Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22737 del 20/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 20/10/2020), n.22737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sal ricorso 15707-2 proposto da:

CURATOLO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PALUMBO 26, –

studio appresentato e difeso dall’avvocato GIULIO GAETA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, Presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza 461/2113 – la COMM. TRIB. REG. della Campania,

depositata il 12/12/2013;

udita la relazione della svolta nella camera di consiglio del

31/C1/2020 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 492/10/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta rigettò il ricorso proposto dalla Srl Curatolo contro l’avviso di accertamento di IRES, IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2005 emesso, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, dalla Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Caserta a seguito di processo verbale di constatazione che aveva recuperato maggiori ricavi sulla base del rinvenimento di documentazione extracontabile “in nero”, costituita da schede clienti e buoni di consegna contenenti il nome del cliente, la data di consegna, l’importo della cessione e la dicitura a penna “scaricato”, che però non trovavano corrispondenza in scontrini o fatture.

La ricorrente aveva lamentato con il ricorso introduttivo, per quanto ancora interessa con riguardo ai motivi dedotti in sede di ricorso per cassazione, che la verifica non era stata estesa a tutte le operazioni effettuate con i clienti cui si riferiva la documentazione contestata, il che avrebbe consentito di verificare che nei confronti di tali clienti erano state emesse fatture che comprendevano anche il maggior imponibile contestato, ma la CTP ritenne legittimo l’operato dell’Ufficio a fronte della omessa indicazione, da parte della contribuente, di fatti concreti a sostegno del suo assunto.

Investita dall’appello della contribuente, che aveva riproposto, per quanto di interesse, il mancato riscontro nel merito della documentazione da essa prodotta circa la prova della inesistenza delle presunte variazioni di imposta e, comunque, la erroneità nei calcoli delle imposte effettuati su imponibili assunti al lordo dell’IVA, nonchè mancata considerazione delle affermazioni del funzionario della Agenzia delle Entrate che, in sede di accertamento con adesione, si era espresso ritenendo riducibile del 25% la pretesa Erariale, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 461/23/2013, depositata in data 12.12.2013, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese. La CTR rilevò che il rinvenimento di documentazione extracontabile, dalla quale – come nel caso in esame – era ragionevole desumere operazioni occultate alla dichiarazione ovvero attività economiche fiscalmente rilevanti e non dichiarate, aveva autonoma valenza probatoria quale indizio connotato da gravità sulla inattendibilità sia delle scritture contabili quanto sui dati riportati in dichiarazione, cosicchè gravava sul contribuente l’onere di provare la legittimità del proprio operato sulla base di elementi tali da fare ritenere non corretto il risultato della ricostruzione extracontabile, mentre nella specie il contribuente si era limitato a contestare l’operato della Amministrazione finanziaria non portando però a sostegno delle proprie difese alcuna valida prova idonea alla ricostruzione diversa del proprio volume di affari, non assumendo nel contempo alcun rilievo la circostanza che un funzionario dell’Agenzia delle Entrate avesse espresso proprie valutazioni in merito all’esito di una instauranda procedura contenziosa. Rilevò altresì che, sulla base della documentazione in atti, erano state considerate cessioni “in nero” solo quelle per le quali non era stata rinvenuta alcuna corrispondenza nella contabilità ufficiale e che tali elementi erano stati valutati unitamente alla comprovata esistenza di rapporti di affari tra le ditte, confermati dalle schede clienti e dalle fatture regolari attestanti l’acquisto di prodotti che rientravano nella attività dell’acquirente, non sussistendo nel contempo la dedotta erroneità di calcolo poichè l’Ufficio aveva utilizzato la documentazione rinvenuta presso la società dalla quale si evinceva che gli importi considerati erano comprensivi di IVA.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, con atto notificato in data 6.6.2014 affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata omesso di porre a proprio fondamento le prove dedotte dalla società, che, se fossero state esaminate e valutate dai giudici, avrebbero portato ad una diversa soluzione, mentre la sentenza impugnata si era basata esclusivamente sui “buoni di consegna” non verificati nel giudizio e quindi su una prova inesistente, pur spettando all’Ufficio fornire la prova dei recuperi operati, essendo la Amministrazione Finanziaria attrice nel processo tributario.

2. Con il secondo motivo allega, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di valutazione fra le parti per non avere i giudici di merito considerato che la documentazione prodotta in causa copriva nella sua globalità il maggior imponibile contestato, il che eliminava alla radice la censura poichè l’Ufficio aveva riconosciuto che solo in alcune date indicate nel buoni non risultavano emesse nè fatture nè scontrini, così consentendo di desumerne che le fatture fossero state emesse entro il giorno 15 del mese successivo a quello di consegna e di spedizione.

3. Il ricorso è infondato.

4. Quanto al primo motivo, con cui si deduce, sotto il profilo della violazione di legge, la violazione dell’onere della prova per non avere la sentenza impugnata valutato le prove prodotte dal contribuente e comunque omesso di considerare che la prova dei maggiori ricavi doveva essere offerta dall’Ufficio quale attore del processo tributario, in proposito la ricorrente invoca l’applicazione di erronei principi giuridici poichè, al contrario di quanto sostenuto dalla stessa, in presenza del reperimento di documenti extracontabili dimostrativi di attività “in nero” – come nel caso in esame in cui la sentenza impugnata ha specificamente indicato il reperimento in sede di verifica di schede clienti e buoni di consegna non transitati nella contabilità ufficiale, anche perchè ad essi non corrispondevano scontrini o fatture – correttamente era stata ritenuta la sussistenza di ricavi con contabilizzati sulla base di una presunzione in presenza della quale spettava al contribuente fornire la rigorosa prova contraria.

4.1. La giurisprudenza consolidata di questa Corte è infatti nel senso che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali dell’imprenditore o comunque da documenti non transitati nella contabilità ufficiale, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018 Rv. 651078 – 02; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12680 del 23/05/2018 Rv. 648775 – 01).

4.2. Ed anche con riguardo alla pretesa violazione dell’onere della prova, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio consolidato, affermato proprio con riferimento al reperimento della “contabilità in nero”, per cui essa, costituendo, anche da sola, un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comporta l’inversione dell’onere della prova, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4080 del 27/02/2015 Rv. 634980 – 01; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018 Rv. 651078 – 02; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12680 del 23/05/2018 Rv. 648775 – 01). La sentenza impugnata ha quindi fatto corretto uso della regola dell’onere della prova, con riguardo alla tipologia di accertamento basato sul rinvenimento di documentazione extracontabile dimostrativa di maggiori ricavi “in nero”, avendo ritenuto che tale documentazione, in considerazione della sua precisione e delle annotazioni anche “a penna” altamente dimostrative, in essa inserite, accompagnata dalla data e dall’importo della cessione e confortata dalla esistenza di comprovati rapporti con quei clienti, che non trovavano riscontro nelle fatture e negli scontrini di vendita, consentisse l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), basato sui precisi recuperi di merci cedute “in nero”; il che poneva l’onere della prova contraria al contribuente, il quale non la aveva fornita, essendosi limitato a generiche proteste prive di alcun riscontro concreto.

4.3. Ciò posto, non vi è stata nel caso in esame alcuna violazione di legge, che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), mentre nella specie non si pone una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, bensì della valutazione della prova operata dalla sentenza di merito, nell’ambito della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito in relazione alla mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

4.4. E’ vero che il vizio di violazione di legge può essere posto anche con riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), però la regola iuris, nel caso in esame, è quella correttamente applicata dalla sentenza impugnata, per cui la contabilità “in nero” costituisce una presunzione utilizzabile al fine di ritenere l’esistenza di entrate “in nero”, il che determina che l’onere della prova di dimostrare che le entrate “in nero” non vi sono state spetta al contribuente. La sentenza impugnata, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, ha quindi fatto corretto uso di tale regola iuris, in effetti applicabile nel caso nel esame, ritenendo che la regola iuris ammettesse la prova contraria, ma che la prova contraria non fosse stata offerta dalla contribuente la quale si era limitata a mere asserzioni non comprovate da elementi concreti.

4.5. Non vi è stata quindi la violazione di legge dedotta dalla ricorrente con riguardo al primo motivo di ricorso con cui si chiede sostanzialmente una diversa valutazione della prova che però costituisce compito esclusivo del giudice di merito.

5. Quanto al secondo motivo di ricorso dedotto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” e che sarebbe consistito nella erronea valutazione della deduzioni della ricorrente di avere dimostrato, attraverso la documentazione prodotta, che le fatture coprivano tutte le operazioni eseguite e cioè di un fatto che, se esaminato, avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata, occorre preliminarmente rilevare che esso presenta, in primo luogo, rilevanti profili di inammissibilità.

5.1. Pur se trattasi di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, correttamente dedotta nella formulazione posteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012 convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie ratione temporis, l’attuale versione di detta norma, che è applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore dell’anzidetta legge di conversione, e dunque dall’11.9.2012 (mentre la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente e cioè il 12.12.2013), è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo più inquadrabile nell’art. 360 c.p.c., n. 5, paradigma 5, nè in quello del precedente n. 4 (v. Cass. n. 11892 del 2016). Pertanto, il vizio previsto dalla vigente disposizione sussiste qualora il giudice di appello abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, oppure ricorrano una “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, una “motivazione apparente”, un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, a nulla rilevando il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; da ultimo, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018 Rv. 650018 – 02).

5.2. Nel caso in esame parte ricorrente contesta l’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di appello per avere trascurato un fatto che avrebbe potuto – a suo dire – essere decisivo e cioè la dimostrazione che le cessioni ritenute “in nero” potrebbero essere state fatturate in momento successivo alle date di consegna indicate nei buoni, però occorre rilevare che non si tratta di un “fatto storico”, bensì di una “ipotesi” formulata dalla contribuente che cozza contro la affermazione della sentenza impugnata per cui era stato accertato che quei buoni non trovavano riscontro nella contabilità attraverso la emissione di fatture o di scontrini, oltre che con il principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; il che si deve escludere nel caso in esame in cui la sentenza impugnata ha indicato in modo tutt’altro che illogico i motivi molteplici e convergenti per cui ha ritenuto che un certo numero di buoni non fossero confluiti nella contabilità (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

5.3. Anche il secondo motivo di ricorso è quindi infondato.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo in favore dell’Agenzia delle Entrate. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 4 giugno 2013.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 2.000,00 (duemila), oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

 

 

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