Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22724 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 11/09/2019), n.22724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25721-2018 proposto da:

S.A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

AMERICO CAPPONI 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO STACCIOLI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI LECCE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 25/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 25 luglio 2018, il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda di S.A.R., nativo del Ghana, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non integralmente credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso il descritto decreto S.A.R. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c., mentre il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) ed f), nonchè art. 11 e art. 10 Cost. – Mancato riconoscimento dello status di rifugiato”;

II) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) ed h), nonchè art. 14, lett. c) – Mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”;

III) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – Mancato riconoscimento della protezione umanitaria”.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Il tribunale pugliese, infatti, dopo aver delineato il quadro legislativo regolante il riconoscimento dello status di rifugiato, correttamente richiamando, in proposito, l’art. 10 Cost., il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) ed f), ed art. 11 (attuativo della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. n. 722 del 1954) e le direttive comunitarie in materia (tra cui quella n. 2004/83), ed aver specificamente indicato quali sono, alla stregua del citato D.Lgs., art. 5, i soggetti (lo Stato, i partiti politici o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, nonchè soggetti non statuali ove quelli appena indicati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione adottando adeguate misure per impedire atti persecutori) da cui dovrebbero provenire le persecuzioni di cui al menzionato art. 2, ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale e pertanto – anche qualora veritieri – non integrerebbero gli estremi per il riconoscimento dello status” suddetto.

2.1.1. Il ricorrente assume, invece, di essere stato costretto a fuggire dal proprio Paese per minacce alla propria vita rivoltegli dai parenti delle vittime di un incidente stradale provocato da un autobus, da lui guidato, per effetto dello scoppio di uno pneumatico, rispetto alle quali la polizia locale non era in grado di offrirgli adeguata protezione.

2.1.2. E’ palese, però, che tali minacce deriverebbero, ove pure fosse credibile il corrispondente racconto del dichiarante, da una vicenda assolutamente non inquadrabile nel concetto di persecuzione proveniente dai soggetti di cui si è detto, sicchè nessuna violazione di legge, in parte qua, può ascriversi al detto provvedimento.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Il tribunale dopo aver escluso che i fatti narrati dal richiedente fossero riconducibili alle circostanze di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha posto a fondamento della decisione riguardante la fattispecie di cui al medesimo articolo, lett. c), innanzi tutto, la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni effettuate dallo straniero ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, vaghe e contraddittorie rispetto ai dettagli dei fatti da lui narrati, anche quanto all’asserita incapacità o alla non volontà delle autorità locali di offrirgli protezione a fronte di minacce o possibili aggressioni. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5 (qui nemmeno prospettato).

3.1.1. Il giudice di merito ha poi esaminato la situazione del Paese di origine del ricorrente (nella specie il Ghana), e, pur dando atto – indicando le fonti di conoscenza all’uopo utilizzate – che ivi “i diritti fondamentali della persona non sono garantiti e protetti in misura sufficientemente adeguata” (cfr., amplius, pag. 7 del decreto impugnato), ha comunque escluso che in ciò sia “ravvisabile una situazione di conflitto armato cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”, e che, dunque, “qualora il richiedente facesse ritorno nel Paese di origine, correrebbe il rischio di subire un grave danno alla persona derivante da una situazione di conflitto armato” di cui all’appena citato art. 14.

3.1.2. Orbene, questa Corte ha, ancora di recente (cfr., amplius, Cass. n. 32064 del 2018, in motivazione), chiarito che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono, di per sè, una minaccia individuale da definirsi come danno grave (cfr. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), in quanto l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lettera c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Il riconoscimento della forma di protezione in questione presuppone, dunque, che il richiedente rappresenti una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del paese, sia, comunque, a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

3.1.3. Una specifica situazione di tal fatta, però, è stata, come si è detto, esclusa dal tribunale leccese, e questo accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il che non è stato fatto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.

3.1.4. Il profilo della mancanza di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente a proposito dei fatti da lui narrati non risulta censurato puntualmente, sicchè esso diventa dirimente, poichè – come questa Corte ha già chiarito – la suddetta mancanza di attendibilità rende di per sè inaccoglibile l’istanza di protezione, non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo (Dott. Cass. n. 387 del 2019, in motivazione; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. n. 27438 del 2016; Cass. n. 21668 del 2015);

4. Infondato, infine, è anche il terzo motivo.

4.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità già richiamata (cfr. Cass. n. 387 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi. La corrispondente domanda, peraltro, è stata rigettata dal tribunale anche sulla base di una concorrente ratio – rimasta non adeguatamente impugnata – in ordine alla mancata sussistenza di condizioni di vulnerabilità soggettiva del ricorrente, al suo minimo inserimento lavorativo in Italia ed alla possibilità per lo stesso, una volta rientrato in Ghana (e dopo eventualmente la celebrazione del processo per i fatti da lui narrati) di potersi nuovamente inserire nel mondo del lavoro avendo ivi svolto l’attività di tassista, con regolare licenza, per molti anni. Tanto consente di prescindere in questa sede da ogni riferimento alla questione relativa alla sopravvenienza del D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (nemmeno recando, comunque, la prospettazione del motivo in esame alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018).

5. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, altresì rilevandosi che, risultando in atti l’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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