Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22727 del 06/11/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 22727 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 12701-2010 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A.

P.I.

07973780013,

(nuova denominazione della FIAT AUTO S.P.A., in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,
presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA
2015
3691

TAMAJO (STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUCA
ROPOLO, FRANCO BONAMICO, giusta delega in atti;
– ricorrente
contro

Data pubblicazione: 06/11/2015

VITERITTI MARIA C.F. VTRMRA49M46A053V, domiciliata in
ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli
avvocati BENEDETTO PELLERITO, GIUSEPPE PELLERITO,
SILVIO CHIODO, giusta delega in atti;
controricorrente

avverso la sentenza n. 577/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 11/05/2009 R.G.N. 1049/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/10/2015 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata I’ll maggio 2009, la Corte d’appello di Torino, in accoglimento
dell’appello proposto da Maria Viteritti, riformando la sentenza di primo grado,
condannava Fiat Group Automobiles (già Fiat Auto) s.p.a. al risarcimento del danno
subito dalla lavoratrice per l’illegittima collocazione in CIGS relativamente al periodo 7
aprile 2003 – 21 novembre 2003, in misura pari alla differenza tra la normale retribuzione

La Corte distrettuale ribadiva la persistenza dell’obbligo di esplicitazione, nella
comunicazione di apertura della procedura della CIGS, dei “criteri di individuazione dei
lavoratori da sospendere nonché delle modalità di rotazione”, a norma dell’art. 1, settimo
comma I. 223/1991, in quanto non abrogato né espressamente né implicitamente
dall’art. 2, quinto comma d.p.r. 218/2000 (finalizzato alla semplificazione, in esecuzione
della legge delega 59/1997, dei procedimenti amministrativi, senza alcuna pertinenza ai
rapporti tra privati) e riteneva la genericità e l’indeterminatezza dei criteri (consistenti
nelle “esigenze tecniche, organizzative e produttive” e nelle “esigenze professionali”)
indicati nella comunicazione iniziale del 31 ottobre 2002, pertanto viziante la regolarità
dell’intera procedura e la legittimità del provvedimento conclusivo, non sanata (né
sanabile, per la consumazione della situazione di illegittimità, per l’indisponibilità dalle
oo.ss. dei diritti già acquisiti dai singoli: nella specie, di sanzione dell’illegittima condotta
datoriale) dai successivi accordi sindacali del 18 marzo 2003 e del 22 luglio 2003.
Con atto notificato il 4 maggio 2010, Fiat Group Automobiles s.p.a. ricorre per
cassazione con cinque motivi, cui resiste Maria Viteritti con controricorso. La società
ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 20 I. 59/1997 in
riferimento all’art. 1 I. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000, nonché dell’art. 15 prel. c.c. per
avere la sentenza erroneamente escluso che la procedura di autorizzazione della CIGS
restasse disciplinata dal citato d.p.r., che ha abrogato la precedente normativa di cui agli
artt. 1, commi 7 e 8 L. n. 223/91.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e
dell’art. 2 d.p.r. 218/2000, in relazione al verbale del Ministero del Lavoro 5.12.2002,
nonché omessa motivazione circa la valenza di tale verbale, per avere la sentenza
erroneamente escluso che l’esame congiunto costituisca una fase della più complessa
procedura amministrativa e che il relativo verbale possa avere natura di atto
amministrativo, dotato di efficacia certificativa, e per avere così negato al verbale di

del suddetto periodo ed il percepito a titolo di CIGS.

esame congiunto del 5.12.2002 ogni valenza probatoria, anziché attribuire allo stesso
una presunzione di legittimità della procedura, con conseguente inversione dell’onere
della prova.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 7, L.
n.223/91, dell’art. 5, commi 4 e 5, L. n. 164/75 e dell’art. 2 d.P.R. 218/2000, nonché
vizio di motivazione. Si chiede se, rispetto ad una procedura per la concessione di CIGS
nella quale con l’apertura della procedura sono stati comunicati i criteri di scelta

falsa applicazione del combinato disposto delle norme suddette ritenere, come affermato
dalla Corte di appello, che la completezza dei criteri di scelta si debba valutare sulla base
della sola comunicazione iniziale o, invece, come ritenuto dalla ricorrente, mediante
valorizzazione del momento dell’esame congiunto. Sul punto la sentenza non aveva
approfondito se, nel complesso della procedura come sopra configurata, fossero stati
correttamente adempiuti gli obblighi di comunicazione ed informazione.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, settimo
comma, I. 223/1991, dell’art. 5, quarto, quinto e sesto comma I. 164/1975 e dell’art. 2
d.p.r. 218/2000, nonché vizio di motivazione in ordine alla posizione soggettiva del
singolo lavoratore collocato in mobilità. Si censura la sentenza per non avere fatto
corretta applicazione delle suddette norme, le quali non consentono di sanzionare mere
carenze formali della comunicazione, fatta salva l’ipotesi della radicale assenza, e dunque
per avere ritenuto illegittima la procedura sulla base della genericità dei criteri di scelta
comunicati in fase di apertura, a prescindere dall’esame e dalla valutazione della
congruità della singola scelta rispetto alle ragioni della CIGS. In riferimento alla posizione
soggettiva del lavoratore, ci si duole del difetto di verifica in concreto, senza alcuna
attività istruttoria, della legittimità della scelta del lavoratore resistente.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363,
1366, 1367, 1375 e 2697 c.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in riferimento agli accordi
sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, nonché dell’art. 1 I. 223/1991 e succ. nnod. e
vizio di motivazione, per avere la sentenza erroneamente negato agli accordi sindacali del
18 marzo e del 22 luglio 2003 una valenza di ratifica e di specificazione del criterio di cui
alla comunicazione iniziale.
I motivi di ricorso investono questa Corte dell’esame di quattro questioni, così
declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.p.r.
218/2000 e l’art. 1 I. 223/1991, nel senso dell’avvenuta abrogazione o meno delle
disposizioni della seconda legge ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della
non necessaria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle

successivamente oggetto di esame congiunto con le 00.SS., costituisca violazione e/o

modalità della loro rotazione nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS,
suscettibile di differimento all’esito dell’esame congiunto tra imprenditore e oo.ss. della
crisi aziendale e delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di
specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai
suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione;
c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi

sindacali raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione, con verbale di esame

posizione del singolo lavoratore.
La questione sub a) è oggetto del primo motivo.
Le censure mosse alla sentenza con tale motivo sono infondate.
L’insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell’escludere alcuna incompatibilità
tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le
disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad
imporre all’imprenditore, che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione
salariale, l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed
attenendo unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione, senza
nulla dire sul contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in
ordine ai criteri di scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva
stabiliti dall’art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo
nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l’informazione sui criteri di
scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di
avvio della procedura di integrazione salariale a quello immediatamente successivo
dell’esame congiunto: posto che, così opinando, il contenuto dell’art. 2 del d.p.r.
218/2000 non soddisferebbe l’esigenza di semplificazione del procedimento
amministrativo, comportando solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la
compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema
di consultazione sindacale palesemente inadeguato.
Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata,
richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da
ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell’art. 360bis, primo
comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo cui:
“In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del
1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua
ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle
organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto

congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; d) verifica concreta della

previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro
un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223
del 1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli
lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in vigore
del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del
procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni
straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà),

atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette
disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento
amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale” (Cass. n.
28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. nn.
2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492,
23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247, 21814
del 2013)”.
Correttamente ha pertanto deciso sul punto la Corte territoriale, che a tale principio si è
uniformata.
La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta
di apertura della procedura, è oggetto del terzo e del quarto motivo.
Anche questi motivi sono infondati.
Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio
della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai requisiti suindicati
investe il merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, sicché è nella competenza
esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità,
quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni
(Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n.
22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente
argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto
denunciate.
Ed, infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri
di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a
consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di
apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda
impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei
lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, settimo
comma I. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata
indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia

A

dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in
quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi
pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n.
4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con
particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n.
22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l’aggettivazione “non individua una specie
nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia

cassa Integrazione”, atteso che:’un, criterio di scelta generico non è effettivamente tale,

ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. 1 luglio
2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass.
S.U. 11 maggio 2000, n. 302).
La (quarta) questione riguardante la verifica concreta della posizione del singolo
lavoratore è parimenti infondata.
Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall’art. 1, settimo
comma I. 223/1991, della comunicazione datoriale 30 ottobre 2002, di avvio della
procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in esito all’esame del
quinto mezzo (per tale ragione respinto), esclude la possibilità di verificare la
corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).
La terza questione, rigUardante l’efficacia sanante, nell’ipotesi di inidone0 dei suddetti
requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell’attestazione di sua
regolarità, con verbale di- esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del
secondo e del quinto motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.
Essi sono tutti infondati.
Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell’accordo sindacale,
della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa
integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di
merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante
in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del
giudizio di legittimità (Css. 29 maggio 2014, n. 12096; Casa. 6 maggio 2014, n. 9705):
nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o
contraddizioni logiche .
In ogni caso, questa Corte intende ribadire, per intima convinzione, la recente
affermazione secondo cui, in riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un
accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata
ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione

effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in

è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al
confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza
delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a
scelte in concreto già operate” (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di:
Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009,
n. 15393).
Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in

esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e
modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è
superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta
che quell’indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame
congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12
dicembre 2011, n. 26587).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la
regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al
difensore antistatario, secondo la sua richiesta.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida
in C 100,00 per esborsi e C 2.500,00 per compensi, oltre 15% per rimborso per spese
generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatari
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015
Il Preside te

particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002,

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