Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22739 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 20/10/2020), n.22739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22176-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PERTUSA

4, presso lo studio dell’avvocato AGATI OTTORINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ATTANASIO ANTONINO;

– controricorrente –

averso la sentenza n. 104/2011 della COMM. TRIB. REG. della Toscana,

depositata il 22/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il contribuente esercitava attività di taxista nel comune di Firenze, in forma associata con il figlio ed iscritto a cooperativa. Per l’anno di imposta 2005, l’Ufficio ne rideterminava il reddito ritenendo inattendibile la documentazione riscontrata, segnatamente ricostruendo il maggior numero dei chilometri percorsi dalla vettura in servizio, sulla base del totale annuo rilevato dalle schede carburante applicando la percentuale delle giornate lavorative dichiarate. Induttivamente poi rideterminava il costo medio della corsa, arrotondando con una riduzione prudenziale.

2. Il tentativo di accertamento con adesione non dava esito, donde l’atto impositivo era impugnato avanti il giudice di prossimità che riteneva comunque fondato l’operato dell’Ufficio, troppo esiguo e non credibile il reddito dichiarato dal contribuente, pur congruo con gli studi di settore e precisando che la congruità non esime nè inibisce l’Ufficio dallo svolgere accertamenti ulteriori. L’appello era favorevole al contribuente, ove la CTR riteneva astratto e presuntivo il procedimento dell’Ufficio, indicandone i limiti ed esemplificandone se non gli errori, almeno le possibili alternative.

Ricorre per cassazione l’Ufficio affidandosi a due motivi, cui replica con tempestivo controricorso il contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità per difetto di autosufficienza prospettata dalla difesa privata.

E’ stato chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289; 28 giugno 2017, n. 16147). Tale onere assolve l’atto introduttivo del presente grado di giudizio che può quindi essere scrutinato nel merito.

1. Con il primo motivo si propone censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 (secondo la formulazione previgente), protestando insufficiente motivazione per non aver considerato gli argomenti stringenti posti a base dell’atto impositivo. Dall’esame della gravata sentenza, segnatamente dal IX e X paragrafo, si evince che il collegio d’appello ha preso posizione puntualmente sugli argomenti proposti dall’Ufficio (presunzioni degli studi di settore, esistenza o meno di studi statistici territoriali, riferimenti a prezziari medi), con un apprezzamento ponderato del materiale probatorio offerto dalle parti che esula dallo scrutinio di questa Corte di legittimità. Ed infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718, Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

Il motivo è quindi inammissibile.

2. Con il secondo motivo si propone censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 3 e art. 35 comma 3, ed art. 277 c.p.c., per non aver sostituito al calcolo dell’Ufficio, ritenuto ingiusto, un nuovo valore di ripresa a tassazione, secondo il potere dovere di annullamento sostitutivo proprio del giudice dell’obbligazione tributaria.

Tale potere sostitutivo (conseguente alla natura c.d. impugnazione/merito della giurisdizione tributaria) è in verità ancorato all’individuazione da parte del giudice tributario di fatti certi ed univoci su cui basare un nuovo calcolo rispetto a quello operato dall’Ufficio, ma non può essere esercitato ove il giudice non ò,2 rinvenga elementi specifici cui ancorare una propria diversa determinazione del dovuto. In tal senso si è già espressa questa Suprema Corte (cfr. Cass. V, n. 6918/2013; n. 24611/2014; n. 27574/2018).

Il motivo è pertanto infondato.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. n. 1178/2016)-

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso, compensa le spese dei gradi di merito, condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate a rifondere le spese del giudizio di legittimità in favore della parte contribuente che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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