Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22739 del 09/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/11/2016, (ud. 23/09/2016, dep. 09/11/2016), n.22739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere –

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere –

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10000/2010 proposto da:

Z.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato FABRIZIO ZARONE con studio in VAIRANO SCALO – VIA

RISORGIMENTO PARCO LISA SNC (avviso postale ex art. 135), giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO CENTRALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 40/2009 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 18/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2016 dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLELLI che ha chiesto

l’inammissibilità;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La CTR di Napoli ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Teano, avverso la sentenza di primo grado che, aderendo alla tesi difensiva proposta da Z.A., aveva dichiarato l’illegittimità della cartella esattoriale ai fini IRPEF, anno 2002, sul presupposto che la pretesa erariale era fondata su di un errore materiale da parte del consulente, il quale aveva trasmesso in via telematica la dichiarazione indicando un reddito maggiore di quello risultante dalla dichiarazione allegata agli atti del giudizio.

La CTR ha affermato che la dichiarazione presentata può essere corretta con altra dichiarazione integrativa di correzione presentata dal contribuente agli uffici finanziari e che nel caso in esame lo Z. si era limitato a depositare una copia informale di una dichiarazione, priva di firma e di autenticità, costituente prova insufficiente per inficiare la pretesa fiscale, senza fornire neanche la documentazione contabile a supporto.

Z.A. propone ricorso avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo due motivi, strettamente connessi, con i quali lamenta la carenza e la contraddittorietà della motivazione laddove il giudicante, pur riconoscendo la emendabilità della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente, ha tuttavia ritenuto che la copia della dichiarazione dei redditi prodotta dal ricorrente, non contestata dall’Ufficio, non costituisca prova sufficiente per inficiare la pretesa fiscale.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso concludendo per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 23 settembre 2016, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Il tema qui in discussione è quello della emendabilità della dichiarazione dei redditi nel procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria in cui è ammessa l’ennendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto e diritto, contenuto nella dichiarazione.

Diverso è il tema, oggetto di una recente sentenza delle Sezioni unite, riguardante la questione della emendabilità della dichiarazione con riferimento alle norme in materia di accertamento e riscossione, con la quale è stato affermato che la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (v. Sez. U, n. 13378 del 30/06/2016, Rv. 640206).

Ciò premesso, in tema di imposte sui redditi, la dichiarazione dei redditi, in quanto momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione e non fonte dell’obbligo tributario nè atto assimilabile ad una confessione, non può precludere al contribuente di dimostrare, in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva, l’inesistenza anche parziale di presupposti di imposta erroneamente dichiarati, ma grava sullo stesso l’onere della prova a suo carico, dell’inesistenza, anche parziale, di presupposti di imposta erroneamente dichiarati.

Applicando tali principi al caso in esame, va rilevato che la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi avendo ritenuto, con motivazione congrua e logica, che il contribuente non ha adempiuto in maniera esaustiva all’adempimento dell’onere probatorio a suo carico, essendosi limitato a depositare una copia informale di una dichiarazione priva di firma e di autenticità, senza fornire alcuna dimostrazione diretta a contestare validamente l’ammontare del reddito dichiarato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2016

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