivi l’Ufficio, cui replica con tempestivo controricorso la parte contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti tre motivi di ricorso.

In via preliminare di rito devono essere respinte due eccezioni processuali di parte contribuente.

Con la prima si protesta l’inesistenza della notifica del ricorso per cassazione, avvenuta nel domicilio del difensore e non alla parte personalmente. Il precedente di questa Corte richiamato dal patrono privato a sostengo della censura riguarda il diverso caso del contribuente domiciliato presso il difensore in primo grado e non costituitosi in secondo grado, laddove l’elezione di domicilio non si estende oltre il termine lungo per l’impugnazione e la mancata costituzione in, secondo grado risolve l’elezione di domicilio, imponendo la notifica del ricorso per cassazione alla parte personalmente (cfr. Cass. V, n. 23484/2004), mentre qui si verte nell’opposta situazione di parte privata ritualmente costituita e con elezione di domicilio presso il difensore, utile per la notifica della tempestiva impugnazione (cfr. amplius Cass. S.U., n. 15326/2015). La concordanza del nome della parte, del domicilio eletto e dei principali elementi indicativi della sentenza gravata escludono ogni verosimile ipotesi di confusione o incertezza soggettiva ed oggettiva degli elementi del ricorso che risulta quindi ammissibile.

La seconda eccezione protesta la tardività della notifica. Com’è noto, la scissione invio e ricezione della notifica impone di calcolarne il perfezionamento per il notificante al momento in cui ha compiuto l’ultimo atto di cui è gravato, pacifico essendo in atti che il ricorso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il giorno 3 dicembre 2013 per una sentenza depositata il 19 ottobre 2012. Ed infatti, in ossequio alla pronuncia della Consulta n. 3/2010, questa Corte ha più volte sancito che la notifica si ritiene perfezionata per il notificante quanto entro il termine di legge egli abbia fatto tutto quanto è a suo carico, irrilevante essendo il momento delle ulteriori operazioni che l’ufficiale giudiziario o il messo notificatore sono tenuti a svolgere in ragione delle diverse eventualità in sede di consegna, mentre la notifica si perfeziona per il destinatario quando l’atto è entrato ex lege nella sua sfera di conoscibilità o nel più breve termine in cui ne ha avuto materiale possesso (cfr. Cass. V, n. 7324/2012; n. 25079/2014; n. 27479/2014; n. 2868/2017; n. 8293/2018 n. 14580/2019; Cass. VI – 5 n. 33277/2019).

Il ricorso è quindi tempestivo ed ammissibile.

1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 (o in subordine n. 5) con nullità della sentenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c.; in subordine omessa motivazione su di un fatto controverso. In principalità si protesta motivazione apparente (e, in subordine, non sufficiente) ove il collegio d’appello confonde la rinuncia ad appellare la sentenza sulla riliquidazione dell’imposta di registro con la rinuncia/) al recupero dei costi dedotti e non provati, nonchè la confusione fra / accertamento analitico e sintetico -in tesi- veicolata dalla parte contribuente. Il motivo non assolve l’onere dell’autosufficienza, non riportando compiutamente i passi degli atti difensivi dei pregressi gradi donde emerge trattarsi di doglianze non nuove. Il motivo d’appello del quale si lamenta l’omesso esame non risulta infatti compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. n. 17049/2015; n. 29368/2017).

Il motivo è dunque inammissibile.

2. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 53, in altri termini affermando che la CTR avrebbe rigettato i motivi d’appello mossi dall’Ufficio circa l’ultrapetizione per aver il giudice di primo grado pronunciato l’annullamento integrale della ripresa a tassazione in assenza di contestazioni specifiche del contribuente, ma a fronte di una generica doglianza che l’accertamento fosse avviato come una ricostruzione analitica del reddito per scarrocciare poi in una ripresa sintetica su inedita commistione di dati. Anche questo motivo non riporta compiutamente le doglianze mosse alla prima sentenza, impedendo a questa Corte di legittimità di verificare trattarsi di ragioni non prospettate per la prima volte nel presente grado del giudizio. In disparte, resta l’argomento che la qualificazione della domanda di parte resta al giudice, che quindi può legittimamente dedurre da una critica diretta ai presupposti stessi dell’atto impositivo, un’impugnazione complessiva, sotto ogni profilo di ripresa a tassazione.

Il motivo è dunque inammissibile.

3. Con il terzo motivo si profila censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, e dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui ha ritenuto non spettasse al contribuente provare la realtà, la consistenza e l’inerenza dei costi portati a deduzione, specie quanto si tratti di richiesta di chiarimenti questionario, sicchè ove la produzione documentale richiesta dall’Ufficio ed offerta dal contribuente non sia ritenuta esaustiva, spetta al contribuente dimostrare in sede processuale, con ogni mezzo, le caratteristiche dei costi sostenuti che porta in abbattimento dell’imponibile.

E’ stato chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289; 28 giugno 2017, n. 16147). La richiesta riproduzione si trova a pag. 15 del ricorso introduttivo al presente giudizio, ricavandosi una parziale giustificazione, ma un ammontare di costi dedotti e non documentati nella citata somma di Euro 100.079,00.

Il motivo è ammissibile ed anche fondato, poichè nel secondo periodo del secondo paragrafo della motivazione della gravata sentenza, la commissione territoriale ritiene che l’accertamento proceda ad un indiscriminato recupero di costi senza esporre presunzioni gravi precise e concordanti, dando per provata una soddisfacente risposta al questionario che la lettura dell’atto impositivo invece esclude. E’ stato infatti chiarito in più occasioni far carico sul contribuente l’onere probatorio sui profili agevolativi o estintivi del tributo (cfr., da ultimo, Cass. V, n. 5079/2017) Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass. V, n. 21184/2014; n. 13300/2017). Questi principi ha mal governato la gravata sentenza che dev’essere quindi cassata.

Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento.

In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal terzo motivo di gravame. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata nei limiti del motivo accolto, con con rinvio alla CTR della Campania la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo discorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. per la Campania, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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