Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22735 del 03/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 03/11/2011), n.22735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1244/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 28/06/2006 R.G.N. 2312/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Brindisi ha respinto la domanda di C. G., ex dipendente della Patty Confezioni di Tomaso Patrizia, tendente ad ottenere la condanna del Fondo di garanzia gestito dall’INPS al pagamento dell’importo dovutole a titolo di trattamento di fine rapporto in relazione al rapporto di lavoro intercorso con la stessa T..

La Corte d’appello di Lecce ha accolto l’appello della lavoratrice condannando l’INPS al pagamento in favore dell’appellante delle somme ad essa spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto e delle mensilità di novembre e dicembre 2000, oltre che al pagamento delle spese del doppio grado. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che il datore di lavoro della ricorrente fosse soggetto alla legge fallimentare e che pertanto il Fondo di garanzia fosse tenuto al pagamento del t.f.r. e delle ultime mensilità in sostituzione del datore di lavoro.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS affidandosi ad un unico motivo di ricorso.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2 e del D.Lgs. n. 80 del 1992, artt. 1 e 2 chiedendo a questa Corte di stabilire se “a fronte dell’accertamento fattuale della natura commerciale dell’imprenditore insolvente e conseguentemente della sua assoggettabilità ad una procedura concorsuale, il diritto del lavoratore al pagamento del t.f.r. e delle mensilità retributive resta pur sempre condizionato alla dichiarazione di fallimento del datore di lavoro ed all’ammissione di detti crediti nello stato passivo fallimentare”.

2.- Il ricorso è fondato. Il quesito formulato dall’Istituto ricorrente deve trovare risposta nei principi costantemente espressi da questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 22647/2009 -, secondo cui “a norma della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi dal 1 al 7, qualora il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alla legge fallimentare, il lavoratore, per poter ottenere l’immediato pagamento (nel rispetto del termine di sessanta giorni dalla domanda) del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, deve provare, oltre alla cessazione del rapporto di lavoro e all’inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal debitore, anche lo stato di insolvenza in cui versa quest’ultimo, utilizzando, a tal fine, la presunzione legale prevista dalla legge (l’apertura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa o del concordato preventivo nei confronti del medesimo debitore); viceversa, ove non sia possibile l’applicazione della legge fallimentare perchè non ricorre la condizione soggettiva di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 1 il lavoratore, allo scopo sopra indicato, oltre alla prova dell’avvenuta conclusione del rapporto di lavoro e all’inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal datore di lavoro, deve fornire anche l’ulteriore prova che quest’ultimo non è soggetto alle procedure esecutive concorsuali e deve, inoltre, dimostrare, in base alla diversa presunzione legale pure prevista dalla legge (l’esperimento di una procedura esecutiva individuale, senza che ne sia necessario il compimento), che mancano o sono insufficienti le garanzie patrimoniali del debitore”. E’ stato altresì precisato che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il pagamento del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di garanzia richiede, secondo la disciplina della L. n. 297 del 1982, art. 2 che il lavoratore assolva all’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza dichiarativa di fallimento e che il suo credito è stato ammesso allo stato passivo, senza che questo requisito possa essere escluso a seguito della dimostrazione, da parte del lavoratore, che la mancata insinuazione nel passivo fallimentare del suo credito è addebitabile alla incolpevole non conoscenza da parte sua dell’apertura della procedura fallimentare, poichè la legge fallimentare contiene una serie di disposizioni che assicurano ai terzi la possibilità di conoscenza in relazione ai diversi atti del procedimento e svolgono, quindi, la funzione di una vera e propria pubblicità dichiarativa (Cass. n. 17079/2004, Cass. n. 294/2000).

3.- Pertanto, secondo il meccanismo configurato dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 il dipendente che vanti il diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto da datore di lavoro insolvente soggetto alle disposizioni di cui al R.D. n. 267 del 1942, deve insinuarsi nello stato passivo, eventualmente anche tardivamente, ai sensi del terzo 3; indi, dopo il decreto di ammissione allo stato passivo, ovvero dopo la sentenza che decide il giudizio insorto per l’eventuale contestazione del curatore fallimentare, l’interessato può presentare la domanda all’Inps. E sul punto questa Corte ha rilevato che sarebbe invero inammissibile una domanda proposta al Fondo di garanzia per il pagamento del trattamento di fine rapporto, con la quale il lavoratore allegasse semplicemente il mancato adempimento del datore di lavoro, lamentando genericamente l’insolvenza dello stesso: “infatti il meccanismo è tale che il Fondo non può e non deve intervenire prima della dichiarazione d insolvenza e di ammissione al passivo del credito fatto valere. Se ne trae conferma considerando che la verifica sull’esistenza del credito non compete invero all’Istituto, non avendo la legge, che pure regola minutamente tutta la procedura, dettato alcuna disposizione affinchè l’Inps venga informato degli elementi necessari per l’accertamento del diritto e della misura della prestazione. E’ infatti sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento nei confronti del Fondo di garanzia, la dimostrazione che il credito sia stato ammesso al passivo” (Cass. n. 3939/2004).

4.- In definitiva, dal tenore e dalla rado delle suddette disposizioni di legge si deve trarre la conclusione che, ove il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, l’intervento del Fondo di garanzia può realizzarsi solo se il lavoratore assolva l’onere di dimostrare, in primo luogo, che è stata emessa la sentenza dichiarativa di fallimento e, in secondo luogo, che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo. Poichè nel caso di specie la lavoratrice non ha ottemperato a tale onere, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata.

5.- Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda di C.G..

6.- Non deve provvedersi in ordine alle spese dell’intero processo, trattandosi di fattispecie alla quale è applicabile ratione temporis l’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo precedente alla innovazione introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, conv. in L. n. 326 del 2003.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla lavoratrice;

nulla per le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2011

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