Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2274 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16137-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

RECORFIN SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 176/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 06/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate impugna, con un unico motivo, la sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che accoglieva parzialmente il suo gravame avverso la decisione n. 111/04/2004 della CTP di Pavia, con cui erano stati riconosciuti dovuti gli interessi legali e la rivalutazione sul credito d’imposta Irpeg e Ilor per l’anno 1993 della società Recorfin srl.

La contribuente non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deducendo “violazione di legge per erronea e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione”, l’Agenzia si duole che il giudice “a quo” non teneva nel debito conto che la voce, costituita dalla rivalutazione, non poteva essere riconosciuta, dal momento che la contribuente non aveva subito alcun pregiudizio dalla mancata disponibilità della somma a rimborso; nè peraltro aveva fornito prova al riguardo.

Il motivo è fondato, atteso che la CTR riteneva che la rivalutazione andava riconosciuta sulla scorta del lasso di tempo trascorso dal pagamento sino al rimborso, ancorchè in mancanza di prova di alcun pregiudizio. L’assunto non è esatto. Infatti nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se egli domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite. Il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale (Cfr.

anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 19499 del 16/07/2008, Sent. n. 14975 del 2006). Inoltre va pure rilevato che il danno da svalutazione monetaria non è “in re ipsa” nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, ma può essere liquidato soltanto ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione. Tale principio trova applicazione anche in relazione alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti dell’erario, rispetto alle quali peraltro – in considerazione della specificità della disciplina dell’obbligazione tributaria – la prova del danno da svalutazione monetaria deve essere valutata con particolare rigore da parte del giudice di merito; la qual cosa invece la Tilocca Assicurazioni non aveva fatto (Cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 16871 del 31/07/2007, e Sent. n. 4919 del 2003).

Tali principi – contrariamente alla valutazione espressa dal giudice di appello nel proprio provvedimento – non appaiono osservati nella sentenza impugnata.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Quanto alle spese di questo giudizio, come pure dei gradi di merito, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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